L'ambasciata cinese in Italia ora sembra quella russa
Da quando Pelosi è andata a Taiwan, la comunicazione cinese a Roma è tutta meme e aggressività. E l'Italia aspetta ancora l'ambasciatore americano
Ci sono due sedi diplomatiche importanti, in Italia, molto interessate alla campagna elettorale e al governo che verrà dopo il 25 settembre, che sono attualmente in attesa della nomina di un ambasciatore. Questa volta nessun candidato alle elezioni politiche italiane ha potuto ottenere la tradizionale fotografia con l’ambasciatore americano, non ancora nominato dall’Amministrazione Biden. Ma pure l’ambasciata cinese, privata del funzionario più alto in grado che può prendere decisioni politiche rappresentando il Partito all’estero, ultimamente ha iniziato a cercare visibilità con metodi tra l’aggressivo e il maldestro, e così finisce per somigliare sempre di più alla sede diplomatica di Via Gaeta, quella della Federazione russa.
Tra la foto di un panda e di un razzo, tra un delirio di Roger Waters sulla situazione internazionale e un’accusa all’America di rubare il petrolio alla Siria, il profilo twitter dell’Ambasciata cinese in Italia (42 mila 700 follower, contro i 37 mila e 800 di quella americana) si è messo a pubblicare pure meme e immaginette con messaggi imperativi: “Gli Stati Uniti e il suo Congresso devono osservare rigorosamente la politica di Una Sola Cina”, si leggeva in un tweet di ieri, “e non intrattenere scambi ufficiali con la regione di Taiwan”. Sotto, un fumetto mostrificante della speaker della Camera Nancy Pelosi che sembra un asino. Ma ieri il portavoce dell’ambasciata ha trovato anche il tempo di rispondere a un articolo pubblicato su Panorama che accusa la Cina di eseguire “prelievi forzati di organi” da esseri umani. Dall’alto della nota libertà di stampa e d’inchiesta e della trasparenza amministrativa che vigono nella Repubblica popolare cinese, il portavoce in un messaggio sul sito dell’ambasciata si dice scontento della disinformazione sul suo paese e scrive: “Esortiamo i relativi media italiani a sapere e conoscere obiettivamente la verità”. Come la Russia quando dà lezioni di giornalismo ai suoi, incarcerandoli.
Sembra quasi una svolta comunicativa, quella della sede diplomatica di Via Bruxelles, in un momento piuttosto delicato. Li Junhua era diventato ambasciatore cinese in Italia tre anni fa, quando la partnership Roma-Pechino sembrava “senza limiti”, salvo poi ritrovarsi con il governo Draghi, europeista e atlantista. Li ha lasciato Roma a fine luglio dopo essere stato nominato vicesegretario generale delle Nazioni Unite per gli Affari economici e sociali: una bella promozione.
A gestire gli affari correnti per ora c’è l’incaricata ad interim Zheng Xuan, che è uscita allo scoperto all’inizio d’agosto, in emergenza, quando la Cina aveva un assoluto bisogno di pubblicare sui media italiani la propria versione nazionalista della visita della speaker della Camera Nancy Pelosi a Taiwan. Lo ha fatto con un messaggio pubblicato dall’Ansa e con un’intervista alla Verità di Belpietro (cioè lo stesso direttore di Panorama).
E del resto di Pelosi si è parlato spesso nelle chiacchiere diplomatiche come di una possibile candidata ad ambasciatrice americana a Roma (ipotesi spesso smentita). A Via Veneto la sede è vacante da quando si è insediata l’Amministrazione Biden: un tempo record, soprattutto per un paese alleato che fa parte del G7, e l’attesa di una nomina ha superato perfino la lentissima assegnazione degli incarichi dell’Amministrazione Trump, che aveva nominato l’ex ambasciatore Lewis Eisenberg nel luglio del 2017. Nel paese che ha firmato la Via della Seta, mettere un falco anticinese sarebbe un messaggio politico forte, al quale potrebbe risponderebbe l’ambasciata cinese a Roma con una nomina altrettanto connotata politicamente.