Ritorno all'urss

Viaggio fotografico nelle terre occupate dai russi in Ucraina

Il futuro dell'occupazione russa? Persone in stile sovietico in fila ovunque, in attesa di cibo o acqua; infrastrutture fatiscenti; civili che dipendono dagli occupanti; colori russi ridipinti su quelli ucraini

Ruby Mellen

La telefonata è arrivata una domenica di luglio. Fai i bagagli, mi dissero: tra due giorni andrai nell’Ucraina occupata dai russi. Sono un fotografo che lavora a Mosca e mi sto occupando di guerra, avevo sentito parlare di questi tour surreali per la stampa nelle città ucraine occupate dai russi e gestiti dal ministero della Difesa. Sapevo che questi viaggi erano accompagnati da una sana dose di propaganda del Cremlino, ma ero ansioso di fotografare posti in cui pochi giornalisti riescono ad accedere. Era una possibilità unica per vedere come fosse la vita in luoghi virtualmente tagliati fuori dal mondo.

 

Il primo tour è durato tre giorni. Le forze di sicurezza russe hanno scortato me e altri media – alcuni giornalisti occidentali e molti blogger filorussi – da un posto all’altro. Le visite sono state brevi e gli accompagnatori monitoravano con attenzione le conversazioni con la gente del posto. Abbiamo dormito a Donetsk, una città sulla linea del fronte controllata dalla Russia e dai separatisti sostenuti dalla Russia dal 2014. Le esplosioni hanno scandito la notte. Donetsk è uno degli pochi luoghi dell’est ucraino occupato in cui sono rimaste alcune infrastrutture.

 

Ero stato lì due settimane prima dell’inizio della guerra. Allora era già abbastanza vuota, ma a luglio sembrava una città fantasma. Tutti i negozi chiusi, poche macchine per strada. Una fabbrica vicina era stata bombardata e la città puzzava di ammoniaca. “La Russia è qui per sempre”, si leggeva su un cartellone.

 

In altre città, dove erano rimaste poche persone, la distruzione era più evidente. Abbiamo visitato Lysychansk, conquistata dalla Russia all’inizio di luglio. Erano esposti carri armati ucraini catturati e missili americani Javelin. Lo scopo dell’esposizione? “Dimostrare che i fascisti ucraini hanno ucciso civili e distrutto infrastrutture”, ha detto il capitano Ivan Filiponenko della Repubblica popolare di Luhansk, un governo separatista riconosciuto da Mosca. “Si tratta anche di rassicurare la popolazione dimostrando che tutto questo è finito da tempo, che coloro che hanno usato queste armi contro di loro se ne sono andati”.

 

Attorno c’era la rovina più totale. Lysychansk è stata al centro di pesanti combattimenti per più di quattro mesi prima di cadere il 3 luglio. Gli edifici erano anneriti e senza finestre. Gli abitanti, per lo più anziani, facevano la fila per ricevere i pacchi di cibo distribuiti dall’esercito russo. Sono riuscito a sgattaiolare via dalla scorta militare. E’ stato allora che ho incontrato Anatoly, 31 anni. Gli ho chiesto perché pensava che la Russia fosse venuta qui. “Per liberarci”, ha detto. Da chi?, ho insistito. “Onestamente non lo so”, ha risposto cauto: “Come te, prima avevamo una vita normale. E’ dura guardare tutta questa distruzione”.

 

A Mariupol, una città portuale brutalmente assediata e bombardata prima di cadere in mano russa, l’odore della morte era nell’aria. Ci hanno detto che le case non erano accessibili: all’interno erano ancora presenti dei corpi. La città era priva di acqua corrente, elettricità e gas. Potevamo parlare con gli abitanti soltanto di fronte ai sorveglianti.

 

A Melitopol, una città catturata all’inizio della guerra, la russificazione era ben avviata. I rubli erano in circolazione da mesi e ogni giorno venivano emessi circa 20 passaporti russi, secondo i funzionari. Nelle cerimonie per la cittadinanza, risuonava in sottofondo l’inno nazionale russo mentre la gente recitava estratti della Costituzione russa. In alto, era appeso il ritratto del presidente russo Vladimir Putin. Per alcuni anziani della città, i passaporti russi rappresentano il ritorno a un’epoca passata. “La Russia è arrivata e tutto tornerà tranquillo come ai tempi dell’Unione sovietica”, mi ha detto una donna di nome Valentina. “L’aspettavamo da tempo”. C’è anche un forte movimento di resistenza nelle aree occupate dalla Russia. Da Kherson a Melitopol, molti si rifiutano di adattarsi al dominio russo. 

 

Meno di un mese dopo, sono tornato per un altro tour. E’ stata un’esperienza quasi identica alla visita precedente. Viaggi come questi sono ben collaudati. Ma ho visto scorci di ciò che è successo da metà luglio. I funzionari ci hanno portato a Olenivka, dove il 29 luglio un attacco militare ha ucciso decine di prigionieri di guerra ucraini. La Russia e l’Ucraina si sono accusate a vicenda dell’attacco. Ci hanno anche portato in un cinema. Alcuni spettatori erano vestiti in tenuta militare, altri erano in abiti civili. Erano riuniti per vedere un film russo intitolato “Match”, su una delle partite di calcio più famigerate della storia. Nel 1942, i prigionieri di guerra di Kyiv, occupata dai nazisti, sconfissero una squadra di soldati tedeschi nonostante fosse stato ordinato di perdere. Kyiv ha vietato il film nel 2014 perché gli ucraini erano rappresentati come simpatizzanti del nazismo. La proiezione è stata l’occasione perfetta per la guerra che Putin sta  conducendo ora. Il presidente russo ha giustificato l’invasione come uno sforzo per “denazificare” l’Ucraina, ma all’interno del teatro non c’era nulla di reale. Ho avuto la sensazione che tutti fossero stati portati lì non per il film, ma per recitare – per noi.

 

Anche se il tempo a mia disposizione era troppo poco, ciò che ho visto mi ha dato un’idea del futuro dell’occupazione russa: persone in stile sovietico in fila ovunque, in attesa di cibo o acqua; infrastrutture fatiscenti; civili che dipendono dagli occupanti; colori russi ridipinti su quelli ucraini; la grivnia sostituita dai rubli. Qui il tempo scorre secondo gli orologi di Mosca.
 

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