1931-2022
Gorbaciov, Putin e l'Unione sovietica
Il rapporto tra i due e tra i due la storia, partendo da una lezione di grammatica russa. La cortina di ferro dei visti e l’effetto che fa dire il nome dell'ultimo leader sovietico a Vilnius. Parla Sergey Radchenko
Durante una lezione di grammatica russa, un mio compagno di corso particolarmente zelante e incurabilmente nostalgico di un’epoca mai conosciuta aveva consegnato all’insegnante una frase che in traduzione suona così: “Putin ha distrutto ciò che Lenin ha costruito”. La finalità era dimostrare che sapessimo usare in modo corretto le forme perfettive e imperfettive dei verbi, categorie che nelle lingue slave possono sovvertire il senso di una frase. L’insegnante, russa di San Pietroburgo, riportò le nostre frasi corrette e il compito del mio compagno presentava un enorme stralcio vergato con una penna rossa, dal quale trasparivano stizza e rimprovero. Non erano i perfettivi o gli imperfettivi a essere sbagliati, l’insegnante aveva cancellato il nome Putin e lo aveva sostituito con Gorbaciov in modo che la frase fosse: “Gorbaciov ha distrutto ciò che Lenin ha costruito”. Il mio compagno comprese che non aveva evidentemente capito granché dell’epoca per la quale provava nostalgia e io iniziai a intuire che in Russia le cose funzionavano in un altro modo: Gorbaciov per noi era il simbolo di tutto quello che non sarebbe mai potuto succedere senza di lui, per i russi era il simbolo di tutto quello che a causa sua è accaduto.
Nel parlare con Sergey Radchenko, storico della Guerra fredda e docente alla Scuola di studi internazionali avanzati dell’Università Johns Hopkins, ad anni di distanza da quel giorno di lezione sui verbi russi, scopro una cosa in più: non eravamo soltanto noi o i russi a non aver capito Michail Gorbaciov fino in fondo, ma forse neppure lui aveva capito se stesso. “Gorbaciov ha iniziato con questo sogno di riformare l’Unione sovietica ma nel processo di queste riforme ha scoperto che le cose non stavano andando come sperava. Ha cercato di mantenere quella strada, fino a quando ha perso il controllo e questo ha portato all’implosione, o all’esplosione, dell’Unione sovietica. Una conseguenza del fatto che Gorbaciov non fosse pienamente consapevole”. L’ultimo leader dell’Urss non avrebbe voluto far cadere l’Unione sovietica, voleva riformarla. Era molto diverso dai suoi predecessori, se non altro per l’età, e “per la capacità di pensare fuori dagli schemi. Aveva deciso di andare contro alla maggioranza conservatrice del Politburo e di dare all’Unione sovietica una nuova vita”. Radchenko è un esperto di relazioni sino-russe e traccia un parallelismo tra Deng Xiaoping e Gorbaciov, due leader che hanno introdotto riforme economiche: “A Deng Xiaoping piaceva ripetere che si può guadare un fiume solo tastando i sassi, uno a uno. L’approccio di Gorbaciov fu invece quello di saltare dentro al fiume e imparare a nuotare mentre era nella corrente. I cinesi sono gradualisti, vanno piano, sono stati capaci di avere risultati economici migliori rispetto ai sovietici, che sono venuti giù”. Quando arrivò Vladimir Putin – che il mio compagno accusò di star distruggendo l’eredità di Lenin – anche lui fu visto come un riformatore. In realtà, come ben aveva capito l’insegnante di russo già anni prima della guerra contro l’Ucraina, la sua volontà era quella di riportare la Russia indietro. Putin è un populista, sa bene quanto Gorbaciov sia detestato, e sebbene il presidente russo non rischi mai di indispettire i suoi cittadini, non ha condannato l’ultimo leader sovietico. Anche Radchenko nota che i due “hanno avuto una relazione strana, non facile. Putin a volte ha criticato Gorbaciov per essere stato ingenuo nei confronti dell’occidente, ma lo ha fatto in modo riservato. Gorbaciov ha criticato Putin a sua volta, ma non sono mancate consonanze tra i due”.
Ci sono altri popoli che non amano Gorbaciov, e i Baltici, di solito in tutto e per tutto diversi dai russi, hanno un pessimo ricordo del leader sovietico, accusato di aver permesso la repressione quando la Lituania chiedeva l’indipendenza: era il gennaio del 1991. I paesi baltici vedono poche differenze tra lui e Putin. Sono gli stessi paesi che hanno chiesto un divieto europeo dei visti turistici per i russi. Ieri i ministri degli Esteri dell’Ue hanno trovato un compromesso che rende più complessa la pratica per rilasciarli. Il principio su cui si basa la volontà di non permettere ai russi di venire in Europa per turismo è che sono conniventi con il regime di Putin e con la guerra. Secondo Radchenko il blocco dei visti “è controproducente. La propaganda russa dirà che l’Europa è sempre stata contro la Russia, non per quello che fa, ma per ciò che è. Chiudere ai visti rafforzerà queste idee, inoltre renderà più difficile la fuga anche per ragioni politiche”. Ma c’è un motivo ancora più profondo per il quale lo storico è in disaccordo: “L’idea di responsabilità collettiva contraddice i valori europei, è radicata nel modo di pensare dei regimi e non delle democrazie. Chi dice che tutti i russi sono responsabili, anche i bambini, anche coloro che devono ancora nascere non vuole vedere che se la responsabilità è di tutti, allora è anche degli europei , che hanno tenuto il regime in piedi con gas e petrolio”. Il paradosso sta nel fatto che un sistema che vieti in futuro i visti turistici sarebbe una cortina di ferro eretta dall’occidente e non da Mosca, che rischia di rafforzare il regime del Cremlino, la brutalità, la repressione, la guerra. E anche la posizione della mia insegnante di russo di San Pietroburgo, alla quale oggi verrebbe voglia di recapitare un biglietto, con su scritto: “Putin distrugge ciò che Gorbaciov ha costruito”.