nella russia isolata

I funerali di guerra di Gorbaciov

Micol Flammini

Putin non andrà alle esequie di stato dell'ultimo leader sovietico. Gorbaciov, Kravchuk e Shushkevich, i tre presidenti morti nel 2022 e la fine della convivenza con la Russia

I funerali per la morte di Michail Gorbaciov, prima di essere funerali di stato, saranno funerali di guerra. Il presidente russo, Vladimir Putin, è andato a deporre i fiori accanto alla bara dell’ultimo leader sovietico. Ha trascorso trenta secondi in silenzio, si è voltato verso il ritratto di Gorbaciov, ha poggiato una mano sulla bara e ha fatto un piccolo inchino, un mezzo inchino, in segno di saluto. I due non si vedranno più, perché Putin ha trovato il modo di rendere meno di stato i funerali di stato che si terranno sabato: a causa dei molti impegni, ha fatto sapere, non ci sarà. Ha salutato il leader sovietico, che come molti altri, aveva creduto in lui, ma non scontenterà i molti russi che detestano Gorbaciov, presentandosi ai suoi funerali: è un populista, sa come non indispettire i suoi cittadini. Putin aveva definito la caduta dell’Unione sovietica la più grande “catastrofe” del Ventesimo secolo. Se la maggior parte dei russi per quella “catastrofe” aveva trovato un colpevole in Gorbaciov, Putin non gliene ha mai imputato, pubblicamente, la colpa. Se lo abbia fatto in quei trenta secondi di silenzio davanti alla sua bara, non si saprà mai. Non ci sarà Putin nella Sala delle colonne della Casa dei sindacati, ma non ci saranno neppure i capi di stato e di governo stranieri, la Russia è isolata, la Russia è in guerra, e chi ha stimato Gorbaciov, soprattutto nei paesi occidentali, non andrà a Mosca, nella tana di una nazione ormai considerata nemica, proprio come era considerata prima delle riforme e delle aperture del leader sovietico. Sarà un funerale volutamente solitario, isolato, di guerra, che chiude l’epoca della convivenza tra la Russia e l’occidente.

 

In un articolo intitolato “Il destino del presidente”, l’agenzia russa Ria Novosti ricorda che nel 2022, anno dell’invasione dell’Ucraina, ci sono state diverse morti di uomini di stato coinvolti “nella distruzione dell’Unione sovietica”. L’articolo si riferisce a Leonid Kravchuk, primo presidente dell’Ucraina indipendente, e Stanislav Shushkevich, primo presidente della Bielorussia indipendente, che assieme a Boris Eltsin firmarono il documento che sancì la fine dell’Urss. Tutti e due, l’ucraino e il bielorusso, sono morti a maggio, a invasione già iniziata. Kravchuk ha avuto funerali di stato e di guerra, con gli ucraini, il presidente Volodymyr Zelensky incluso, che sfidavano le bombe russe per rendere omaggio al primo leader post sovietico che si impose affinché Kyiv abbandonasse l’Urss e  non ci fossero più dipendenze, legami troppo stretti con Mosca. Stanislav Shushkevich, che sopportava meglio di Kravchuk il regime sovietico ma aveva capito che era il momento di gettarsi in un nuovo mondo, già in vita aveva dovuto subire le accuse del dittatore Aljaksandr Lukashenka, che lo fece dimettere, lo privò di tutto, anche della sua pensione, e lo ha privato anche dei funerali di stato: non c’erano istituzioni, ma c’erano moltissimi bielorussi alle sue esequie. Quella coda per salutare Shushkevich è stata in sé un atto di resistenza contro il dittatore, che sta trascinando Minsk in guerra al fianco di Mosca. 

 

Prosegue l’articolo di Ria Novosti: “L’antica saggezza dice che la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni. Michail Gorbaciov può servire a dimostrare che le buone intenzioni di un leader nazionale sono in grado di causare l’inferno sulla terra per un intero paese”. Gorbaciov, Kravchuk e Shushkevich avevano lavorato per allontanarlo l’inferno dalla terra, avevano riformato, ricreato e sperato. La loro morte nell’anno dell’invasione russa dell’Ucraina, delle minacce nucleari, i loro funerali di guerra sono di un simbolismo storico soprannaturale. 
 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)