ritratto del leader
Le armi, i soldi, il Paradiso. Chi è Muqtada al Sadr
Il chierico fa e disfa la tenuta politica dell’Iraq. Inviso a Washington e Teheran, cerca la legittimità religiosa
Una ventina di anni fa, Abdul Majid al Khoei era uno dei chierici sciiti più seguiti in Iraq. Subito dopo la caduta di Saddam Hussein, fu a lui che si rivolsero gli americani che cercavano un intermediario per costruire un dialogo con la leadership religiosa del paese. Julie Flint, giornalista del Guardian, ricordò alcune confessioni raccolte da Khoei. Una in particolare: “La sua preoccupazione principale era che dopo 35 anni di oppressione, gli sciiti potessero seguire chiunque – scrisse Flint nell’aprile del 2003 – Diceva che sono un popolo troppo povero, non istruito. ‘Tutto ciò che devi fare è tirare fuori il nome dell’imam Ali (il vero successore di Maometto, secondo gli sciiti, nda) e dire: ecco il denaro ed ecco il Paradiso. E saranno con te’”. Tre giorni prima dell’articolo di Flint, Khoei era stato accoltellato durante una visita alla moschea di Ali, nella città santa di Najaf. Ad aizzare gli assassini fu il giovane Muqtada al Sadr, ancora semi sconosciuto dentro e fuori l’Iraq. Secondo la ricostruzione di Patrick Cockburn, all’epoca giornalista del Financial Times, Khoei ferito e sanguinante si trascinò dalla moschea fino alla porta della casa di Sadr chiedendo aiuto. Secondo dei testimoni, il giovane chierico non si fece impietosire: “Allontanatelo dalla porta della mia casa”, urlò prima che Khoei morisse.
Oggi, Sadr è il deus ex machina di uno dei momenti più critici per la storia recente del paese. Lunedì, dopo avere annunciato il suo ritiro dalla politica – per la settima volta negli ultimi anni: si sospetta l’ennesimo bluff – migliaia dei suoi seguaci sono scesi per le strade di Baghdad e hanno assaltato la Green Zone, il quartiere delle istituzioni e delle ambasciate. Nonostante il coprifuoco, la notte è stata scandita da colpi di armi da fuco, lancio di razzi katjusha ed esplosioni. Il bilancio provvisorio è di una trentina di morti e centinaia di feriti, sia fra i combattenti sadristi della brigata della pace (Saraya al Salam) sia fra quelli della Struttura di coordinamento, un ombrello di milizie filo iraniane sotto cui sono riuniti tutti gli oppositori di Sadr. Mentre per le strade si sparava e venivano chiusi i confini con l’Iran e il Kuwait, il leader sciita ha girato un video messaggio. Ha invitato tutti a tornarsene a casa entro un’ora e ha chiesto scusa al paese per le scene di violenza. “Speravo in proteste pacifiche, non con armi e mortai. Questa non è una rivoluzione”, ha aggiunto.
Non è la prima volta che Sadr alterna incitamenti alla rivolta ad appelli alla moderazione, ma nonostante il controsenso evidente i suoi seguaci, anche stavolta, hanno abbandonato le loro postazioni senza esitazioni e la situazione nella capitale è tornata a una relativa calma. Era questo che Sadr voleva: dimostrare all’establishment filo iraniano di essere l’unico in grado di creare e disfare, di fomentare e placare i propri sostenitori. Dal suo punto di vista, metterlo da parte come hanno fatto finora i suoi avversari politici, non voler prestare ascolto alle sue richieste di riforme costituzionali e di un ritorno alle urne non sono scelte sagge se si vuole preservare lo status quo nel paese. Ed è proprio al congelamento della situazione attuale che in effetti puntano Iran e Stati Uniti, le grandi potenze straniere, entrambe bersagli della retorica nazionalista di Sadr. Fra due settimane si celebrerà la festività di Arbaeen, che porta tradizionalmente milioni di iraniani in pellegrinaggio nella città irachena di Kerbala. Entro allora sarà necessario riportare la calma in Iraq e c’è da aspettarsi che sarà Sadr a decidere se lasciare che le celebrazioni si svolgano regolarmente o in uno stato di guerra civile.
E’ l’aspetto religioso a spiegare buona parte di ciò che sta succedendo in Iraq in questi giorni. La dimostrazione di forza di Sadr si è resa necessaria nel momento in cui aveva subìto il colpo più duro dall’inizio della sua protesta a oltranza contro i partiti filo iraniani. Il giorno prima degli scontri, Kadhim al Haeri, ayatollah e guida spirituale dei sadristi, aveva annunciato le sue dimissioni scaricando Sadr e i suoi seguaci. Haeri aveva chiesto a tutti di seguire invece la guida dell’ayatollah iraniano Ali Khamenei e non di altri leader che, a suo dire, mancavano dei requisiti basilari per interpretare le leggi dell’islam. Muqtada al Sadr si era sentito toccato nel suo nervo scoperto. A differenza dei suoi due fratelli e di suo padre (Mohammad Mohammad Sadeq al Sadr fu guida spirituale riconosciuta in tutto il paese), tutti e tre uccisi da Saddam, Muqtada non ha mai eccelso negli studi. Le poche competenze religiose hanno sempre rappresentato una lacuna grave per il leader nazionalista, compensata in parte dalle sue abilità politiche e oratorie. Secondo l’ex funzionario del Pentagono Michael Rubin, ora senior fellow all’American Enterprise Institute, per Sadr “la città santa di Najaf (suo luogo di nascita, ndr) non era tanto il luogo di sepoltura di Ali, ma un luogo di pellegrinaggio dove fare soldi”.
Questo pragmatico cinismo ha fatto di lui quanto di più distante potesse esistere da quell’immagine utopica di un Iraq libero dalla corruzione che lo stesso Sadr invece ripete di volere realizzare. Anzi, è proprio l’opportunismo l’arma che il leader nazionalista e populista ha impiegato pedissequamente in tutti questi anni. Sul National Interest, Rubin ha teorizzato un’analogia: “Sadr, così come Khomeini e Khamenei in Iran, ha imposto con la forza tutto ciò che non poteva ottenere tramite il consenso. E’ anti israeliano e disprezza l’occidente. Odia gli omosessuali. E’ l’immagine riflessa allo specchio di Khomeini, ma senza la sua autorità religiosa”. Ora che il sistema politico iracheno è collassato, la domanda è quanto sia forte il chierico sciita. Al netto delle sue capacità politiche e militari, è ciò che gli manca che invece potrebbe dare la misura del suo potere reale. Se vale ancora ciò che diceva l’imam Khoei venti anni fa, oltre ai soldi (e alle armi), forse è la promessa del Paradiso che Sadr teme di non potere fare ai propri seguaci.