Libri, musica, cinema. La ristrutturazione di Gorbaciov tra perestrojka e cultura pop
Si distinse nella regione di Stavropol’ per un piglio deciso e aperto nell'amministrazione, i cui risultati volle estendere anche al resto dell'Unione Sovietica, una volta arrivato a Mosca. Al tempo stesso ci furono molte aperture dal punto di vista culturale che trasformarono il paese
La scomparsa di Michail Gorbaciov inevitabilmente è occasione di ricordi, discussioni, di post polemici e di tentativi di comprendere i motivi, le cause e le conseguenze dell’azione dell’ultimo segretario del Partito comunista dell’Unione Sovietica. Ha senso allora provare a ricostruire non solo il percorso di un leader cresciuto come funzionario di prospettiva, ma anche il contesto in cui si è trovato ad operare.
Quando Gorbaciov si insedia come segretario generale, l’11 marzo 1985, ha 54 anni ed è a Mosca dal 1978, quando venne chiamato da Brežnev al posto di segretario del Comitato centrale. A differenza di altri illustri predecessori, la carriera di Gorbaciov fino ad allora si era svolta nella regione di Stavropol’, di cui era originario, dove prima come segretario della locale Gioventù comunista, il Komsomol, e poi come capo del partito, si era distinto per il piglio deciso e aperto nell’amministrare il territorio. La regione vede importanti miglioramenti nel settore agricolo, ancora oggi alla base dell’economia territoriale, e la realizzazione di opere di canalizzazione e irrigazione, volte a sottrarre alla steppa spazi coltivabili. Proprio i successi in questo campo fanno emergere Gorbaciov, notato da Jurij Andropov, allora a capo del Kgb e frequentatore assiduo delle sorgenti termali della regione: già a inizio anni Settanta si parla di un possibile trasferimento a Mosca come vice alla Lubjanka, ma non se ne fa nulla.
L’arrivo nella capitale è legato al tentativo di estendere i risultati ottenuti a Stavropol’ nel resto dell’Unione Sovietica e, prima come segretario del Cc e poi da membro del Politburo, Gorbaciov si occupa dei problemi agricoli. Quando nel novembre del 1982 muore Brežnev, si apre un interregno non voluto durato poco più di due anni, nel quale prima Andropov e poi Konstantin Černenko restano per poco tempo al Cremlino, in quella che è chiamata in russo la “corsa dei carri funebri”, per l’avvicendarsi dei funerali nel giro di qualche mese.
La situazione richiedeva un cambio radicale d’immagine, e il nuovo segretario generale sembrava essere l’uomo giusto al momento giusto: nel maggio del 1985 incontra i cittadini di Leningrado in un’affollata piazza Urickij, di fronte all’Ermitage, e a questi seguiranno altri bagni di folla. Qualcosa di impensabile, per la Russia di oggi. Gorbaciov dichiara prima di dover procedere a un’accelerazione, la uskorenie, nei livelli di produzione, per poi utilizzare proprio nell’incontro leningradese il verbo “perestrajvat’sja”, cioè riorganizzarsi, adattarsi: da qui il termine perestrojka, usato per definire l’insieme di riforme lanciate dall’alto. Spesso si trattava di passi quasi improvvisati, se non dannosi, come nel caso della campagna contro l’alcolismo del 1985, partita con l’intenzione di risolvere un problema di enorme portata sociale (ed economica), e risoltasi in un dietrofront tragicomico che lascia al segretario il soprannome di “minerale”.
Avvengono al tempo stesso però aperture significative, che trasformano l’Urss da paese totalmente chiuso ad ogni tipo di dissenso in uno spazio ultrademocratico: gli scrittori vietati vengono pubblicati (in milioni di copie!), i gruppi musicali rock tengono concerti dovunque, il cinema riscopre nuovi orizzonti, affrontando temi duri e attuali, si organizzano circoli e associazioni di ogni orientamento, dall’ultranazionalista Pamjat’ (Memoria) a Memorial, dedicata al ricordo dei perseguitati dal potere sovietico e oggi sciolta d’autorità dalla procura di Mosca. Alla libertà di stampa e di parola si unisce quella di movimento, con l’annullamento dei vari provvedimenti che ostacolavano i viaggi all’estero dei cittadini sovietici. Un cambiamento epocale che coinvolge milioni di persone, sintonizzate davanti alla tv a seguire i dibattiti dei congressi dei deputati del popolo, organismi simil-parlamentari eletti in un contesto ancora non democratico, ma più libero.
Gorbaciov è stato però anche il segretario generale che si è trovato ad affrontare i nuovi e vecchi movimenti nazionali e i conflitti etnici, tra cui alcuni sanguinosi come la guerra nel Nagorno-Karabakh e il pogrom anti-armeno di Baku: l’intervento delle truppe nelle città sovietiche è un’immagine emblematica della crisi dell’Urss, come lo è il ritiro dall’Afghanistan, vero e proprio cimitero di tanti giovani mandati lì a combattere. L’impopolarità seguita al 1991 e al golpe probabilmente è anche sintomo di queste contraddizioni, agite e messe in moto da un uomo che forse credeva sinceramente di poter salvare il proprio paese.
Giovanni Savino, docente di storia dell’Europa orientale all’Università di Parma