La propaganda del terrore
Cemento su Mariupol. I russi costruiscono sopra ai cadaveri
L’ultimo atto del metodo di Putin di fare la guerra: cancellare i morti della città portuale e il ricordo della resistenza
A Mariupol sono iniziate le scuole e, come in tutti i territori ucraini occupati dalle forze di Vladimir Putin, le lezioni sono state inaugurate dall’inno russo. A Mariupol domenica il nazionalista-combattente Igor Mangushev (sarebbe meglio dire: terrorista) ha tenuto un comizio che incomprensibilmente chiama “performance” mostrando il teschio di un soldato ucraino ucciso in città dai russi e dicendo che la Russia è in guerra contro l’esistenza e l’idea stessa dell’Ucraina, e che quindi tutti gli ucraini devono essere uccisi. A Mariupol sono stati costruiti alcuni gruppi di palazzi che vengono celebrati dai putiniani (anche qui da noi) come il simbolo dell’efficienza russa, ah come funzionano bene le cose pure se tutti si ostinano a dire che la Russia è uno stato terrorista, i treni in orario e così via. Nessuno ricorda più che Mariupol era filorussa prima della guerra, ma per conquistarla Putin ha dovuto raderla al suolo.
Il lavoro di propaganda russo su questa città è molto più efficace fuori che dentro, anche se ovviamente non ci è dato sapere che cosa pensa chi vive oggi a Mariupol, oltre alla sopravvivenza s’intende. Qui è stato colpito il teatro centrale, numero di vittime civili indefinito ma almeno pari a seicento: era il 16 marzo, la guerra era iniziata da nemmeno un mese, e chi diceva che la strategia di colpire i civili era stata deliberatamente scelta da Putin, che l’attacco al teatro non era un errore, veniva trattato come un lamentoso e isterico russofobo. Oggi gli occupanti lo stanno ricostruendo, ruspe e gru vengono mostrate ancora una volta per descrivere la rapidità efficiente dei russi: hanno l’ordine di non recuperare i corpi che ancora sono sepolti dalle macerie ma di coprire ogni cosa con il cemento, così non si saprà mai, né soprattutto si dovrà mai renderne conto, il costo umano di questo bombardamento. Sempre a Mariupol è caduto un numero indefinito di bombe russe, bombe che hanno tolto acqua, elettricità e ogni servizio alla città: i rari resoconti sulla trasformazione della vita quotidiana della città parlavano di persone costrette a sciogliersi la neve in mano per bere, di fuochi improvvisati per strada per cuocere le poche provviste rimaste, di cadaveri per le strade, nei cortili, nei palazzi sventrati, di cannibalismo.
Oggi qualcuno cerca, sulla scorta di segnalazioni sporadiche, di tenere il conto delle vittime: le ultime statistiche indicano 135 mila morti, ma il numero cresce ed è e sarà una stima inevitabilmente al ribasso. Le segnalazioni non sono soltanto numeriche, forniscono dettagli anche sui ritrovamenti dei corpi: non sono stati soltanto i bombardamenti a decimare la popolazione di Mariupol, i metodi dei soldati russi che abbiamo già visto applicati in molte parti dell’Ucraina, come a Irpin e Bucha e altrove, si ritrovano anche qui, anche se il cemento russo ne coprirà la memoria.
La propaganda putiniana ha cancellato la storia della “città martire” che ha fermato per molte settimane l’aggressione russa condizionando la strategia di Mosca sugli altri fronti trasformandola nella città della resa. Le immagini dei combattenti del battaglione Azov, che hanno guidato la resistenza di Mariupol nell’acciaieria Azovstal, sono state proposte e riproposte in continuazione dagli schermi russi: quando erano dentro i cunicoli e Putin diceva che andava sigillato l’edificio perché non potesse uscire nemmeno una mosca, e soprattutto dopo, quando i combattenti si sono consegnati alle forze russe. Non c’era più modo di salvarli, aveva detto il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che aveva anche parlato di uno scambio di prigionieri in via di definizione con i russi. Non se n’è mai fatto nulla e anzi quegli uomini sono il bottino di guerra più ambito dei russi: ne uccidono un po’ bombardandone la prigione in cui sono rinchiusi (e danno la colpa agli ucraini, come sempre), per gli altri preparano i tribunali speciali in cui c’è solo una pena contemplata, ed è la morte.
Così Mariupol resterà senza giustizia e senza memoria, che è l’ultimo atto del metodo di Putin di fare la guerra. Ma mentre i suoi sostenitori mostrano ricostruzioni ed efficienza, i suoi emissari in città non sono riusciti a far entrare in classe tutti gli studenti: soltanto una parte “è stata costretta” ad andare, gli altri si sono rifiutati (così come a Melitopol sono arrivati 500 insegnanti direttamente dalla Russia, perché quelli locali non collaborano, pure rischiando la vita). I collaboratori del presidente russo continuano a dirgli che la conquista di cuori e menti nei territori occupati sta funzionando – secondo i loro calcoli non avrebbe dovuto nemmeno esserci questa conquista: era una città filorussa prima che Putin la spianasse – ma alcune sacche di resistenza resistono, sopra al cemento.