La pistola s'inceppa, l'argentina Kirchner si salva. I grilletti un po' troppo facili contro i politici
Sullo sfondo dell'attentato contro la vicepresidente dell'Argentina c'è un paese in cui il "clima d'odio" è sempre più forte
Ha avvicinato una pistola Bersa Thunder 380, con numero di matricola cancellato, fino a pochi centimetri dalla testa della vicepresidente argentina Cristina Kirchner e ha premuto il grilletto, ma l’arma non ha sparato. Non si sa perché: le perizie indicano che c’erano cinque colpi nel caricatore, e che la pistola era perfettamente funzionante. In Argentina erano le 21, le 2 di notte italiane. L’attentatore è un trentacinquenne nato in Brasile, autista di Uber. Si chiama Fernando Andres Sabag Montiel: ama il death metal, ha la mania di aspettare i musicisti fuori dalla porta e secondo quello che riferiscono i conoscenti dice spesso “cose insensate” e veste “da freak”; ha una passione per i simboli del nazismo esoterico. Di recente, intervistato per caso dalla televisione in quota “voci dalla strada”, aveva attaccato gli immigrati che “vengono a spacciare droga” e a prendere l’equivalente argentino del reddito di cittadinanza. Se da un lato l’autore di questo tentato omicidio sembra poco motivato politicamente, dall’altro, in Argentina, l’episodio ha riaperto il dibattito su una frattura sociale insanabile, con l’economia argentina che va sempre più giù, e l’inflazione al 71 per cento.
Nel 2019 l’ex presidente Cristina Kirchner si era fatta eleggere vicepresidente apposta perché la connessa presidenza del Senato garantisce l’immunità. Il 22 agosto scorso, però, due pm hanno chiesto per lei dodici anni di carcere e il divieto di ricoprire cariche pubbliche per le accuse di corruzione su appalti pubblici. Questo ha contribuito allo scontro nella coalizione Frente de Todos tra la componente più populista di Cristina e quella più moderata del presidente Alberto Fernández. Il 4 luglio il ministro dell’Economia Martín Guzmán, allievo del premio Nobel Joseph Stiglitz e uomo del presidente, è stato sostituito dalla kircherista Silvina Batakis, che però ha retto soltanto un mese. Al suo posto è andato Sergio Massa, esponente di una terza componente che si è dimesso da presidente della Camera, e che vuol essere il prossimo presidente del paese. Ma un sondaggio del 24 agosto lo dà solo terzo, col 18,7 per cento delle intenzioni di voto. Lo supera il capo di governo della Città di Buenos Aires Horacio Antonio Rodríguez Larreta, esponente dell’alleanza di centro-destra Juntos por el Cambio di Mauricio Macri al 31, ma addirittura Jasvier Milei: una specie di Bolsonaro argentino che sta al 20,9.
La difficoltà ha però galvanizzato la base kirchnerista. Dopo che Fernández ha fatto sottoscrivere un appello contro la “ingiustificabile persecuzione giudiziaria” dai presidenti del Messico, Andrés Manuiel López Obrador, della Colombia, Gustavo Petro, e della Bolivia, Luis Arce, sabato scorso i militanti hanno organizzato una marcia di sostegno davanti a casa di Cristina, che si è scontrata con la polizia della capitale – 12 agenti sono stati feriti, quattro manifestanti arrestati. Da allora è continuato un picchetto di solidarietà di fronte alla porta. L’attentatore si è lanciato contro la vicepresidente di ritorno dal Senato che, dopo essere scesa dall’auto di servizio, stava per salutare i sostenitori. Gli agenti della Polizia federale che dovevano sorvegliare i manifestanti sono subito scattati, ma se la pistola avesse funzionato non ci sarebbe stato niente da fare.
Sia militanti e dirigenti kirchneristi sia leader di sinistra stranieri che hanno condannato il gesto hanno fatto riferimento al “clima di odio”: il brasiliano Lula ha definito l’attentatore “fascista”, il boliviano Evo Morales ha attaccato la “destra” e “l’imperialismo”. Ma nell’intervista in tv l’attentatore se la era presa anche con Millei, e solidarietà a Cristina Kirchner è stata subito espressa da Juntos per il Cambio, dall’ex presidente argentino Mauricio Macri, e anche dal presidente dell’Osa. Luis Almagro, che con la Kirchner ha spesso avuto un rapporto conflittuale. Cinquanta senatori di Juntos por el Cambio e Frente de Todos assieme già tre ore dopo l’attentato avevano accordato di dare una “risposta istituzionale” congiunta.