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l'intervista

Germania e Israele s'accordano su risarcimenti e memoria dell'attentato

Daniel Mosseri

Lo storico del nazismo Sven Felix Kellerhof al Foglio: "Questione tralasciata per decenni". L'intesa prevede il versamento di 28 milioni di euro e l’istituzione di una commissione per accertare la verità

Berlino. Mezzo secolo di negoziati, silenzi, dinieghi, spalle voltate. Poi, una settimana prima del 50° anniversario del massacro di Monaco, i governi tedesco e israeliano hanno trovato un accordo che copre l’ammontare dei risarcimenti e il bisogno di fare luce su una pagina fra le più buie del terrorismo internazionale. Erano le 4.45 del mattino del 5 settembre del 1972 quando un commando palestinese di Settembre Nero penetrò nel villaggio olimpico di Monaco di Baviera dove si stava celebrando la XX Olimpiade.

Il logo era un sole stilizzato, di un azzurro tenue, e la mascotte, Waldi, era un bassottino color pastello. Tutto doveva ispirare leggerezza e allegria: la Germania del 1972, guidata dal socialdemocratico Willy Brandt, intendeva far dimenticare l’orrore del nazismo, anche nello sport. Gli organizzatori di Monaco 1972 pensarono anche di dare un taglio all’apparato di sicurezza: perché imporre la vista di tanti tedeschi in divisa?

 

 All’avvio dei Giochi, nel villaggio olimpico c’erano 34 poliziotti, di cui soltanto due armati. Il resto è cronaca: i terroristi palestinesi sequestrarono 11 atleti israeliani uccidendone due dopo averli seviziati. La Germania rifiutò la proposta del governo israeliano guidato da Golda Meir di inviare un reparto speciale a tentare un salvataggio e, dopo un goffo intervento della polizia bavarese, la storia finì con la morte degli 11 atleti, di cinque terroristi e di un poliziotto.

“Il contenimento della sicurezza è un’idea bellissima: ma non si può mettere in pratica senza avere anche un piano b”, dice al Foglio Sven Felix Kellerhof, senza fare sconti alla Germania. Storico del nazismo e giornalista, Kellerhof è l’autore di “Anschlag auf Olympia” (Attacco a Olimpia), un saggio appena uscito dal sottotitolo eloquente “Cosa è davvero successo a Monaco nel 1972”. “A differenza di altri non mi sono concentrato sui testimoni ma sugli atti del governo, della polizia federale e di quella bavarese, consultando circa 10 mila incartamenti”. Il quadro che ne esce è devastante. Si comincia con Udo Albrecht e Willi Woss, due neonazisti tedeschi che, in una riedizione del patto antisemita del 1941 fra Hitler e il gran mufti palestinese Amin al Husseini, “aiutarono i terroristi portandoli da Parigi a Colonia e consegnando loro le armi. Il loro aiuto fu essenziale”.

Kellerhof, oggi alla Welt, spiega che non fu neppure Willy Brandt a rifiutare la proposta di Golda Meir: il “nein” arrivò da qualche oscuro funzionario “per motivi legali”. “Non avere gli israeliani sul posto è stato un grave errore”. Poi ricorda la goffaggine bavarese di impiegare cinque cecchini contro otto terroristi, “quando ne servono almeno due per attentatore”. Kellerhof capisce le critiche delle vedove degli atleti: “La Germania si è comportata malissimo, trascinando la questione risarcimenti per decenni”.

Un punto su tutti gli brucia: “L’arroganza e la freddezza con cui i nostri diplomatici hanno trattato la controparte, senza mai ammettere le responsabilità tedesche. Ho trovato anche stupefacenti i rapporti stilati già a settembre con cui le polizie federale e bavarese non spingevano per più indagini ma si complimentavano l’una con l’altra per la gestione del caso”. Il nuovo accordo, che prevede il versamento di 28 milioni di euro e l’istituzione di una commissione per accertare la verità, va bene “ma arriva in ritardo. E adesso dobbiamo trasformare Connollystrasse 31 (la residenza israeliana a Monaco, ndr) in un luogo di documentazione e del ricordo”.

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