Ecco perché la sinistra riformista cilena ha fallito
Gabriel Boric perde il referendum sulla riforma costituzionale. Per i cileni troppi diritti vuol dire nessun diritto
In America Latina non sembra esserci l'“ondata a sinistra” fantasticata da alcuni commentatori, ma piuttosto un contesto in cui la gente sta votando sistematicamente contro i propri governi
Il 61,8 per cento dei cileni ha votato “rechazo”, respingo, al referendum di domenica sul progetto di nuova Costituzione cilena. 4.860.093, il 38,14, hanno votato “apruebo”, approvo. Il tutto, aggiungendo 200.722 schede nulle e 77.290 schede bianche, con una affluenza di 13.021.063 votanti su 15.173.929 iscritti, che fa uno storico record dell’85,81. Per fare un paragone, il 25 ottobre del 2020 all’altro referendum in cui il 78 per cento dei votanti aveva deciso di eleggere una Convenzione costituzionale per fare una nuova Costituzione l’afflusso era stato di poco più del 50 per cento.
E’ stata una disfatta annunciata. Da quando era stata presentata lo scorso 4 luglio, dopo un anno di lavoro della Convenzione, tutti i sondaggi avevano previsto che la nuova Carta sarebbe stata respinta. Ma queste proporzioni non le aveva pronosticate nessuno. Le ultime rilevazioni prima del voto davano il “rechazo” al 53,6 per cento. “Revivió Pinochet” ha subito twittato il presidente colombiano Gustavo Petro, che è presentato come il campione della nuova sinistra latinoamericana proprio assieme al presidente cileno Gabriel Boric. Poi Boric ha detto che il “Cile ha dimostrato oggi che crede nella democrazia”, ha ringraziato anche chi ha votato “rechazo” e si è appellato all’“unità nazionale” per proporre un nuovo testo accettabile da tutti. Alcuni analisti hanno osservato come una delle chiavi di questo risultato sia stato il modo in cui vip stranieri come Bernie Sanders, Angela Davis, Irene Montero e Susan Sarandon siano stati portati a fare campagna contro “la Costituzione di Pinochet”. In realtà, al testo del 1980 - ereditato dal regime militare -furono apportate importanti modifiche nel 2005, e quindi questa, più che la Costituzione di Pinochet, è soprattutto “la Costituzione del presidente socialista Ricardo Lagos”.
Anche se Boric, con queste dichiarazioni, ha mostrato un livello di maturità politica altissimo per la media della regione, e ormai non solo di quella, questo voto è stato anche un referendum contro il suo governo. Lui stesso se ne rendeva conto, e un suo mantra era diventato “votate pro o contro la Costituzione, non pro o contro di me”. E questa è l’ennesima riprova di come in questo momento in America Latina non ci sia affatto quella “ondata a sinistra” fantasticata da alcuni commentatori, ma piuttosto un contesto in cui la gente sta votando sistematicamente contro i propri governi, qualunque sia il loro orientamento.
Ma ovviamente parte dei dubbi della popolazione cilena era soprattutto sul testo della riforma. Presentata da suoi sostenitori come “la Costituzione più moderna del mondo”, sicuramente la più lunga, con 388 articoli e 57 norme transitorie, ha spaventato soprattutto per il modo in cui dopo aver definito il Cile come Stato regionale plurinazionale e interculturale che riconosce la coesistenza di nazioni e popoli diversi ed è organizzato in “regioni autonome, comuni autonomi, autonomie territoriali autoctone e territori speciali”, stabiliva un “pluralismo giuridico” per cui lo Stato “riconosce gli ordinamenti giuridici dei popoli indigeni”.
In realtà, è il modello che c’è ad esempio negli Stati Uniti con le riserve indiane, la cui extraterritorialità permette loro di stabilire casinò in stati dove il gioco d’azzardo è vietato. Ma un conto è un sistema federale, dove la gente è abituata al fatto che, per esempio, in uno stato ci sia la pena di morte e in un altro no. Poiché comunque l’attuazione concreta di questi principi sarebbe stata demandata a leggi ancora da definire, la gente ha avuto paura di non poter sapere più in anticipo da che giudice e con quali leggi sarebbe stata giudicata. E ha “rechazado”.
C’erano poi altri punti polemici. La modifica del nome in “Camera delle Regioni” di un Senato che esiste dal 1812, la fine del divieto di rielezione immediata del presidente, che pure è una radicata tradizione cilena, l’interruzione volontaria della gravidanza come diritto sancito dalla Costituzione. E poi un sistema di “democrazia paritaria” che con l’obbligo di capoliste donne impone una parità dei sessi nei collegi eletti che adottata al voto per la Convenzione scattò alla rovescia, imponendo a 11 donne elette di dimettersi per lasciare il posto a uomini. C’erano pure una quantità di disposizioni ambientaliste e “sociali” sulla cui effettiva realizzabilità c’erano dubbi. Però, in generale, la sensazione della maggioranza dei cileni era che moltiplicando i diritti la nozione stessa di diritto ne veniva svilita.
I partiti moderati, dai democristiani ai socialisti passando per liberali e radicali, avevano deciso di appoggiare comunque il testo. Ma molti loro dirigenti avevano preso le distanze. Il senatore socialista Fidel Espinoza ha detto: “Si assumano le loro responsabilità per questa débâcle i signori convenzionali”, chiamando “convenzionali” chi ha deciso di convocare non una Costituente ma Convenzione costituzionale, un’accusa contro la maggioranza di sinistra radicale che aveva preso la maggioranza alla Convenzione sulla spinta delle proteste sociali del 2019. “Hanno redatto una Costituzione a partire dal loro odio e dalle loro frustrazioni. Hanno voluto tutto e ci hanno lasciato con niente”. E la senatrice democristiana Ximena Rincón: “E’ un testo che non unisce il paese, che ci mette l’uno contro l’altro, sembra piuttosto un programma di governo”.
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