Dove si guarda (all'inefficienza russa) per fissare il price cap
Bisognerà trovare un delicato equilibrio in grado di minimizzare il prezzo del gas ed evitare al contempo che la Russia possa alzare ulteriormente il livello dello scontro. Per farlo, bisognerà partire dal costo di estrazione dell’impianto russo meno performante
Si stanno prendendo sempre più velocemente delle decisioni importanti per ridurre la dipendenza europea dalle materie prime russe. Dal blocco degli acquisti di petrolio per la fine dell’anno, alla riduzione drastica delle importazioni di gas. Si discute anche di un tetto al prezzo (price cap) per le materie prime non rinnovabili. Ci si avvia, insomma, all’ultimo atto delle sanzioni, quelle che, attraverso le materie prime, colpiscono a fondo il Cremlino. Allo stesso tempo, si ha un malessere europeo crescente legato alla paura di un inverno che vede le imprese chiudere e le famiglie al freddo.
L’aggressione russa all’Ucraina ha spinto i paesi occidentali a varare delle sanzioni. Prima il congelamento del sistema informativo delle banche russe verso l’estero, poi quello delle riserve della Banca centrale russa stipate all’estero, per finire con il blocco dei beni stipati all’estero dell’oligarchia. A queste sanzioni pubbliche sono seguite quelle private, che si sono manifestate con il ritiro delle attività dalla Russia o chiudendole o vendendole. Da questo primo giro di sanzioni sono rimaste fuori le attività maggiori del bilancio russo. Le imposte sulle materie prime sono la metà delle entrate dello stato. Le esportazioni di materie prime sono due terzi delle entrate valutarie. Per queste ragioni, il secondo giro di sanzioni, che vede al centro il petrolio e il gas, è quello devastante per la Russia.
Il primo giro di sanzioni ha finora avuto un impatto negativo sull’economia russa, ma non ancora devastante. Ed ecco che è apparso chi, osservando un andamento non grave, ha sostenuto che le sanzioni stanno colpendo più l’Europa che la Russia, e quindi che vanno tolte. Dove il modesto impatto delle sanzioni è mostrato osservando il pil russo, mentre gli effetti negativi per l’Europa si manifestano con l’impatto negativo del prezzo del gas.
Il pil russo fotografa gli andamenti di breve periodo. La Russia ha un saldo estero positivo che spinge in alto il pil, perché le esportazioni di materie prime sono scese non troppo in quantità e cresciute molto di prezzo, mentre le importazioni sono, a causa delle sanzioni, crollate. Il pil russo poi, se misurato in dollari, risente del cambio del rublo, che, non essendo libero, è molto forte, perché chi incassa le valute è obbligato a venderle, mentre chi le vuole comprare lo può fare in misura minima. Infine, la fotografia del pil russo non misura l’impatto che si manifesta nel corso del tempo del blocco delle tecnologie occidentali, come i ricambi degli arei e le medicine. In conclusione, nel breve il pil russo è caduto ma non crollato, nel lungo termine, mancando le tecnologie avanzate, e in assenza di investimenti esteri fintanto che l’autarchia perdura, il pil russo crescerà molto meno di quanto avrebbe potuto.
La Russia prima della guerra vendeva in Europa la metà del petrolio esportato, e quattro quinti del gas esportato. L’Europa è un’economia oltre dieci volte maggiore di quella russa. Dove mai la Russia, tenendo poi in conto che gli StatiUniti sono autosufficienti in campo energetico, potrà mai trovare un’economia altrettanto grande per vendere le sue materie prime nella stessa enorme quantità? Si pensa alla Cina, ma per venderle il gas ci vogliono i tubi che chiedono anni per essere costruiti. Si pensa al petrolio, ma la Cina lo importa già dal medio oriente. Se sostituisse il petrolio mediorientale con quello russo non avrebbe più la diversificazione delle forniture. In conclusione, la vulnerabilità europea può durare per qualche tempo, fintanto che non si diversificano le fonti energetiche, mentre la vulnerabilità russa può durare per molto tempo fintanto che non smette di dipendere per il proprio benessere dalle materie prime.
La minor dipendenza europea dal gas russo passa da: maggiori riserve, per reggere il taglio delle forniture; fonti diversificate, che richiedono tempo; una minor domanda da parte delle famiglie e delle imprese che si riduce per effetto dei prezzi elevati; e, se tutto questo non basta, dal razionamento. Queste azioni sono in corso. Cercare una minor dipendenza dal petrolio russo è molto meno difficile, perché il petrolio si trova abbastanza facilmente in giro per il mondo. Infatti, la decisione di congelarne fra qualche mese gli acquisti è stata presa.
Nell’attesa di non dipendere del tutto o in parte dal gas del Cremlino si discute di continuare a comprarlo ma a un prezzo sia inferiore a quello corrente sia prestabilito. Come funziona il price cap, il tetto del prezzo di un bene, oltre il quale nessuno compra? Intanto il price cap assume che la Russia voglia vendere lo stesso, perché non può fare a meno delle entrate da gas, anche se di molto inferiori. Il price cap assume poi che il tetto non possa essere aggirato da un paese europeo bisognoso di gas e quindi disposto a pagarlo oltre il tetto, perché gli altri paesi corrono a offrirglielo. Ossia, si assume che ci sia un eccesso di gas in Europa pronto al soccorso.
Questa sono le prime difficoltà della sua messa in opera. Poi si ha quella di stabilire il livello del tetto. Se fosse al costo di estrazione (al costo, non al prezzo del gas che si forma dopo molti altri passaggi) dell’impianto meno efficiente, tutti gli altri impianti che sono migliori avrebbero una rendita che finirebbe in parte come imposte nelle tasche del Cremlino. Se, invece, fosse al costo di estrazione dell’impianto più efficiente, il Cremlino non potrebbe tassare le rendite, perché gli impianti meno efficienti finirebbero per essere chiusi per poi riprendersi forse dopo molti anni – come avvenne ai tempi della caduta dell’Unione Sovietica.
Il rischio della caduta di buona parte delle imposte e della capacità produttiva potrebbe spingere il Cremlino a essere più aggressivo sotto il profilo militare. In conclusione, il price cap che minimizza il prezzo del gas in Europa e massimizza le probabilità di una guerra che non scappa di mano alla fine sembra legato al costo di estrazione dell’impianto meno efficiente.