processo per giornalismo

Il suono intimidatorio della condanna a Ivan Safronov

Micol Flammini

I ventidue anni al giornalista russo sono un messaggio: non indagate sull’esercito. L'ossessione per il tradimento

Quel che è rimasto del giornalismo in Russia, anche testate che pubblicano ancora in patria e non tradizionalmente anti regime, si sono esposte per dare il loro sostegno a Ivan Safronov, giornalista che si occupa di Difesa, che ha lavorato per Vedomosti, Kommersant e anche per l’agenzia spaziale Roscosmos. Safronov è stato condannato a ventidue anni da trascorrere in una colonia penale con l’accusa di tradimento, termine ormai diventato ossessivo in Russia, soprattutto da quando è scoppiata la guerra contro l’Ucraina. La vicenda di Safronov è iniziata prima del conflitto, nel 2019, dopo la pubblicazione sulle colonne del Kommersant di un articolo sulla vendita di jet da combattimento Su-35 da parte di Mosca al Cairo. Il pezzo, dal titolo “I Su-35 rafforzeranno la forza egiziana”, scatenò uno scandalo diplomatico, al Cairo non erano affatto contenti che la notizia fosse uscita e di conseguenza neppure la Russia. Questa non è la ricostruzione del tribunale, bensì dei colleghi di Safronov, in modo particolare della Bbc russa che ha dimostrato che l’Fsb iniziò a sorvegliare Safronov dopo lo scandalo. 

 

L’accusa con cui un tribunale di Mosca ha condannato il giornalista a ventidue  anni – ne erano  stati chiesti ventiquattro – è di aver passato segreti militari al cittadino ceco Martin Larisch e al politologo tedesco Demuri Voronin: in totale avrebbe passato sette file di contenuti riservati sulla cooperazione militare della Russia con altri paesi. Secondo l’Fsb i due stranieri sarebbero ufficiali dell’intelligence, su questo non ci sono prove. L’accusa ha sempre detto che il processo contro Safronov non c’entrava nulla con l’articolo sulla fornitura di aerei all’Egitto, eppure il carteggio tra i diplomatici egiziani e quelli russi era nel fascicolo dell’accusa. Le informazioni che Safronov avrebbe passato alla spia tedesca e a quella ceca, secondo un’indagine del sito di inchiesta Proekt, sarebbero invece tutte facilmente reperibili online, quindi non secretate. Non si sa molto dell’indentità di Larisch e di Voronin, che secondo l’Fsb sarebbero due spie che lavoravano per conto di paesi della Nato, e secondo alcune informazioni il ceco altri non sarebbe che un vicino di casa di Safronov. 

 

In una Russia in cui l’accusa di tradimento è diventata sempre più comune, in cui si invitano i cittadini a denunciare i russi che diffondono notizie false sull’operazione speciale, l’articolo del codice penale sul tradimento non poteva che essere volutamente molto ampio. Secondo Meduza  i ventidue anni a Safronov sono comunque troppi, soprattutto se confrontati con le condanne per omicidio. La sensazione diffusa in Russia ormai è che si sia trattato di un “processo per giornalismo”, che non ha prodotto prove della colpevolezza di Safronov, ma è stato usato come atto intimidatorio che serve al Cremlino soprattutto ora: Safronov è un giornalista che si occupava di esercito e di forniture militari, ogni giorno escono ritratti degradanti sulle condizioni di quello che era considerato il secondo esercito più potente del pianeta e la cosa che  Mosca vuole tenere più nascosta è proprio la condizione dei suoi soldati, dei suoi arsenali che iniziano ad aver bisogno di rifornimenti che fino al 24 febbraio venivano dalla tecnologia occidentale. Il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ha definito la condanna molto dura, ma difficilmente ci saranno passi indietro.  

 

Come era accaduto con Alexei Navalny e con altri personaggi non graditi al potere – Safronov non è un dissidente – la giustizia russa sembra essersi prestata all’esercizio di cercare prove che potessero giustificare una condanna esemplare. E anche in loro mancanza, come affermano le testate russe che hanno parlato del caso, il tribunale ha deciso di inseguire comunque la politica.  La giornalista russa Irina Yakutenko, che si occupa di scienza, ha commentato la condanna facendo una domanda a tutti i russi: “Ivan Safronov ha ricevuto 22 anni. In 22 anni puoi nascere, andare a scuola, laurearti all’università, iniziare a lavorare, incontrare il tuo primo amore, sposarti e persino avere un figlio. Questa è tutta una vita. Ed è stato condannato anche a una multa di 500.000 rubli, per far stare bene anche i genitori. Per chi ama i paragoni, è già come nel 1937 o bisogna ancora aspettare?”.

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)