il colloquio
I russi di Berlinograd
L’emigrazione durante l’Urss e dopo l’invasione dell’Ucraina, gli espatriati di ieri e di oggi. Grigorij Arosev ci racconta come vivevano e come vivono gli intellettuali che lasciano Mosca per la Germania, a partire da Nabokov
Abbiamo proposto il coreano, il marocchino, l’israeliano e l’italiano. Grigorij Arosev, senza esitazioni, ha scelto quest’ultimo e noi lo portiamo in una pizzeria napoletana. Siamo a Schöneberg, cuore della comunità omosessuale di Berlino. Nei dintorni hanno abitato Vladimir Nabokov, Wystan Hugh Auden e David Bowie. Capelli brizzolati pettinati all’indietro, t-shirt rosa con scollo a V e zainetto, Grigorij arriva con qualche minuto di anticipo, come si usa in Germania. Non facciamo in tempo a sederci a un tavolino all’esterno (pericolosamente vicino alla ciclabile su cui sfrecciano bici come treni ad alta velocità), che Grigorij ci chiede se abbiamo mai sentito parlare della nave dei filosofi. “Si tratta in realtà di due navi che nell’autunno del 1922 hanno portato a Stettino, allora in Germania, gli intellettuali avversi al regime bolscevico”, racconta Grigorij. “Adesso per gli intellettuali che scappano dalla Russia si parla dell’aereo dei filosofi.”
Grigorij Arosev è uno dei più importanti giornalisti russi in Germania. E’ caporedattore di Redakcija Berlin, settimanale indipendente d’informazione in lingua russa pubblicato in Germania, e di Golos Berlina, radio in lingua russa di Berlino. E’ autore di vari saggi su Nabokov (inediti in Italia) e ha fondato e dirige la rivista letteraria Berlin.Berega e cercando di tracciare dei parallelismi tra le fughe di ieri e di oggi, spiega al Foglio che all’indomani della rivoluzione non ci furono fughe di massa: “I bolscevichi non hanno preso il potere subito, è stato un lungo processo. Alcuni intellettuali sono riusciti a conviverci. La prima grande ondata di emigrazione è stata nel 1920-22”. Molti, come approdo, scelsero l’Europa , “verso i russi non c’erano pregiudizi né contro, né a favore. Berlino era molto popolare come meta di emigrazione perché la Germania era il primo paese dopo il confine e Berlino si trova sul lato orientale. Gli emigrati volevano trovarsi subito al sicuro. A Berlino in molti sono rimasti anche se non volevano, perché trasferirsi da una città all’altra non era semplice come ora. Se uno avesse voluto trasferirsi da Berlino a Parigi, avrebbe dovuto trovare in anticipo un posto dove stare e un lavoro e non c’erano sempre garanzie di trovarlo”.
Parigi aveva un’attrattiva maggiore, “la cultura e la lingua francese erano molto diffuse nell’élite russa e hanno giocato un ruolo fondamentale nella scelta, ma Berlino era il primo posto sicuro in cui si arrivava. Anche Londra era molto popolare. Non si può proprio dire quale fosse la meta preferita e poi è anche difficile da calcolare: per esempio, una gran parte della Polonia apparteneva all’impero russo e i polacchi avevano il passaporto russo. Li contiamo come russi o come polacchi? Ho conosciuto molti finlandesi, baltici e moldavi di madrelingua russa che non hanno parenti in Russia, né ci sono mai stati. La lingua e la cultura russa non sono semplicemente sovrapponibili alla Russia.”
Dalla Potsdamer Straße arrivano gli ululati delle sirene della polizia e il chiasso della folla che sciama tra il supermercato turco, la gelateria italiana farlocca, lo shisha bar e i cento kebabbari. Il cameriere che prende la nostra ordinazione è tedeschissimo, ma parla italiano molto bene: quando gli chiediamo una media chiara, sa quello che intendiamo. Esisteva una comunità russofona a Berlino prima della rivoluzione? “No. C’erano alcune persone in esilio per motivi politici, ma erano pochissime. I ricchi facevano vacanze a Biarritz o nelle città termali tedesche, ma tornavano sempre a casa”. Rispetto a cento anni fa, chi emigra adesso, trova a Berlino una nutrita comunità russofona. “Sì, anche se tra il 1945 e gli anni Ottanta non ci sono stati che singoli casi di emigrazione. Era impossibile lasciare l’Unione sovietica. La perestrojka ha cambiato tutto.”
Josif Brodskij e Sergej Dovlatov, che sono stati espulsi negli anni Settanta, sono eccezioni, “come Aleksandr Solženitsyn e Vasilij Aksënov e come la nave dei filosofi. All’epoca di Brodskij i dissidenti potevano scegliere tra il manicomio, la prigione o l’esilio. Brodskij fu mandato due anni e mezzo al confino nella regione di Archangel’sk, prima di essere espulso. Gli ebrei russi che volevano emigrare in Israele dovevano combattere con la burocrazia per anni. Con la perestrojka è diventato tutto più semplice. Le comunità russofone, non solo quella di Berlino, sono state fondate dagli emigrati usciti grazie alla perestrojka. Queste comunità sono state costruite lentamente, a differenza di quelle degli anni Venti del secolo scorso, che si sono formate in una sola ondata.”
Com’è la situazione per chi emigra ora? “E’ tutto organizzato: ci sono imprese russofone, consulenti che parlano russo e che ti aiutano a inserirti a Berlino o nelle altre città tedesche. Puoi leggere tutto su internet e tradurre online. Non si può comparare con cento anni fa”. Se guardiamo la vita culturale, un secolo fa a Berlino c’erano nomi che tutti conoscono, come Nabokov e Viktor Šklovskij. “Non mi sembra del tutto corretto vederla così. Allora non tutti erano già famosi. Quando il padre fu ucciso nel 1922, Nabokov aveva ventitré anni e non era ancora uno scrittore. Aveva scritto molte poesie, ma non sono allo stesso livello dei suoi romanzi”. Alcuni di questi romanzi sono ambientati a Berlino. “Sì, ma li ha scritti dopo. Quando è arrivato a Berlino c’erano personalità molto più affermate e conosciute di lui, come i poeti Lev Cërnyj e Igor’ Severjanin e gli scrittori Aleksej Tolstoj, Ivan Bunin e Ivan Šmelëv”.
Bunin (premio Nobel per la letteratura nel 1933) e Šmelëv si sono trattenuti solo brevemente a Berlino prima di stabilirsi in Francia. “Anche Andrej Belyj si è fermato poco e poi è tornato in patria. Maxim Gor’kij è emigrato per un periodo, ufficialmente per curarsi, e poi è rientrato. Anche Šklovskij e Marina Cvetaeva sono tornati”. C’erano giornali e riviste russe a Berlino cento anni fa? “Ce n’erano molti, divisi secondo l’orientamento politico dell’editore. Le differenze erano marcate: alcuni erano dalla parte dei bolscevichi, altri accettavano la cooperazione con il nuovo potere sovietico, anche se non lo apprezzavano, altri ancora erano assolutamente critici verso il regime e contrari a ogni cooperazione. C’erano più di dieci quotidiani, senza contare le riviste e le case editrici russe. Non dimentichiamo che i giornali erano l’unica fonte di informazione. E in molti risparmiavano gli ultimi o i penultimi spiccioli per comprarsi un giornale. C’erano perfino testate monarchiche. Sono stati proprio i monarchici ad ammazzare il padre di Nabokov. In realtà volevano uccidere un altro politico, Pavel Miljukov che avrebbe offeso in un discorso la moglie dello zar”. Organi d’informazione su carta esistono anche oggi, come quelli del gruppo RusMedia, di cui fa parte Redakcija Berlin (e la radio Golos Berlina), ma la fruizione di notizie passa in gran parte su internet, come sulla versione russa del sito d’informazione tedesco Deutsche Welle, o in TV, come sull’emittente tedesca in lingua russa OstWest.
La comunità russofono di Berlino si concentrava soprattutto a ovest, “a Charlottenburg e Wilmersdorf. Più o meno come oggi. A quell’epoca fu coniata la parola Charlottengrad, che non è stata più usata dopo la Seconda guerra mondiale ed è tornata in auge solo con la perestrojka. A est c’erano i quartieri operai come Prenzlauer Berg, che non era un quartiere alla moda come adesso”. Se giri per Prenzlauer Berg, senti spesso parlare russo. Nel quartiere ci sono lo storico ristorante Pasternak, il teatro russofono Panda, e il caffè Art City People, punto di riferimento per eventi culturali in lingua russa, dal corso di pittura al festival di musica jazz. Prenzlauer Berg è il preferito dall’intelligencija, mentre a Charlottengrad si incontrano le sciure russe rimaste agli anni Novanta e con le labbra a canotto. A Schöneberg, non lontano dalla pizzeria, c’è il nuovissimo Lectorium Dictum, che organizza conferenze su svariati temi: l’ultima, tenuta dalla giornalista e attivista Ol’ga Romanova, era sulle condizioni di vita nelle carceri russe, la prossima, a cura della filologa classica Maya Pait, sarà sulla rappresentazione del pisello maschile nelle opere d’arte esposte all’Altes Museum di Berlino e poi sarà il turno di Grigorij, che parlerà di come gli scrittori tedeschi hanno reinventato la lingua all’indomani della Seconda guerra mondiale.
Una vespa, una delle tante che funestano le estati berlinesi, ronza intorno all’Apfelschorle (succo di mela mischiato con acqua minerale) di Grigorij. La vespa si ferma sul bordo e beve un paio di molecole di Apfelschorle. Appena si posa sul tavolo, Grigorij la schiaccia con il bicchiere. “Non sono verde.” ci dice. E riprende il suo racconto: “Molti emigrati vivevano in condizioni di povertà. Ci si arrangiava a lavorare come si poteva, facendo i traduttori, gli interpreti, gli insegnanti privati e gli istruttori sportivi. Un lavoro d’ufficio era molto difficile da ottenere. Ai fratelli Vladimir e Sergej Nabokov è stato offerto un posto in banca come impiegati: Sergej è rimasto una settimana, Vladimir ha resistito solo mezza giornata”. Vladimir per vivere faceva l’istruttore di boxe e di tennis e l’insegnante di inglese e di russo, “ma era la moglie Vera che portava i soldi a casa. Faceva la traduttrice, l’interprete e la segretaria. I coniugi Nabokov sono emigrati a Parigi nel 1937 perché Vera era ebrea e aveva perso il diritto di lavorare. Hanno vissuto tre anni a Parigi e hanno lasciato la Francia con la penultima nave partita legalmente per gli Stati uniti. Poco dopo la Francia è stata occupata dai nazisti”.
Quanti russi sono rimasti a Berlino durante il regime nazista? “Pochi, ma è un argomento su cui non sono state condotte molte ricerche. Gli ebrei russi sono finiti nei lager, se non sono riusciti a scappare prima. Parliamo comunque di numeri ridotti: all’inizio degli anni Trenta la comunità russa era circa dieci volte minore che all’inizio del decennio precedente. Dopo l’arrivo dei nazisti al potere, molti sono emigrati verso la Francia, l’Inghilterra e l’allora Cecoslovacchia”. Oggi, su quasi quattro milionidi abitanti, la comunità russofona di Berlino conta circa 300-350.000 persone (escludendo i profughi dall’Ucraina). Un calcolo esatto è difficile da fare, perché molte persone hanno preso la cittadinanza tedesca o sono arrivate da altri stati dell’ex Unione sovietica e non hanno mai avuto il passaporto russo. Secondo l’Ufficio statistico di Berlino e Brandeburgo, i russi registrati a Berlino nel novembre del 2021 erano appena venticinquemila. Una ricerca di Mediendienst Integration alla fine di giugno stimava in circa trecentomila i profughi ucraini arrivati a Berlino; la maggior parte ha poi proseguito per altre destinazioni o è tornata in Ucraina e in città sono rimasti circa in settantamila.
Ai tempi di Nabokov suo padre era una della personalità più importanti della comunità, oggi, il russo più famoso in Germania è “Vladimir Kaminer”, scrittore e dj, è nato a Mosca nel 1967 ed è emigrato in Germania nel 1990. In Italia alcune sue opere sono state pubblicate da Guanda e Mimesis. “Dopo tanti anni, la sua popolarità è chiaramente un po’ in calo, ma la distanza dal – chiamiamolo così – secondo più famoso, il poeta performer Aleksandr Del’finov, è ancora gigantesca”. Popolare tra i russi e tra i tedeschi che lo conoscono per Russendisko, serate che organizzava al Kaffee Burger e in altri locali di Berlino. “A Berlino si è stabilito anche Vladimir Sorokin”, scrittore nato a Bykovo nel 1955, le cui opere sono state pubblicate in Italia da Guanda, Einaudi e Bompiani “Vive per conto suo, non è parte della comunità. Si fa vedere poco in pubblico. Recentemente ha partecipato al funerale di Dmitrij Vrubel’” l’artista che ha dipinto il famoso bacio tra Brežnev e Honecker su un pannello del muro di Berlino: “Se una personalità come Sorokin fosse attiva, potrebbe diventare una figura centrale”.
Come potrebbe diventarlo anche la scrittrice Olga Grjasnowa, nata a Baku in Azerbaigian nel 1984, di madrelingua russa, ma scrive in tedesco. In Italia è pubblicata da Keller. “Le autrici e gli autori russofoni che scrivono in tedesco sono un caso a parte. Sono nati qui o sono arrivati da bambini e hanno studiato in Germania e quindi la loro conoscenza della lingua tedesca è pressoché perfetta. Ma non hanno niente a che spartire con la letteratura russa. Anche se il russo è la loro madrelingua, la loro lingua di lavoro è il tedesco”. Anche Kaminer parla russo e scrive in tedesco. “Sì, ma lui è stato il primo in assoluto. Nella redazione di Berlin.Berega, la nostra rivista letteraria, abbiamo dei giornalisti specializzati nella recensione di autrici e autori russofoni che scrivono in tedesco. L’anno scorso abbiamo pubblicato una recensione dell’ultimo romanzo di Grjasnowa, Der verlorene Sohn”, Il figlio perduto, inedito in Italia.