gioielli di famiglia

Incontri russi, gemme preziose e la visita a Mosca della regina

Micol Flammini

Elisabetta II incontrò Gorbaciov, Eltsin e Putin ed ebbe un’intuizione sul futuro. Le bastò un cane

Quando Elisabetta II arrivò a Mosca e tutti si chiesero quali  gioielli avrebbe portato con sé non era questione di civetteria o  osservazione petulante della vanità della sovrana: era una questione politica. Elisabetta venne invitata in Russia nel 1994, a capo del Cremlino c’era Boris Eltsin, che voleva dimostrare di aver chiuso con il comunismo per sempre  e  usare la visita  per rafforzare i rapporti commerciali con la Gran Bretagna: la sua Russia poverissima aveva bisogno di amicizie nuove, preferibilmente benestanti. La regina arrivò con il principe consorte, venne accolta all’aeroporto dal presidente russo e sua moglie Naina e la prima occasione per  mostrarsi ingioiellata sarebbe stata al Teatro Bolshoi. Molti dei gioielli che la regina utilizzava venivano proprio dalla Russia, da ambienti aristocratici russi, e tra la famiglia reale inglese e quella dello zar Nicola II, l’ultimo zar, c’era uno stretto rapporto di parentela: Nicola II chiese soccorso al cugino  Giorgio V durante la Rivoluzione bolscevica. Abile nella diplomazia e consapevole del ruolo storico di quella visita, la regina  optò per gioielli con una storia meno travagliata, meno legati a rivoluzioni e a tutto il retaggio che la visita aveva il compito di abbattere. La visita fu un successo, Eltsin non era però il primo leader russo che la regina aveva incontrato.

 

 

Aveva già ricevuto al castello di Windsor l’ultimo leader dell’Unione sovietica, Michail Gorbaciov, e quel viaggio, nel 1989, aveva avuto un valore storico importante: bisognava ricostruire il mondo, metterlo al sicuro e i due, che alla ricostruzione ci tenevano, non avrebbero potuto non incontrarsi. E quando incontrò un Vladimir Putin ancora giovane a Buckingham Palace nel 2003, parve avere un’intuizione su quanto quel mondo messo al sicuro potesse traballare da un momento all’altro, ancora una volta. L’ex ministro dell’Interno britannico, David Blunkett, ha raccontato come si è svolta la visita. Blunkett aveva portato con sé il suo cane, Putin entrò e il cane iniziò ad abbaiare. Il ministro si scusò con la regina, che fissò il cane, fissò Putin e disse a Blunkett: “I cani a volte hanno istinti interessanti, non è vero?”.

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)