la vita di una regina
Tutti i simboli di Elisabetta II
Madre e nonna, due grandi esempi. E Wallis Simpson, “quella donna”, da evitare. La principessa che non era nata per regnare ma capì presto il valore della monarchia
A parte sua madre, tre donne hanno influito profondamente sulla regina Elisabetta II: la regina Vittoria, sua nonna, la regina Mary e la signora Simpson. Le prime due erano modelli di dovere e serietà da seguire; la terza – “quella donna” – era l’esempio per tutte le cose da evitare. Il fatto che un Windsor potesse venir meno al suo dovere, per una donna simile e per una cosa borghese come “l’amore”, scosse la casa reale dalle fondamenta e ogni istinto, sia in Elisabetta man mano che cresceva che in suo padre salito al trono, fu volto a tentare di “restaurare” più che di riformare, la “ditta di famiglia”. L’“affaire Simpson” intaccò seriamente la cieca fede dei sudditi nella monarchia. E così come il modernismo fu un tentativo di restaurare la fede religiosa, persa grazie a Darwin e Einstein, attraverso un mosaico di citazioni come nei Canti pisani di Ezra Pound o La Terra desolata di Eliot, la reazione di Elisabetta fu di attaccarsi al cerimoniale e di evitare di attivare qualsiasi riforma fino a che non le fosse imposta; così come più tardi fu di precipitare suo figlio Carlo nel matrimonio per timore che finisse come lo zio David (Edoardo VIII). Come scrisse Yeats: “Le cose cadono a pezzi; il centro non può stare insieme”. Da un punto di vista pratico la principessa Elizabeth non sarebbe divenuta regina nel 1952, senza l’indesiderato aiuto di Wallis Simpson. La prima tra le molte differenze rispetto alle altre due signore reali era che Bessie Wallis Warfield era nata fuori dal matrimonio, nata da due esponenti della aristocrazia americana e non fu battezzata: ciò che rese il suo terzo matrimonio, quello col re abdicatario, non valido dal punto di vista religioso.
L’apprendista principessa
Il 1936 fu un anno di crisi nazionale e uno spartiacque per la famiglia della principessa Elisabetta, dato che i problemi di famiglia in quell’anno “dei tre re” furono per forza dinastici. Non solo furono i drammatici e traumatici avvenimenti di quell’anno a fare di Elisabetta l’erede al trono, ma essi avrebbero definito il suo modo di concepire la monarchia. Il modello modernista, in parte Hollywood in parte Hitler di Edoardo VIII e Mrs Simpson, rasentava sia il tipo presidenziale americano sia quello fascista anticostituzionale. Lo stesso era successo a Giacomo II nella Gloriosa Rivoluzione del 1688, che aveva stabilito la sovranità del Parlamento, quando l’ultimo re Stuart, un convertito cattolico, aveva tentato di introdurre in Inghilterra l’assolutismo nello stile di suo cugino Luigi XIV. Come ha scritto lo storico costituzionalista Ben Pilmott, l’abdicazione di Edoardo “riportò la monarchia indietro fino al 1688, quando il parlamento aveva privato un re del suo trono sulla base del fatto che non ne era degno”.
Giorgio V era salito al trono nel 1911 dopo che nel 1895 era morto suo fratello maggiore, ritardato mentalmente e dissoluto, e del quale sposò la fidanzata. Giorgio aveva le qualità, i limiti, il linguaggio salace e il modo di vedere di una persona educata come un ufficiale di Marina fin dall’età di 12 anni. Fortunatamente sua moglie, più intelligente di lui, personificazione scelta dalla regina Vittoria del dovere alla vocazione reale, era capace di aiutarlo nella lettura dei documenti governativi. Il primo ministro Lloyd George disse: “Il re è un allegrone e grazie a Dio non c’è molto nella sua testa. Sono gente semplice, molto molto normale, e forse nell’insieme è proprio così che dovrebbe essere”. Il re morì, secondo il protocollo, il 20 gennaio 1936. Si temeva che potesse morire troppo tardi per l’edizione del mattino del Times. Sarebbe stato disdicevole che la notizia comparisse nei giornali sportivi della sera, quindi dopo l’annuncio che “la vita del re si sta pacificamente avvicinando alla fine” il suo dottore, Lord Dawson, gli iniettò morfina e cocaina.
Il giovanile figlio quarantunenne arrivò pilotando il proprio aereo e senza cappello; entrambe le cose costituivano un primato per un monarca inglese ed erano sintomatiche del cambiamento. Prese il nome di Edoardo VIII in onore del nonno donnaiolo Edoardo VII. E’ significativo che dopo la sua abdicazione il suo successore sceglierà il nome di Giorgio VI per essere un secondo Giorgio V. A Edoardo VIII era piaciuto molto fare il principe di Galles, ma detestava essere re e può darsi che cercasse un’uscita strategica. Era ovvio che il re cercava di ottenere il divorzio prima dell’incoronazione per poi mettere il governo davanti al fatto compiuto. Quello che più offendeva era l’incapacità del re a capire che doveva fare un sacrificio in nome del dovere.
“Architettare l’abdicazione di un re e l’investitura di un altro in sei giorni senza neppure un accenno di reciproche ingiurie all’interno della famiglia reale, o tra essa e il governo, o tra il governo e l’opposizione. O trai dirigenti e i laboratori fu uno splendido successo”. I suoi genitori non nominarono mai “l’abdicazione” davanti a lei e nemmeno lo zio Davide (Edoardo VIII), ma la principessa Elisabetta, ora erede presunta, andò al piano inferiore di Piccadilly, 145 e un lacchè la mise al corrente della causa di tanto trambusto di visitatori. La ragazzina di dieci anni corse all’ultimo piano dove c’era la nursery a dare la notizia alla sorellina Margaret, di sei anni. “Vuol dire che anche tu sarai regina?”. “Sì, un giorno” rispose Lilibet. “Povera te” disse Margaret. Un ruolo che Margaret non avrebbe voluto per sé e negli anni che seguirono, nonostante tutte le difficolta a cui andò incontro, poté sempre dire: «Almeno non ho anche quel problema”.
La guerra a Windsor e i Windsor in guerra
Per la famiglia reale, principessa Elisabetta inclusa, la guerra ebbe buon esito, insomma fu un successo; per il duca e la duchessa di Windsor no. Il duca e la duchessa di Windsor erano così filonazisti e anti guerra che nel 1937 erano andati in visita personale da Hitler. Nel 1939 avevano tentato di sabotare con discorso del duca “per la pace a ogni costo” la visita importantissima dal punto di vista strategico del re e della regina in Canada e negli Stati Uniti.
Nella famiglia reale si erano sentiti sollevati quando il primo ministro Chamberlain era riuscito a convincere Francia, Germania e Italia a firmare il Patto di Monaco nel 1938; ma come il resto del paese nel 1939 si rassegnarono a quella guerra che avrebbe confermato re Giorgio VI e avrebbe rinforzato la monarchia dopo i barcollamenti dell’abdicazione.
Giorgio VI, che al pari di suo padre teneva un diario, scrisse: “Allo scoppio della guerra, tra il 4 e il 5 di agosto 1914, ero un cadetto di vedetta nel turno di notte sul ponte della nave di Sua Maestà Collinwood, da qualche parte nel Mare del Nord. Avevo 18 anni. Tutti nella Gran flotta eravamo contenti che alla fine il momento fosse giunto. Convinti che un giorno la guerra tra la Germania e il nostro Paese sarebbe scoppiata, ci eravamo preparati, e quando accadde credevamo di essere pronti. Non lo eravamo per quel che una guerra moderna era nella realtà, come scoprimmo in seguito. Quelli di noi che erano passati per la Grande guerra non ne volevano un’altra”.
“Chi è questo Hitler che rovina tutto?”, chiese Margaret alla loro governante Crawfie. La sorella tredicenne era meglio informata, pur essendo ancora vestita da bambina come la sorellina: la madre le regalò il primo paio di calze di seta per il suo sedicesimo compleanno. Come molti bambini cresciuti durante la guerra Elisabetta sarebbe passata dall’infanzia all’età adulta e alle responsabilità senza tempo per l’adolescenza. Le lezioni continuarono prima in Scozia, a Balmoral, fra i bambini di Glasgow evacuati, e poi nel grande castello normanno di Windsor, dove durante il blitz del 1940 andarono per un fine settimana, ma ci stettero cinque anni. Il re e la regina rimasero a Buckingham Palace anche se il palazzo, ospitando anche altre famiglie reali dell’Europa occupata, era un ovvio e facile bersaglio. Si allenavano a usare la pistola; due volte le bombe caddero a quindici metri da loro distruggendo la cappella in cui Elisabetta era stata battezzata. “Ora posso guardare a testa alta l’East End” (la zona dei Docks di Londra devastata dalle incursioni aeree), fu la reazione della regina.
La famiglia reale era nel mirino. A chi suggeriva che sarebbe stato meglio che le principessine per la loro sicurezza fossero mandate in Canada, come era per molti altri bambini privilegiati, la regina rispose: “Le ragazze non partono senza di me. Io non abbandono il re e il re certamente non parte”. La famiglia reale si attenne alle razioni di cibo e abbigliamento. Le vasche da bagno avevano una riga al livello di 5 pollici per segnare il limite dell’acqua. Era consentita una sola lampadina per stanza e non c’era riscaldamento e, dopo i bombardamenti, mancavano i vetri nelle stanze da letto di tutte le residenze. La signora Roosevelt, che nel 1943 fu ospite a Buckingbam Palace, rimase colpita dal menù e dall’alloggio spartani.
Le principesse reali furono usate per creare una nota positiva ma, come spesso succede, con risultati contraddittori. Da un lato si esaltavano le loro privazioni in “un certo posto in campagna”, dall’altro, la propaganda governativa le poneva al centro di un’immagine perfetta della famiglia, presentate su sofà e tappeti, circondate dagli orgogliosi genitori e placidi animali eia compagnia. A volte queste due immagini, non del tutto distanti dalla realtà, erano presentate insieme.
Come ogni sedicenne Elisabetta si mise in lista per il lavoro volontario, ma nonostante le sue proteste la sola cosa che il re le lasciò fare fu di divenire colonnello in capo delle Grenadier Guards, di cui un battaglione era stanziato nel loro castello di mille stanze. Come tutte le ragazze della sua età era passibile di coscrizione e divenne guidatrice di camion e meccanica nell’Auxiliary Territorial Service, le Forze armate femminili. Il suo corso per la guida e la manutenzione svolto con le soldatesse fu la prima e l’ultima volta in cui ebbe l’opportunità di confrontarsi con altre sue coetanee. La notte del Victory Day in Europa, 1’8 maggio 1945, la seconda subalterna Windsor n. 230873 poté usare la divisa come travestimento e unirsi alla folla del West End che a gran voce chiedeva che il re si affacciasse al balcone di Buckingham Palace. Quella notte il padre, nel suo diario, a proposito delle figlie scrisse: “Povere care, non si sono mai divertite. Proprio vero, tanto più che il giovanotto del ritratto che durante tutta la guerra era stato accanto al letto della maggiore era ancora sulla sua nave a combattere contro i giapponesi.
Filippo chi? Innamoramento di guerra
Il 22 e 23 luglio 1939, mentre si addensavano i nuvoloni della Seconda guerra mondiale, re Giorgio si recò in visita alla sua vecchia Alma mater, l’Accademia navale di Dartmouth. Sul panfilo Victoria and Albert. Con lui c’erano la regina, la tredicenne principessa Elisabetta e una paffuta principessa Margaret di 9 anni. Li accompagnava il capitano Lord Louis Mountbatten. Conosciuto nelle varie corti d’Europa come “Dickie”, che era l’aiutante di campo navale del re. Era pure il più “grande organizzatore di matrimoni reali d’Europa”. Con una conoscenza senza pari delle intricate genealogie principesche. Lui però aveva saggiamente sposato una ricca ma commoner ereditiera di sangue ebraico. Sostenitore dei laburisti, questo “socialista allo champagne” per eccellenza morì nel 1979 per lo scoppio di una bomba – un attentalo dell’Inla (Esercito irlandese di liberazione), affiliato dell’Ira – mentre andava in barca a vela con i nipotini nei pressi della sua casa nella Repubblica irlandese. Questa tragica e ironica uccisione, dato che Mountbatten era favorevole alla riunificazione dell’Irlanda, fece sì che non poté essere presente con i suoi consigli matrimoniali ad aiutare il suo “figlioccio” Carlo, nel momento della scelta.
Ma quella volta Mountbatten colse l’occasione per invitare ad aggregarsi alla visita il cadetto diciottenne Filippo di Grecia. Filippo su anche invitato al tè sul panfilo e fece colpo sulla futura regina giocando a tennis e scavalcando la rete con un salto.
Quando il bianco e dorato Victoria e Albert salpò, i cadetti lo seguirono a remi per scortarlo. Un’imbarcazione continuò a seguire la scia fino in mare aperto. “Maledetto pazzo di un giovanotto”, esclamò il re dal ponte accanto a un soddisfatto Dickie. Da poppa, la principessa osservava piena di ammirazione il biondo vichingo. La regina autorizzò il biografo ufficiale di suo padre a scrivere che si era innamorata del suo futuro marito la prima volta che lo aveva incontrato.
Ragazza decisa e metodica, la principessa aveva già deciso chi sarebbe stato suo marito durante il primo, e per sette anni quasi unico incontro. Come tante altre ragazze del periodo di guerra aveva il suo soldato al fronte a cui scriveva, e la cui fotografia teneva accanto al letto, baciandola prima di addormentarsi. Quando la governante Crawfie la rimproverò dicendo che la gente avrebbe potuto spettegolare, lei sostituì quella foto del principe Filippo con un’altra con la barba, così – disse – “nessuno l’avrebbe riconosciuto”. Filippo intanto otteneva successi in guerra, utili per la promozione sociale nel dopoguerra. Aveva iniziato la carriera in mare come “moccioso”, cioè cadetto di Marina semplice, su una nave da guerra di scorta ai convogli australiani verso il medio oriente. Questo anche perché come sesto in linea ereditaria al trono di un Paese non belligerante, la Grecia, non avrebbe dovuto essere troppo esposto al pericolo. Nessun divieto però riguardo alle delizie dei porti dell’estremo oriente e del sud Africa. L’invasione italiana della Grecia lo favorì: venne trasferito nel Mediterraneo sulla nave da guerra HMS Vàliante e “fu nominato nei dispacci” per il ruolo avuto nella battaglia di Capo Matapan.
Incoronata e unta sacerdotessa e regina
“Verace e fidato beneamato cugino - beneauguriamo. Avendo decretato per il secondo giorno del mese di giugno la solennizzazione della nostra incoronazione, queste lettere sono perciò per ordinare e comandare senza alcuna possibilità di scusa che voi partecipiate in persona, all’ora sopra nominata, vestito ed equipaggiato come il vostro rango e qualità richiedono in quel posto, a fare e rendere tali servizi quali saranno da noi richiesti”. Tale era il feudale e immutato comando reale della regina Elisabetta ricevuto da circa mille pari (ovvero cugini) del reame – duchi, marchesi, conti, visconti, baroni di essere presenti a Westminster Abbey. Per essere “vestito ed equipaggiato“, come il suo “rango e qualità“ richiedeva, un pari doveva presentarsi con un “mantello di velluto cremisi bordato di ermellino, una mantellina con pelliccia bianca pura e incipriata con strisce di ermellino, una piccola corona d’argento dorato con una sorta di cappello interno e con una nappina d’oro”. Il cappello serviva anche per conservarci i panini per rifocillarsi durante il lungo rituale. I manti e le rifiniture e di conseguenza il loro costo variano a seconda del rango. La cappa di un duca contiene cinquanta code di ermellino, quella di un barone solo due. Più mangiato dalle tarme il manto e meno lustra la corona – più antico è il titolo. Il mio ex suocero raccontava il suo problema di cercare di ricordare da quale sarto di Edimburgo il suo eccentrico nonno avesse lasciato i suoi paludamenti dopo l’incoronazione di Giorgio VI nel 1937. La cosa non era priva di importanza, dato che nel ’52 le cappe per l’incoronazione costavano 500 sterline, più 200 per gli abiti e altre 200 per spada e corona. L’equipaggiamento di una donna pari, vestito di seta e diadema, non sarebbe costato meno di 1.000 sterline; cifra con cui allora si comprava una villa. Però cappe con coniglio anziché ermellino si potevano affittare, molto discretamente, per 50 sterline al giorno.
La regina si era recata a Kensington Palace con l’ottantenne regina Mary, L’unica autorità per tutte le faccende reali, per vedere i vestiti e le insegne dell’incoronazione della regina. Che però erano troppo corti per Elisabetta; in più mancava la cappa di velluto purpureo. Ne ebbe una nuova, fatta dalla manifattura di toghe per accademici, giudici pari del Regno, Ede & Ravenscroft, fondata nel 1689, lo stesso anno del Bill of Rights che istituì la monarchia costituzionale dopo la Gloriosa Rivoluzione del 1688. Però, proprio come la monarchia e il Parlamento e i vescovi sono istituzioni medievali premoderne, così lo è l’incoronazione con il suo miscuglio di unzione cristiana, acclamazione teutonica e incoronazione romana.
La cerimonia di incoronazione risale a quella di re Edgar nel 973. Ha una logica visiva e non verbale, tipica di un’èra pre letteraria che si è facilmente trasposta nell’èra televisiva nuovamente dominata dall’immagine più che dalla parola scritta. “E’ una visione sinottica dell’intero sviluppo della democrazia moderna. All’inizio si ebbe timore che le telecamere mettessero in pericolo l’intimità della mistica cerimonia, ma ben 27 milioni di persone guardarono l'incoronazione per almeno mezza giornata. Per dirla con lo storico marxista Eric Hobsbawn, la monarchia britannica è “una tradizione inventata”. E questa è una cosa che gli inglesi sanno fare molto bene come dare al mondo le regole per gli sport: tennis, calcio, o rugby.
La regina arrivò all’Abbazia con la carrozza di Stato irlandese, alla testa di un corteo di 47 mila soldati di tutto il Commonwealth. I pannelli interni della chiesa, dipinti da Cipriani nel 1761, dovettero essere restaurati e altri cocchi reali furono presi in prestito dalle ditte cinematografiche a cui erano stati in precedenza venduti, a causa delle ristrettezze economiche del dopoguerra. In una carrozza aperta sedeva a testa scoperta, nonostante la pioggia costante, il personaggio preferito dal pubblico: la sorridente e troneggiante regina Salote di Tonga con il minuscolo scudiero. “Chi è quello?”, chiese qualcuno. “Il suo pranzo” rispose pranzo il commediografo molto famoso Noel Coward. Al suo ingresso in Abbazia fu accolta con l’acclamazione: “Signori, Vi presento la regina Elisabetta, la Vostra indubbia regina: imperciocché voi tuti qui siete convenuti in questo giorno a rendere il vostro omaggio e servizio, siete sempre intenzionati a fare lo stesso?”. “Dio salvi la regina”, tuonarono i presenti Lord, clero e popolo al suono delle trombe.
La giornata di una regina. Mattino
Alle sette e mezzo di ogni mattina feriale un’anziana signora che non potrà mai andare in pensione viene svegliata nella sua piccola camera da letto di cinque metri per tre da una delle cameriere con un vassoio d’argento con sopra una teiera d’argento e una tazza di porcellana con piattino e un bricco per il latte. Al suo “Goog morning Ma’am” segue un reale "Good morning” e mentre apre tende la cameriera fa commenti sul tempo e poi se ne va a far scorrere l’acqua nella vasca da bagno vittoriana di smalto con due grossi rubinetti di ottone. La regina intanto è già intenta ad ascoltare il programma di notizie di Bbc4, Today, da quella che chiama la wireless (senzafili) e non la radio, come tutti i tradizionalisti. La camera ha un letto “Queen size” (una piazza e tre quarti con un copriletto blu, lenzuola di cotone bianco cambiate ogni giorno e coperta di lana, nonché un’elegante cassettiera del Settecento con le fotografie in cornici d’argento dei suoi figli e dei suoi nipoti. In genere beve due tazze di tè, fa il bagno e poi indossa gli abiti che ha scelto la sera prima e che trova pronti nella stanza accanto, nel sobrio e ampio guardaroba. A parte le prime notti di luna di miele a Broadland nella camera da letto di Edwina Mountbatten decorata da Salvador Dalì. Di una normalità stile Magritte, Elisabetta deve aver trovato le stravaganti immagini di Dalì uno strano accompagnamento alle pratiche di produzione di un erede. Elisabetta e Filippo hanno sempre dormito nei rispettivi appartamenti, anche se a Clarence House avevano una porta comunicante. L’appartamento del principe Filippo è giù per il corridoio, lungo la stessa ala del Palazzo, e guarda su Green Park e Constiution Hill. Anche lui si è svegliato alle 7.30 e accende il programma Today altri quattro milioni di britannici, ma nel suo caso il fatto che prenda il caffè tradisce la sua educazione “continentale”. Se nessuno dei due ha un impegno di primo mattino, o un elicottero da prendere, si incontrano nella Breakfest Room. Filippo una volta si faceva servire il Full Monty: la colazione inglese tradizionale.
Ma con gli anni, attento com’è, non meno della regina, alla salute e al peso, consuma succo di frutta, toast e marmalade (marmellata di arance amare). Per tradizione non si parla a colazione, e questa è naturalmente la regola a “Buck House”, dove si scorre l’intera stampa britannica iniziando dai tabloid Sun, Star e Mirror per poi attardarsi di più sui giornali “grossi”, Daily Telegraph, Independent, Guardian e Times. La regina dedica poi mezz’ora al suo preferito, The Sporting Life” il quotidiano del mondo delle corse. Dopo la colazione la regina si avvia lungo il corridoio verso i suoi uffici che si affacciano su Green Park, dove arriva verso le 9.00 per la riunione quotidiana con il suo primo Segretario privato, incarico che equivale a quello di capo di un ministero, nonostante che a lui possano anche essere richiesti servizi anomali come quello di portare a spasso i cani. La regina sceglie personalmente tutto il personale e offre a entrambi una via d’uscita dicendo sempre: "Proviamo per un anno per cominciare, e vediamo se riusciamo a sopportarci a vicenda”. Immancabilmente il personale rimane per anni e usa parole come “avvincente”, “ispiratore”, “lavorare sodo” e “privilegiato” per definire il proprio lavoro. I dipendenti chiamano la regina “Ma’am” e lei chiama tutti per nome; ciò non viene preso come un senso di inferiorità anzi ,indica che si è considerati amici e degni di intimità in quella che e un atmosfera felice e distesa. Quando occorre però sa essere brusca con chiunque e ha la capacità di rendere evidente la sua disapprovazione o delusione a tutti, dal primo ministro in giù.
Lord Charteris, che è stato suo segretario privato per diciassette anni: “Conosco la regina da quarant’anni e non l’ho mai vista venir meno alla sua dignità, mai. Che rientri a casa bagnata e coperta di fango dopo una difficilissima caccia al cervo o che scenda dalla scaletta di un aereo in vestaglia per darmi un messaggio, è sempre la regina”. E una regina per la quale il ritardo è imperdonabile perfino se il colpevole è il confidente e cugino Dickie Mountbatten, ex comandante supremo alleato, ex viceré d’India, ex capo dell’Imperial General Staff. “Partii da casa sapendo che sarei stato in ritardo. Dissi al mio autista di filare come un matto e lui andò contro senso a una rotonda e lo stesso in una strada a senso unico per risparmiare qualche minuto vitale. Mi precipitai nella sua stanza, più o meno in ritardo di dieci minuti. Ero ansimante e senza fiato quando giunsi in sua presenza. La regina mi mi guardò dall’alto in basso e disse piuttosto seccamente: ‘Sei stato carino a deciderti a venire, alla fine. Forse ci possiamo vedere un altro giorno’, e se ne uscì dalla stanza. Mi sentii un microbo. Ma da quella volta non sono mai più stato in ritardo”. Ritardo per la regina significa mancanza di rispetto per la Corona.
La prima riunione della giornata della regina verte su quella che lei chiama la “temuta stampa”, ma che riconosce essere volenti o nolenti il filo che collega la nazione con la monarchia. Venticinque milioni di persone, ovvero il 70 per cento della popolazione adulta leggono gli undici quotidiani nazionali che vanno dai tabloid nutriti di scandali ai giornali più seri. È raro che il Palazzo risponda direttamente agli attacchi della stampa: ciò implicherebbe testimoniare in uno dei suoi tribunali di Giustizia. Si prende però sempre nota di quanto viene scritto, dove e da chi. La decisione della regina di cominciare a pagare le tasse e di sostenere personalmente le spese per il restauro del castello di Windsor dopo l’incendio del 1992 fu una risposta alle critiche della stampa. Una volta sola, nel 1983, la regina denunciò il Sun del repubblicano Murdoch che ave a pubblicato una storia sulla ragazza del principe Andrea, la “soft” pornostar americana che avrebbe scorrazzato a piedi nudi negli appartamenti reali.
Segue l’esame del rapporto quotidiano preparato dal vice ciambellano della casa reale sulle attività parlamentari del giorno precedente – la regina rende nota di qualsiasi cosa voglia poi discutere durante il regolare incontro del martedì sera con il primo ministro. A questo punto le vengono anche portate le varie alternative per il pranzo, scritte in francese su un quadretto rilegato in pelle verde, anche se i cuochi sono inglesi. Le piace il cibo semplice e naturale: nulla di stravagante come caviale o fois gras. E’ per una nouvelle cuisine modificata e da molta importanza alla presentazione, esigendo che tutto, carne, pesce, verdura, patate, sia tagliato in pezzetti meticolosamente regolari.
Deve poi occuparsi della posta esaminata e smistata in precedenza da un’équipe di sette persone. Risponde personalmente o attraverso le sue dame di compagnia a tutte le lettere che riceve. Mia figlia minore ne ebbe una di ringraziamento per averla invitata alla sua festa di compleanno. Ma più le più importanti di tutto, giorno e notte, sono le “valigette rosse” da leggere e siglare. La regina (e da una certa data anche il principe Carlo) sono le uniche persone, oltre al primo ministro, a ricevere le informazioni di tutti dipartimenti governativi e tutte le istruzioni e le circolari del ministero degli Esteri e i rapporti dell’MI6 e dell’MI5. Diversamente dal primo ministro riceve anche lettere e informazioni dai Paesi del Commonwealth di cui è il capo di Stato come Canada, Australia. e Nuova Zelanda. In base al Bill of Rights dd 1689 il Parlamento è supremo, ma il sovrano va informato di tutte le azioni del governo di Sua Maestà in modo da soddisfare “il suo diritto a essere consultato. il suo dovere a incoraggiare, il suo diritto a mettere in guardia”. Deve seguire attentamente le faccende di governo dato che, La Costituzione inglese di Bagehot, se entrambe le Camere del Parlamento le inviano la sua condanna a morte. lei non può non firmarla.
La giornata di una regina. Pomeriggio
La regina madre Elisabetta, vedova di Giorgio VI morta nel centoduesimo anno d’età, era uno dei cosiddetti “tesori nazionali”. Di vecchie idee populiste ed era nota per il suo amore per le corse dei cavalli – era l’unica “privata”, ad avere un collegamento telex con tutte le corse con il Tote (il il totalizzatore tramite il quale si effettuano le scommesse) – e si sa che non le dispiaceva bere, di preferenza gin e Martini. Un mio amico che l’ha avuto come ospite mi assicura che il principe Carlo copia l’adorata e indulgente nonna anche nella predilezione per questo aperitivo. Una volta, prima di pranzo, a Palazzo, la regina madre chiese alla figlia Lilibet se volesse un altro gin tonic. “No grazie, mamma” fu la risposta. “Dobbiamo regnare, oggi pomeriggio”.
Come capo del Commonwealth la regina qualche volta ha espresso opinioni che divergevano da quelle del suo pruno ministro. Come fu ai tempi di Margaret Thatcher quando ad esempio la regina come capo del Commonwealth era favorevole alle sanzioni contro l’apartheid e Thatcher era contraria.
In qualità di ex segretario privato Lord Charteris ha detto: “La sua trasparente onestà è di grande incoraggiamento. Le si può parlare di tutto, da comportamento dei figli portamento dei figli a qualsiasi altro argomento. Basta dire: ‘Ma’am, questo è quel che dice la gente’. In genere ascolta attentamente ed è contenta di essere informata”.
Una buona fonte di informazione sono pure i suoi pranzi a cui può “comandare di venire” a persone di ogni provenienza sociale e culturale di interesse per il Palazzo. Possono essere calciatori o finanzieri, accademici o attori, uomini e donne d’affari o architetti, direttori di giornali, editori o ecclesiastici. Agli ospiti è “ordinato” di arrivare per le 12.30 e viene loro inviato uno speciale adesivo per l’automobile. Un lacchè li scorta fino alla Sala degli Inchini, decorata in color panna e oro, dove sono accolti e fatti accompagnare da una dama di compagnia e da uno scudiero, e viene servito loro un aperitivo. Quando tutti gli ospiti sono al completo arriva la regina, accompagnata in genere da alcuni corgi, i suoi cani preferiti, e il pranzo è servito alle 13.10 in punto nella sala che risale al 1844 e dove i posti a sedere sono accuratamente assegnati. La regina siede al centro del tavolo, di fronte al principe Filippo o al principe Carlo. L’ospite più importante siederà alla destra della regina, mentre una signora starà alla destra del duca. Durante la prima e la seconda portata la regina parlerà agli ospiti seduti alla sua destra e durante la terza e la quarta parlerà a quelli seduti alla sua sinistra. Verso la fine del pasto parlerà con tutti gli altri ospiti. Dopo pranzo la regina porta la sua dozzina di corgi a passeggio nei giardini del palazzo e poi fa un riposino scorrendo una copia di The Sporting Life e il suo manuale sull’allevamento dei cavalli, che studia nella speranza di realizzare la grande ambizione della sua vita: allevare un vincitore di Derby.
Nel pomeriggio, in una serie di “ricevimenti di quindici minuti”, vede gli ambasciatori stranieri. Altre volte può darsi che si tratti di un gruppo di Guide, delle ragazze Scout. Più volte all’anno ci sono le cerimonie di investitura da conferire a gruppimolte persone. Questo richiede un’accurata preparazione, dato che la Regina deve essere in grado di chiacchierare in modo informato ma informale con ognuno di loro. Il tè servito alle 17. E’ una speciale miscela di foglie cinesi e indiane fornita da Twinings che si può acquistare da Fontum and Mason a Piccadilly. La regina lo prende con latte ma senza zucchero e lo accompagna con i tradizionali tramezzini al cetriolo e il fruit cake di Dundee. Alle 17.30 giunge il momento clou della sua giornata: il pasto dei suoi corgi, bovari gallesi dalle gambe corte dal pessimo carattere, difficili da addomesticar e di alcuni “sbagli” detti dorgies, risultato di un incrocio non intenzionale tara una corgi e il bassotto (dachsund) della principessa Margaret.
I lacchè in livrea sono convocati con un campanello. Il primo stende per terra un grosso telo di plastica verde e poi una fila di ciotole, ciascuna con un nome. Viene poi portato un grosso recipiente di cibo e la regina con un cucchiaio d’argento versa a ognuno la sua porzione, mentre i lacchè stanno attenti che tutti rispettino il loro turno. Durante i weekend l’intera truppa canina ammassata in una Rolls Royce se ne va a Windsor. A Sandringham la regina alleva labrador neri addestrati per la caccia. In segno di grande onore ne regalò uno al presidente Giscard d’Estaing, che però sembrò apprezzare di più i diamanti di re Bokassa.
Alle 18.00 la regina guarda le Notizie delle 6 della Bbc e ascolta anche il World Service della Bbc per le notizie dal Commonwealth. Se non ci sono impegni formali, il principe Filippo e la regina si vestono per una cena privata, lui in giacca smoking e cravatta a farfalla, e lei con un abito da sera, ma corto. Possono avere come ospiti un paio di vecchi amici. Dopo cena guardano la televisione. Alla regina oltre alle notizie piacciono gli spettacoli comici e i vecchi film. Il duca non sopporta queste “dannate schifezze” e spesso si ritira nel suo studio a guardare dei documentari. Lei poi va a letto o decide di passare in rassegna notturna una “cassetta rossa”. La Libreria reale di Piccadilly, Haltchards le manda in visione una selezione di libri che può comprare o restituire. Lei legge gialli, biografie e romanzi moderni. Per definizione la regina non può andare in pensione ma, quando dorme, può sempre sognare di allevare un vincitore di Derby, come fece il suo bisnonno Edoardo VIl con Persimmon nel 1897.
L’Annus horribilis
La Magna Charta nel 1215 stabilì che anche il monarca era sottoposto alla legge, proibendogli il potere di arresto arbitrario. Il 1649 vide un re, Carlo Stuart, processato dal Parlamento e giustiziato per “aver fatto guerra al suo popolo”. Con la Gloriosa Rivoluzione del 1688 Giacomo Il fu deposto dal Parlamento per aver tentato di sovvertire la Costituzione e l’appartenenza confessionale del regno. Alla sua incoronazione, nel 1760, Giorgio Il consegnò tutti i beni reali al Parlamento in cambio di uno stipendio annuale. La regina sottostà alla legge. Diana, principessa di Galles, pensava di essere al di sopra di essa. Disobbedendo alla legge inglese e francese non allacciò la cintura di sicurezza. Se avesse obbedito alla legge ora sarebbe viva, come lo è la guardia del corpo che era sul sedile anteriore della Mercedes di Fayed.
Inoltre, se non avesse rifiutato la protezione di una guardia del corpo reale della polizia britannica, per il fatto che questi avrebbe, per dovere, segnalato i suoi movimenti, come quelli di tutti, alla regina, non si sarebbe mai trovata in una situazione così pericolosa, contraria a ogni principio di sicurezza.
Ma questo sarebbe accaduto molti anni dopo, il 31 agosto 1997 a Parigi, quando Lady Diana Spencer, ormai solo Principessa di Galles nel trattamento dinastico dopo il divorzio dell’anno precedente, morì a Parigi. L’annus horribilis familiare, determinato dai comportamenti di figli e nuore, era stato però il 1992. L’anno degli adulteri, delle separazioni e degli allontanamenti che si concluse, quasi in modo simbolico, il 20 dicembre e, con l’incendio della “casa” di Elisabetta, il castello di Windsor.
Fu nei mesi successivi, quando l’ultimo figlio Edoardo ufficializzò a sua relazione con Sophie Helen Rhys-Jones, una commoner istruita e assennata che aveva conosciuto nel 1987 a Radio Capital, dove lavorava per l’ufficio stampa, che Elisabetta iniziò a sperare che la sua ultima nuora si sarebbe rivelata più gestibile delle due precedenti. Forse la salvezza di Sophie oggi di Wessex sta nel fatto che prima di sposarsi aveva un lavoro, così come pure il marito, e lo mantennero finché la sicurezza antiterrorismo e gli impegni ufficiali lo permisero. Si sposarono, con calma, solo nel 1999.
Diana e “Fergie”, a distanza di anni, e al confronto con i duchi di Wessex e i futuri monarchi William e Kate (diverso pare il caso di Harry e Meghan) sembrano ora dei dinosauri di un’èra in cui, almeno nell’ambiente conservatore dei cavallerizzi di corte, c’erano ancora ragazze non istruite la cui unica carriera era la caccia a un marito ricco che le potesse mantenere nel livello economico-sociale a cui la loro educazione faceva credere di avere il diritto di continuare a vivere. La loro mancanza di istruzione era l’equivalente britannico del costume cinese di fasciare i piedi. Pensavano che la rivoluzione thatcheriana significasse “spendere, spendere, spendere”, oltre a una vita di lusso con gli “alimenti” del divorzio in un’orgia di auto gratificazione psicoterapia. In realtà, Thatcher voleva un mondo in cui una Sophie Rhys-Jonesn potesse andare all’università, dirigere un business e sposare un principe. Come disse Susan Barrantes, una vecchia fiamma del principe Filippo, alla madre di “Fergie”, la duchessa di York Sarah Ferguson: “Avevo grandi aspettative per tutti e due, Andrea e Sarah. Mi sembravano fatti uno per l’altra. Sarah sembrava avere una buona influenza su di lui. Pensavo che l’avrebbe fatto diventare uomo”. La regina fu rattristata e delusa, quando esplose l’ultimo scandalo di infedeltà della moglie di Andrea, dato che Sarah Ferguson, con il suo entusiastico e semplice amore per gli sport come la caccia e la caccia alla volpe, era di gran lunga la sua favorita. Al contrario di Diana, era “il suo tipo di ragazza”. Quello che Fergie aveva davvero in comune con Andrea era l’amore per il sesso e il cattivo gusto. Ma mentre i divertimenti pre-coniugali di “Randy Andy” con tipe come l’attricetta soft porno Koo Stark erano accettabili al pubblico, le infedeltà coniugali di Fergie, documentate da foto, non lo erano. Elisabetta accettò, in quello che chiamò il suo annus horribilis, il 1992, la loro separazione.
La “storia d’amore da favola” tra Diana Spencer e il principe di Galles Carlo non era mai iniziata a partire dal quel febbraio 1981 in cui avevano annunciato il loro fidanzamento. Carlo, da quasi un decennio sapeva di aver trovato l’anima gemella in Camilla Parker Bowles. Anche Diana lo sapeva e accettò. Lui voleva una persona adatta a dargli un futuro re, lei voleva disperatamente essere principessa di Galles. Entrambi erano decisi a essere innamorati, Diana con entusiasmo, Carlo più riluttante.
Di ritorno dalla luna di miele Diana entrò in quella che un parente reale chiamava “una famiglia molto strana. Non sono né accoglienti né affabili, sono probabilmente la famiglia meno affettuosa che abbia mai incontrato”. Nell’estate del 1992 Elisabetta disse a una dama di compagnia: “Ho avuto gli incubi e tante di quelle notti insonni preoccupandomi per Carlo e Diana, sapendo che una rottura del matrimonio causerebbe tanto danno. Continuavo a ricordare le conseguenze che l’abdicazione ebbe sulla famiglia. Non si deve lasciare che una cosa simile si ripeta”. Diana era troppo ingenua per rendersi conto che il compito dei suoi detective era di informare il Palazzo di “tutti” i suoi movimenti, e che la regina era a conoscenza di “tutti” i suoi numerosi amori. Diana non credeva veramente che la regina avrebbe permesso una separazione e rimase scioccata quando Elisabetta, consapevole che la stampa l’avrebbe presto scoperta “in flagrante” il 9 dicembre 1992 fece annunciare ai Comuni, dal suo primo ministro John Major, che il principe e la principessa di Galles avevano deciso di comune accordo di separarsi.
Tuttavia per la regina celebrare quarant’anni di regno sul trono con una separazione reale per l’erede al trono e un divorzio reale fu devastante, come ammise con la sua dama di compagnia: “Un giorno ne avevo proprio abbastanza; me ne andai a letto, mi sdraiai e piansi. Non sapevo neppure per chi fossero le lacrime: me stessa, i miei figli o l’orribile, spaventosa situazione. Per me furono i peggiori anni della mia vita. A volte, quando pensavo a come tutto era finito male per i miei figli, le lacrime mi salivano agli occhi e dovevo ritirarmi. Era orrendo”.
Poi ci fu il Sun del repubblicano australo-americano Rupert Murdoch che accanto alle donne nude impartiva lezioni con titoli come “La colpa è di come li hai educati, Ma ’am”.
Il 1992 fu anche l’anno dell’incendio della casa dove Elisabetta aveva trascorso la sua infanzia, il castello di Windsor, e della forte decisione che spettasse a lei pagare personalmente i 60 milioni di sterline per il restauro. Allo stesso tempo fu raggiunto un accordo con il ministero delle Finanze perché il monarca paghi più tasse sul reddito, e sulla successione (40 per cento), sui beni privali, stimati in 350 milioni di sterline. Questo comunque era già in parte nei programmi del “gruppo di consultazione sulla via futura” che stava programmando lo sviluppo della monarchia. Oggi in Gran Bretagna la spesa per il mantenimento della regina è stata dimezzata. La monarchia con le sue home pages in Internet e i suoi account sui social è un marchio mondiale che promuove il marketing della propria immagine. Il suo valore è maggiore del prodotto-Gran Bretagna. Di nuovo un altro adattamento, poiché dopo la Devolution la famiglia reale è attenta ad assicurarsi che, quand’anche il Regno Unito si separasse in due regni indipendenti, Inghilterra e Scozia, e un principato, il Galles, essa sia sempre alla testa dello Stato di questa confederazione multinazionale, così come lo è nel Commonwealth.
Diventare immortale
Nel cinquantesimo anniversario dell’ascesa al trono, il Golden Jubilee – il primo dopo quello della regina Vittoria – Elisabetta II si trova fondamentalmente a essere l’unico membro di una minoranza etnica fermata da lei sola. La più piccola delle molte minoranze etniche che costituiscono il 30 per cento della popolazione della sua post imperiale capitale. Come loro discende da immigrati – nel suo caso, dalla Germania e dalla Scozia. Forse è stato un bene per la nazione che i sovrani abbiano origini straniere. Dopo l’annus horribilis 1992 e in particolare, il “fascismo floreale” della morte di Diana, a Buckingam Palace è stato creato, sotto la direzione della regina, il gruppo Way Haed (come procedere) che ha cambiato l’immagine della monarchia, consentendole di arrivare al cinquantesimo anniversario più in forma e più snella e popolare. L’atteggiamento dei sudditi in confronti del sistema monarchico è sempre più pragmatico e concreto. Il sovrano è il presidente senza poteri esecutivi della GB Spa.
Ora più che mai è la monarchia che unisce il regno unito e rappresenta un baluardo contro l’ascesa del nazionalismo che, diversamente, ha segnato e insanguinato altri “nuovi” stati nazione europei. Il 21 aprile 2006, quando Elisabetta compì 80 anni, ha ricevuto 40 mila biglietti di auguri e 17 mila email. La sua amata sorella principessa Margaret era morta nell’anno del Giubileo del cinquantenario, il 9 febbraio 2002, a soli 71 anni ma segnata da uno stile di vita tanto diverso dal suo. Il funerale si celebrò nella cappella di St. George al castello di Windsor. Dove quasi vent’anni dopo, nella clausura della pandemia, una Elisabetta segnata da silenziose lacrime avrebbe detto addio al suo Filippo.
Guardando già più in là
Profondamente diversi, grandiosi, e una celebrazione dell’autentico affetto della popolazione alla monarchia, erano stati poco tempo dopo, in quello steso anno di giubileo, i funerali di Elizabeth Bowes-Lyon, la Regina Madre. Nemmeno due mesi prima, con un femore rotto, a 101 anni, aveva preso un elicottero da Sandringham per partecipare ai funerali della figlia Margaret. Il 30 marzo scattò l’“Operazione Tay Bridge”, la gestione ufficiale monarchica delle esequie della regina madre. La salma fu esposta al pubblico per quattro giorni nella Westminster Hall costruita nell’anno Mille. Il funerale di stato della Regina Madre fu nella augusta Westnmister Abbey, fondata da Edoardo il Confessore, l’ultimo re anglosassone.
Nonostante la storica solennità, il funerale fu un capolavoro di re-invenzione della tradizione e ha portato molti a speculare su come possano essere i piani top secret della “Operazione London Bridge” per l’ultimo saluto a Elisabetta. Ma nel frattempo sono trascorsi altri venti anni, e i piani possono essere stati ancora modificati. Il tempismo alla frazione di secondo delle bande militari, accorpate con cornamuse e tamburi, e i soldati in divisa cremisi che precedevano il feretro furono ovviamente impeccabili: il Big Ben scoccò l’ora nell’esatto momento in cui passavano, come da copione. C’erano però anche tratti che rivelavano come la Bbc e i giornali sinistrorsi non avessero colto nel segno. Il Guardian aveva titolato “L’ultimo saluto incerto rivela una nazione divisa”. Ma dovette ammettere di essersi sbagliato e poi scrisse: “Questi sono giorni in cui i repubblicani devono muoversi con umiltà”. Perché di fatto, alla fin, milioni di persone di ogni età, classe, colore, fede, fecero la coda per quattro giorni per passare davanti al feretro dove i principi si alternavano alla guardia sull’attenti. Westminster Hall dovette essere lasciata aperta di notte “per permettere alla folla di renderle omaggio: perché era una di noi. Era un simbolo dell’Inghilterra”, come uno dei tanti partecipanti disse al corrispondente della Rai, Antonio Caprarica. Uno dei soldati che montavano i cavalli di traino dell’affusto di cannone su cui poggiava la bara era una ragazza dai lunghi capelli biondi; la principessa Anna in divisa della Marina con calzoni marciò nel corteo di apertura assieme ai fratelli. Era stata invitata anche l’allora signora Parker Bowles, C’era una cospicua presenza di soldati e poliziotti di minoranze etniche oltre a reggimenti di ogni parte del Commonwealth, di cui la regina madre era colonnello in capo. Si può forse spiegare così perché un milione e mezzo di persone si allinearono lungo il tragitto e in tutto il mondo furono un miliardo coloro che guardarono la cerimonia in televisione.
Dalle piazze ai palazzi