oltre il campo
Noi alleati siamo pronti a una eventuale vittoria dell'Ucraina? Appunti
L’idea delle “concessioni” è trasformata dalle conquiste. Il rapporto dell'Europa con una Kyiv che non sarà più la stessa, non solo militarmente
Se ancora qualcuno ha dei dubbi su quanto sia stato sbagliato il calcolo espansionistico e genocidiario di Vladimir Putin in Ucraina, ora ci sono gli abbracci. Gli abitanti delle città riconquistate dall’esercito ucraino, in una delle controffensive più rapide ed efficaci della storia moderna, vanno incontro ai soldati liberatori e li abbracciano. Sorridono e abbracciano e piangono e riabbracciano. E appena finisce uno, inizia un altro: una catena di gratitudine. Queste sono terre che hanno sempre amato i russi, a volte preferendoli al governo centrale ucraino; queste sono le terre in cui i consiglieri di Putin hanno fatto per anni la loro operazione “cuore e menti” e, pensandola conclusa, hanno detto al capo: ci accoglieranno con calore. Queste sono le terre che, secondo Mosca, si sarebbero consegnate facilmente, pronte, addirittura contente, della sottomissione. Invece ora, dopo aver conosciuto da vicino l’occupazione russa, senza dire una parola (la diranno, e scopriremo altri orrori) vanno ad abbracciare i soldati ucraini che issano la bandiera azzurro-gialla e strappano i cartelloni russi.
Intanto i soldati di Mosca, maltrattati, malpagati, maladdestrati, non combattono, salgono sulle biciclette e scappano, pur sapendo che non c’è salvezza per loro nemmeno quando saranno fuggiti, soprattutto quando saranno fuggiti. Queste loro corse lontano dai luoghi della guerra e dei crimini di guerra raccontano il doppio errore putiniano: ha sottovalutato la forza degli ucraini (e anche una cosa ben più prevedibile: se rendi miserabile la vita delle persone con le bombe e la ferocia, quelle persone cambieranno idea su di te) e ha sopravvalutato la determinazione dei suoi. Così, mentre ci interroghiamo su quale sarà la prossima mossa di Putin, inizia a circolare una domanda: e noi, noi siamo pronti all’idea che l’Ucraina possa vincere questa guerra?
Anne Applebaum, che questo conflitto lo ha decifrato come pochi altri, scrive sull’Atlantic: “Si è creata una nuova realtà: gli ucraini potrebbero vincere questa guerra. Ma noi occidentali siamo davvero preparati a una vittoria ucraina? Sappiamo quali altri cambiamenti questa potrebbe portare?”.
La parola vittoria suona ancora prematura naturalmente: c’è stata una svolta importante sul campo, ma la strada per la risoluzione del conflitto non è dritta e non è sicura. Ma la svolta c’è stata e cambia l’impostazione che gli alleati occidentali hanno finora dato alla guerra. La linea era: aiuteremo gli ucraini in ogni modo possibile perché si possano sedere al tavolo del negoziato in una posizione di maggior forza possibile, e allora Kyiv, e soltanto Kyiv, deciderà quali concessioni è disposta a fare (sul “soltanto Kyiv” a lungo non c’è stato un accordo compatto). Tralasciando chi diceva che i russi avevano già vinto e che fosse inutile nonché pericolosissimo armare gli ucraini, l’idea delle concessioni inevitabili era per lo più condivisa. Dal 2014, dopo l’annessione della Crimea da parte della Russia e dopo l’occupazione dei russi di parte dell’est ucraino, quei territori sono diventati per l’occidente russi. Di fatto russi, con la forza russi. Mettere in discussione questo assunto equivaleva a dire: eh, ma questi ucraini vogliono troppo, non si accontenteranno, dobbiamo contenerli. La stessa cosa ha iniziato a valere per i territori presi dall’esercito russo dal febbraio di quest’anno, e quando qualcuno diceva che una concessione territoriale del 30 per cento di un paese aggredito da un esercito straniero era improponibile, ripartiva la litania: volete troppo, l’isteria ucraina vi ha contagiati, calmatevi tutti. Le concessioni insomma erano, in forme ed entità diverse, date per scontate.
Ora non più e questo pone di fronte l’occidente ad altre considerazioni, e a una nuova preparazione. Il ministro della Difesa ucraino, Oleksii Reznikov, ha detto durante questo fine settimana eccezionale che “la vittoria” dovrebbe ora includere non soltanto il ritorno ai confini dell’Ucraina come erano nel 1991 – compresa la Crimea e il Donbas – ma anche i risarcimenti per pagare i danni materiali e i tribunali per i crimini di guerra per restituire alle vittime un senso di giustizia. Troppo? Siamo di nuovo di fronte a pretese esose?
L’Ucraina uscirà da questo conflitto radicalmente diversa, non soltanto più forte militarmente, non soltanto molto più europea (non una semplice frontiera), ma anche più nazionalista e meno propensa a tollerare qualsivoglia convivenza con l’aggressore: riprendersi i territori e ristabilire la propria sovranità non compenserà l’Ucraina dell’invasione. E così anche noi alleati dovremo cambiare, perché avremo a che fare con un partner trasformato dalla guerra. Secondo la Applebaum, il primo cambiamento significativo non riguarderà noi, quanto la Russia: Vladimir Putin non potrà accettare né la sconfitta né i costi della sconfitta. “Quando dico che gli americani e gli europei devono prepararsi a una vittoria ucraina – scrive la Applebaum – intendo: dobbiamo aspettarci che una vittoria ucraina, e certamente una vittoria nel senso ucraino del termine, porti alla fine del regime di Putin”. E questa non è una previsione, ma “un avvertimento”: “La possibilità di instabilità in Russia, una potenza nucleare, terrorizza molti. Ma potrebbe essere ormai inevitabile. E se questo è ciò che sta per accadere, dobbiamo anticiparlo, pianificarlo, pensare alle possibilità e ai pericoli”, scrive la Applebaum.
In realtà, la sconfitta militare dei russi, se sconfitta sarà ed è ancora tutto da vedere, non significa automaticamente la fine del regime di Putin. Quando gli americani intervennero in Kuwait per cacciare l’invasore iracheno, Saddam Hussein, il regime di Baghdad non crollò. Ma il punto è la preparazione: se cambiano gli equilibri sul campo, cambiano anche gli equilibri diplomatici e le conseguenze riguardano di certo la Russia e Putin, ma anche il rapporto futuro dell’occidente, e soprattutto di noi europei, con un’Ucraina che non sarà più la stessa, non soltanto militarmente.