lupo mangia lupo

Cosa pensano i russi dell'alleanza con la Cina

Micol Flammini

Putin e Xi Jinping si incontrano a Samarcanda e anche i putiniani cercano di giustificare le simpatie cinesi del presidenti. L'idea dei cittadini invece la mostra bene un cartone animato

I russi sarebbero pronti a respingere  l’invasione da parte di una potenza confinante? Come reagirebbero? Avrebbero i rifugi? Saprebbero dove fuggire? “Masyanya” è un cartone animato ormai bandito dalla televisione russa, ma ancora disponibile su YouTube, e in una  puntata ha cercato di immaginare proprio questa situazione: una città chiamata Sankt-Mariuburg, un posto fantastico   tra l’ucraina Mariupol e la russa San Pietroburgo, viene colpita dalle bombe. I personaggi, tra cui la protagonista Masyanya e il suo fidanzato, vengono svegliati dall’attacco,  nel rifugio improvvisato tutti si chiedono: ma perché, eravamo amici. Tra lo stupore e la paura, i vicini sono diventati aggressori e si scopre che ad attaccare  è stata la Cina. Finiti i bombardamenti i personaggi vedono la devastazione, contano i morti, sembra l’Ucraina, invece è un cartone russo che mostra come la relazione tra Mosca e Pechino non sia né  tranquilla né ben vista. 

 

 

Oggi si incontreranno a Samarcanda, in Uzbekistan, il presidente russo Vladimir Putin  e il suo omologo cinese Xi Jinping, l’ultima volta si erano visti alla cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Pechino, quando avevano sancito l’inizio di “un’amicizia senza limiti”: venti giorni dopo il capo del Cremlino avrebbe lanciato la sua operazione su vasta scala contro l’Ucraina. Se in quell’occasione Putin abbia comunicato le sue intenzioni a Xi Jinping è la domanda chiave per capire il ruolo della Cina in questa guerra. L’altra domanda è se Putin a Pechino abbia cercato rassicurazioni economiche. Non ci sono risposte, ma oggi che l’incontro avverrà alla luce della controffensiva ucraina avrebbe senso domandarsi se tra i due cambierà qualcosa. Russia e Cina condividono il nemico, l’occidente, il confine, 4.250 chilometri, e sono abituate a vivere a stretto contatto, a osservarsi. C’è un’isola tra i fiumi Ussuri e Amur, che si chiama per i russi Bolshoi Ussuriysky e per i cinesi Heixiazi, che è stata motivo di litigi per oltre 150 anni, con la sua posizione perfettamente incastrata tra le due nazioni e che oggi è diventata uno sfoggio di ordine nella parte di Pechino, e di decadenza nella parte russa. Le due nazioni condividono ferrovie, che spesso, nel modo in cui sono tenute, ricalcano la stessa divisione dell’isola. 

 

Questa amicizia è di necessità e  le simpatie di Putin per la Cina non piacciono. Prima dell’invasione, i giornali russi con fonti interne al Cremlino raccontavano di funzionari poco ascoltati che tentavano di far capire al presidente che l’invasione avrebbe indebolito i rapporti con i partner europei, reso più complessi quelli già difficili con gli Stati Uniti e avrebbe portato la Russia tra le braccia di una potenza rapace e con cui i rapporti e gli scambi erano ancora tutti da costruire. Oggi Putin rischia di non essere più visto come il garante della stabilità, motivo di vanto che lo aveva tenuto così in alto nelle considerazioni dei russi, e nessuno quanto Mosca sa che l’instabilità è preziosa per le potenze rapaci  che sanno sempre bene come prosperare nel caos. La Russia lo ha fatto ovunque e per vent’anni, ne conosce i rischi, il copione, le conseguenze e sa che anche la Cina ha imparato a farlo (e ha studiato dai migliori, i russi). Per questo l’amicizia con Pechino non è gradita nemmeno tra i putiniani, che in questi giorni cercano di dimostrare che Putin sa bene con chi ha a che fare. 

 

Andrei Kortunov, capo del Consiglio affari internazionali della Russia, è un analista politico e di recente ha pubblicato un articolo in cui spiega che Mosca non diventerà un “vassallo” di Pechino: è solo una percezione occidentale che nasce da una semplificazione. Americani ed europei, spiega Kortunov, vedono la Russia come un’ingenua Cappuccetto rosso pronta a dirigersi tra le fauci del lupo. L’analista contesta anche chi vede nella Cina una Fata turchina che libererà Mosca dalle matrigne occidentali e spiega che Vladimir Putin ha dedicato tutta la sua presidenza al rafforzamento della sovranità russa e quindi non sarà lui a sacrificarla per rapporti migliori con la Cina. 

 

Putin e Xi sono a Samarcanda per il vertice Sco, l’incontro dei leader eurasiatici sulla politica regionale, l’economia e la sicurezza e  si svolge in un paese dell’Asia centrale, in cui Russia e Cina hanno iniziato a convivere da anni. La guerra russa in Ucraina ha però portato molti paesi a diffidare dall’alleanza con Mosca, che ieri ha perso in modo definitivo un alleato, il Kazakistan. Il paese potrebbe presto uscire dalla Csto, l’alleanza difensiva che la lega militarmente alla Russia, e ieri ha ricevuto una rassicurazione importante da parte di Xi Jinping, che ha scelto il Kazakistan come prima visita all’estero dall’inizio della pandemia. “Non importa quanto cambierà la situazione internazionale”, ha detto il presidente cinese seduto vicino al kazako, “continueremo a sostenere il Kazakistan e a proteggere la sua indipendenza, sovranità ed integrità territoriale”. Le parole sono un messaggio alla Russia che sa di avvertimento. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)