L'intervista
"La potenza russa spaventa il mondo, ma non noi. Non abbiamo scelta". Parla lo scrittore ucraino Nikitin
Nato a Kyiv in epoca sovietica, l'intellettuale di lingua russa racconta la sua guerra: "La libertà è una delle caratteristiche, assieme al coraggio, del mio popolo. Sacrificando oggi delle vite, garantiamo il futuro. La situazione culturale in Ucraina? E' un po’ un disastro, ma si sta riprendendo"
“L’uomo è libero di per sé e lo è adesso, durante come fuori la guerra”, dice al Foglio lo scrittore ucraino di lingua russa Aleksej Nikitin, tra gli ospiti della 23esima edizione di Pordenonelegge, la festa del libro (più di 250 protagonisti e oltre 80 eventi in 5 giorni) nella città friulana.
“Sono nato a Kyiv, nell’Unione Sovietica, e sono stato anche soldato. Al terzo anno di studi, mi hanno portato a fare la leva in Afghanistan e mi è andata bene, per fortuna. Lì ho capito che la qualità di essere liberi nasce con l’uomo e resta sua”. “La libertà – aggiunge - è una delle caratteristiche, assieme al coraggio, che ha il mio popolo, necessari entrambi per poter andare avanti. Essa dipende sempre da cosa perdiamo: se rischiamo di perdere tutto, allora qualsiasi sacrificio non ha prezzo e dovrà essere fatto per essere liberi, per resistere e avere la propria cultura, la propria civiltà e il proprio popolo. Sacrificando oggi delle vite, garantiamo il futuro. Senza fare resistenza, molta gente potrebbe sopravvivere, è vero, però Putin non ha alcuna intenzione di fermarsi".
Nato nel 1967, una laurea in fisica, Nikitin ha collaborato al progetto del sarcofago destinato a mettere in sicurezza la centrale di Černobyl. È autore di racconti e romanzi tra cui Victory Park, Istemi e Mahjong, tutti pubblicati in Italia da Voland come il prossimo, "Bat-Ami. Di fronte al fuoco”, che uscirà nel 2024, dedicato al campione di pugilato ebreo-ucraino Il’ja Goldinov e alle sue vicissitudini dopo lo scoppio della Seconda Guerra mondiale. Una maniera, la sua, per raccontare l’Ucraina in guerra e da quegli anni riportarci al presente in un racconto che abbraccia anche la resilienza della cultura e letteratura ucraina nel tempo in cui la guerra sconvolge l’Europa e il mondo.
“È molto difficile capire cosa abbia in mente Putin e come potrebbe svilupparsi la situazione. Lui non non vede la realtà nel modo adeguato, la situazione gli sta scappando di mano e gli eventi che stanno accadendo lo confermano. In una situazione del genere, noi ucraini non abbiamo scelta e agiamo secondo il detto 'fai quello che devi fare e prima o poi arriverà quello che deve arrivare’. Nonostante tutto, ci difendiamo e combattiamo. Putin deve fare una sola cosa: ritirare il proprio esercito”.
In proposito, Nikitin si rivolge poi agli intellettuali di tutto il mondo, invitandoli “a fare pressione affinché il governo russo ritiri le forze armate”, mentre l’Ucraina “sta difendendo la vita dei propri cittadini”. A quelli russi non chiede nulla, “perché c'è una vera e propria catastrofe intellettuale”. “Una buona parte di quelli che possiamo considerare intellettuali russi – spiega - è emigrata e i pochi rimasti, per le circostanze in cui si trovano, possono fare ben poco. C’è poi la maggioranza degli intellettuali che è parte della macchina propagandistica ed è incomprensibile come si possa essere arrivati a ciò. Prima della guerra, molti russi sono arrivati in Ucraina lasciando il loro paese: sono anche loro a favore dell'Ucraina e questa è una forza importante su cui possiamo contare, pronta a combattere fisicamente contro il regime putiniano”.
La vita culturale nel suo paese, “continua nonostante tutto”, aggiunge, “ed è così che deve andare”. “La cultura è un po’ un disastro, ma si sta riprendendo, e la recente mostra dedicata a Matthew Weisberg lo dimostra. I poeti ucraini hanno prodotto molto, per gli scrittori in prosa è più difficile così come per l’industria cinematografica, perché è difficile scrivere storie in una situazione del genere. Si dice che la guerra inizi col primo sparo, e forse è così, ma nel mio caso, è iniziata molto prima, nel 2001, quando ho incontrato un poeta russo che mi disse che l’Ucraina sarebbe entrata entro la fine di quell’anno nella Federazione russa. Gli risposi il contrario e litigammo. Per me la guerra è iniziata in quel preciso momento e poi, confermata il 24 febbraio scorso, quando è caduto un missile, abbattuto e radio comandato, diretto verso l’aeroporto di Kyiv”, continua l’autore che è riuscito ad arrivare a Pordenone grazie al visto ufficiale del governo, firmato dal ministro della Cultura ucraino, consentendogli così di espatriare malgrado il divieto, in tempo di guerra, per tutti i cittadini ucraini di sesso maschile fra 18 e 60 anni.
“La potenza russa spaventa il mondo, ma non noi ucraini”, aggiunge prima di salutarci. “Tutto cambia velocemente. Abbiamo scoperto che in realtà la Russia non è poi come sembrava realmente negli ultimi 70 anni e neanche l’Ucraina lo è e sta diventando più forte. Sono convinto, siamo convinti che comunque vincerà, anche perché una eventuale sconfitta significherebbe perdere paese, rinunciale alla lingua e alla cultura. L’unica cosa che possiamo fare è lottare e niente altro, vincere, capendo però bene cosa intendiamo con la parola vittoria, perché si può anche vincere e sentire una sconfitta morale”.