bulli al cremlino

Kadyrov e Prigozhin, più putiniani di Putin

Micol Flammini

Il leader ceceno e il finanziatore delle milizie Wagner usano un vocabolario di guerra spaventoso e sono loro che ci mettono gli uomini. Funzionari che bevono troppo e altri disastri di una Russia in guerra

I giornalisti di Ria Novosti che seguono il presidente russo hanno pubblicato su Twitter un filmato in cui mostrano i volti e le espressioni di tutti i leader intenti ad ascoltare il discorso di Vladimir Putin a Samarcanda. Qualcuno è insofferente, qualcuno attento, qualcuno preoccupato, qualcuno in tensione, qualcuno, come il dittatore bielorusso Aljaksandr Lukashenka, con un’espressione indecifrabile stampata in faccia. Proteso in avanti, con gli occhi vigili, e l’aria pensierosa, il premier indiano Narendra Modi sembrava non voler perdere neppure una parola e, quando    si è visto in privato  con il presidente,  gli ha detto che questa non è l’èra della guerra. Putin ha risposto che la Russia fa di tutto per  mettere fine al conflitto, ma che la leadership ucraina rifiuta i negoziati. 

 

L’immutabilità è una delle caratteristiche del presidente russo, che dall’inizio dell’invasione non ha mai cambiato, almeno pubblicamente, punto di vista né vocabolario di guerra. Continua  a dire che bisogna  denazificare l’Ucraina per il bene degli ucraini: è Kyiv a non volere la pace e a perseguire i suoi obiettivi sul campo di battaglia. In  Russia però stanno  emergendo vari volti che dal 24 febbraio la loro retorica l’hanno cambiata più e più volte. Il leader ceceno Ramzan Kadyrov, il quale dall’inizio ha espresso il suo sostegno all’“operazione militare speciale” e ha mandato i suoi uomini a combattere, inizia a sentirsi un po’ stretto nell’universo propagandistico creato dal Cremlino, si è discostato, sempre dichiarandosi fedele,  e in un video pubblicato questa settimana sul suo canale telegram ha chiesto ai governatori russi di annunciare  una mobilitazione generale per aiutare l’esercito russo, perché l’operazione speciale “si è trasformata in una guerra molto tempo fa”. Kadyrov ha rotto con la linea del Cremlino,  si è fatto più putiniano di Putin: “Non dobbiamo aspettare che la dirigenza di questo paese annunci una mobilitazione generale”. Tra i personaggi che gravitano attorno al Cremlino, tra i sostenitori di Putin e del conflitto, Kadyrov si prende sempre più spazio e il presidente lo ascolta. La Cecenia può mandare altri novemila uomini, “volontari” come di solito li chiama il ceceno, e ha promesso che anche se il conflitto dovesse finire, “la nostra guerra contro questi diavoli continuerà. Dobbiamo distruggerli. Non abbiamo iniziato una guerra per arrenderci”. Lo stile Kadyrov è chiassoso, brutale nei modi e nelle parole, ma più parla, più si sovrappone ai silenzi del Cremlino e quello che viene chiamato il partito della guerra – come se Putin, il ministro della Difesa Sergei Shoigu e quello degli Esteri Sergei Lavrov fossero quello della pace – inizia ad avere un suo rappresentante molto  riconoscibile. 

 

Nei primi mesi del conflitto, alcuni analisti ben informati su liti, ripicche e minacce tra gli uomini di Putin, avevano raccontato che Evgeni Prigozhin, conosciuto come “il cuoco di Putin”, era stato tenuto lontano dal conflitto in Ucraina, nonostante disponesse di un grande capitale: i mercenari. E’ lui il grande finanziatore delle milizie chiamate Wagner, e nell’esercito c’era chi temeva che Prigozhin avrebbe cercato di prendere troppe decisioni. Il fallimento dell’esercito russo ha reso l’uomo di riferimento dei conflitti russi sotterranei, dalla Libia alla Siria, di nuovo centrale. Questa settimana è stato diffuso un video in cui Prigozhin, nel cortile di una prigione, arringa un gruppo nutrito di carcerati. Gli uomini sono tutti in piedi, tutti nelle loro divise da prigione, ascoltano Prigozhin che parla al centro, in questa corte spoglia, grigia,  umida. Promette un’amnistia a chiunque torni dalla guerra, a tutti, qualsiasi sia il motivo per cui sono finiti in galera. Annuncia le regole di ingaggio: niente droghe, niente alcol, niente contatti sessuali con la popolazione locale. Non sono uomini che sanno combattere, passeranno attraverso un periodo di addestramento e, se sopravviveranno, saranno liberi: la Russia non può perdere. Il video ha destato alcune polemiche anche in Russia, l’atmosfera tetra dai toni di verde dava  l’immagine di una potenza stanca e decadente e per i russi l’idea che questi uomini potrebbero tornare a essere cittadini in libertà è preoccupante. Prigozhin ha risposto con una frase, che il Kommersant ha eletto a citazione del giorno: “Chi non vuole che combattano i prigionieri, mandi i suoi figli al fronte”. Spietato e brutale come Kadyrov, Prigozhin ha detto ai russi quello che il Cremlino non dice: è una guerra, servono soldati, li prendiamo dalle carceri affinché possiate continuare a far finta di nulla. 

 

C’è un elemento che fa capire come Putin si renda conto che non  sta andando per niente “tutto secondo i piani”: Andrei Pertsev, giornalista di Meduza, ha raccontato che il presidente russo, che non ama bere, ha iniziato a fare una campagna contro l’alcolismo. Non è tanto interessato alla salute dei cittadini, sono i suoi funzionari a preoccuparlo, dall’inizio della guerra bevono troppo e lavorano sempre peggio. 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)