ingiusta detenzione
Perché l'America è tanto fredda con Brittney Griner, la campionessa di basket chiusa in una prigione russa
L’Amministrazione chiede cautela e poco clamore. Ma ci sono altre ragioni personali e culturali per cui, a chi vuole sostenere la giocatrice, viene risposto: “Non fare niente”
È in corso la partita internazionale per tirare fuori dalla sua prigione russa Brittney Griner, la campionessa di basket arrestata il 22 febbraio all’aeroporto Sheremetyevo di Mosca e in agosto, dopo sei mesi di carcerazione preventiva, condannata dal tribunale di Khimki a nove anni di reclusione da scontare nell’ex orfanotrofio convertito in carcere IK-1, per detenzione e contrabbando di meno d’un grammo di hashish presente in alcune cartucce per sigarette elettroniche.
Dopo che le autorità americane hanno decretato che la connazionale si trova in condizione di “ingiusta detenzione”, l’Amministrazione è scesa in campo sia per voce del presidente Joe Biden (“E’ inaccettabile. Chiedo alla Russia di rilasciarla immediatamente”) sia della vicepresidente Kamala Harris, e si sono attivate le vie diplomatiche che dovrebbero approdare a una trattativa di scambio diprigionieri tra i due governi. Questo meccanismo nel frattempo, secondo gli esperti, ha portato a massimizzare la pena comminata alla Griner, allo scopo di alzare la posta del baratto che, secondo la proposta americana, consisterebbe nel suo rilascio assieme a quello di Paul Whelan, un marine condannato a 16 anni per spionaggio, in cambio della liberazione di Viktor Bout, “il mercante di morte”, trafficante d’armi che sta scontando 25 anni in un penitenziario americano.
Offerta a cui i russi avrebbero replicato con la pretesa di rilascio di un secondo detenuto, Vadim Karasikov, colpevole di omicidio e attualmente detenuto in un carcere tedesco, coinvolgendo così nella trattativa un terzo governo e complicandola ulteriormente. Sono seguite, in questo tempo di duro fronteggiamento, reciproche accuse di scarsa serietà, moniti bilaterali a non usare la storia a fini propagandistici e, probabilmente, cauti aggiustamenti sottotraccia. Ma per ora pochi risultati, al di là delle reiterate assicurazioni di massimo impegno da parte dei dipartimenti governativi interessati. Motivo per cui vale la pena analizzare un paio di scenari a margine. Il primo riguarda il mondo dello sport professionistico americano, in particolare del basket, dominato da atleti e atlete afroamericani come la Griner.
E’ infatti perlomeno strano il lungo silenzio, al di là delle prese di posizione formali, delle magliette con gli slogan e delle decalcomanie “Free BG” sui campi di gioco da parte di quei campioni spesso chiamati a esprimersi su questioni extrasportive, con o senza una valenza razziale – dal caso Kaepernick agli appelli per il controllo della circolazione delle armi. Quando si è trattato di scendere in campo per Brittney, la mobilitazione è stata inaspettatamente timida. Emerge però adesso che questi atteggiamenti sarebbero frutto di una strategia imposta dall’alto. Già in agosto, Dennis Rodman, l’ex star dei Chicago Bulls capace di far sorridere il nordcoreano Kim Jong-un, aveva annunciato una spedizione privata in Russia allo scopo di “riportare a casa la ragazza”. Non se n’è fatto più niente e lui stesso ha ammesso che era meglio così e che una sua interferenza non avrebbe portato a buoni risultati. Idem per Stephen Curry, con Lebron James il giocatore più famoso del mondo. Sul nuovo numero di dell’edizione americana di Rolling Stone, Curry racconta d’aver personalmente contattato la Casa Bianca, mettendosi a disposizione per qualsiasi azione utile al rimpatrio della Griner, ma di essersi sentito rispondere “Non fare niente” – niente oltre al solito logo sulla maglietta indossata agli ESPY Awards, gli Oscar americani dello sport. E’ evidente che la strategia dei delegati alla trattativa sia di non infiammare gli umori mediatici sulla vicenda.
Anche perché c’è un secondo aspetto, ben più opaco, che si delinea oltreoceano attorno alla disavventura della Griner: una significativa percentuale degli americani (e con loro i politici che li rappresentano a Washington) non nutrirebbe grande empatia nei confronti della campionessa in catene. Brittney è un’afroamericana omosessuale, attivista del movimento Lgbtq+, sposata con un’altra donna, sovente esplicita riguardo ai diritti di genere, che assumeva regolarmente droga, sia pure dietro prescrizione medica e da anni trascorreva una parte dell’anno in Russia per arrotondare i guadagni da giocatrice professionista, che al femminile sono infinitesimali rispetto ai colleghi uomini. C’è chi pensa, insomma, che la Griner stia bene dove sta.
Ne parla in un’intervista a Business Insider Dani Gilbert, esperta di recupero degli ostaggi e docente di studi strategici al Dartmouth College: “Il fatto che l’attenzione del pubblico americano sia finita sul possesso di droga e sull’accusa di traffico l’ha reso meno disposto a simpatizzare con la vicenda”. Gilbert aggiunge che anche il fattore-razza pesa nello scarso sostegno accordato all’atleta: “Una ragazza bianca arrestata suscita tra i connazionali ondate emotive ben diverse da quanto accade per le ragazze di colore”, spiega Gilbert. “E poi c’è il fatto che lei sia apertamente gay, altro dato discriminante nella mobilitazione delle simpatie per qualcuno nella sua posizione”. La conclusione è sconfortante: “L’arresto illegittimo può passare in secondo piano, allorché gli americani decidano che alcune persone siano meno degne di altre nel ricevere l’assistenza del loro governo”.