Carlo III, Liz Truss e lo scontro di classe che scandirà l'inverno inglese
Nel lutto di Londra si parla di soldi, di inverno e di uomini all’altezza delle donne
Londra, dalla nostra inviata. Londra è imbottigliata nel lutto globale per la morte della sua regina: ha preparato tutto come era stato stabilito, accoglie i leader internazionali senza farsi travolgere dalle polemiche e aspetta questo suo ultimo giorno di cordoglio con la calma risoluta che le ha lasciato la regina Elisabetta. Eppure dietro questa immagine di ordine e disciplina e moltissima determinazione nell’addio, Londra non fa che discutere di soldi, di inverno e di maschi che devono dimostrare di essere bravi quanto le femmine.
Di soldi soprattutto – i soldi guadagnati, i soldi perduti, e chi paga questo, e chi si riempirà le tasche con quest’altro, dobbiamo pagare pure questi funerali, i fiori sono da buttare, che spreco assoluto, e il nuovo governo cosa fa intanto, oltre ad aver già mostrato di non sapere nemmeno fare un inchino? I due nuovi arrivati, Carlo III e Liz Truss, il re e la premier, non possono fare finta di niente, e forse davvero non si può ignorare il fatto che questi momenti di popolo e sovrani ci ricordano che le classi sociali esistono eccome.
A nessuno è ancora consentito parlare male della monarchia, chi protesta viene silenziato, chi s’azzarda a dire, come ha fatto una signora in Galles nel pubblico che allungava mani per toccare Carlo III: abolitela, questa monarchia, viene subito messo nell’angolo degli irrispettosi e di chi non ha il senso della storia. Eppure persino il nuovo re si preoccupa dei soldi che non ci saranno quest’inverno: il costo della vita è diventato così alto, ha detto sempre nel suo Galles, provando a farsi anche lui, fin dall’inizio, re del popolo, vicino ai suoi sudditi. I soldi sono da sempre una preoccupazione anche della famiglia reale, la regina consorte Mary diceva alla giovane Elizabeth Bowes-Lyon, che poi sarebbe diventata la regina Madre: “Fai in modo di tenerti i gioielli che hai. Non venderli mai. Potrebbero servirti”. E’ dalla rivoluzione francese che i monarchi sanno che il popolo si può ribellare e sovvertire quello che sembrava un potere assoluto, e che con tutta probabilità sarà una questione di soldi – di povertà, di diseguaglianza, di privilegi indigeribili – a far scattare la scintilla. Così Carlo III – impaziente con i pennini, ma cauto nel maneggiare il bagaglio che si porta appresso, i 70 anni di regno di sua madre Elisabetta, i 70 anni suoi di attesa – s’è messo a fare il padre dell’azienda-paese, dicendo che tutto costa tantissimo e licenziando, per dare un buon esempio austero, un po’ di dipendenti. Che si aggirano ora mesti per la città, assolvendo gli ultimi compiti e meditando vendetta (i segreti del palazzo reale sono un genere irresistibile, si dice che girino cifre folli per far parlare questi nuovi disoccupati). Ma sono pur sempre un simbolo: il re sa, il re capisce, il re farà quel che è necessario.
Liz Truss, l’ultima a incontrare la regina in pubblico, è rimasta imbrigliata nel rallentamento nazionale per onorare il lutto. Premier da due settimane, un governo chiacchierato soprattutto per la sua inesperienza, la Truss vuole introdurre in fretta misure per calmare la crisi economica, e in particolare le bollette. Va di fretta perché voleva fare molto e subito, per dare il segnale: qui è cambiato tutto, sono arrivata io; va decisa perché non vuole usare i soldi degli inglesi per finanziare il suo progetto quindi dovrà intaccare le casse dello stato; va lontano, perché c’è l’Assemblea generale dell’Onu a New York (e il presidente americano Joe Biden vuole che sia un momento decisivo per gli alleati dell’Ucraina) e va a Birmingham per la conferenza annuale dei Tory, la sua personale incoronazione.
Ma gli scioperi riprenderanno dopo la pausa del lutto, così come le proteste contro bollette, affitti, una qualità della vita in continuo deterioramento. Se Carlo III licenzia simbolicamente gli esuberi del palazzo reale, la Truss lancia una filosofia economica azzardata (in stile Thatcher, ma senza gli alleati politici e gli intellettuali-studiosi di allora) e dice che il suo governo inclusivo è la dimostrazione di quanto sia consapevole delle esigenze e degli equilibri del paese che deve governare. Ma anche la composizione del suo esecutivo mostra che il soffitto di cristallo della diversity è stato sfondato ma quello delle classi sociali no, per niente.
Sul Financial Times la scorsa settimana John Burn-Murdoch ha pubblicato uno studio in cui si dice: la società britannica, così come quella americana (anzi, quella americana di più) è povera, con pochi veri ricchissimi. Nel Regno Unito il 10 per cento della popolazione con i redditi più alti guadagna almeno cinque volte quello che guadagnano i più poveri: nei paesi sviluppati la media è di tre volte, negli Stati Uniti di sei. E’ questa la crisi che il re e la premier hanno di fronte, oltre a quella della loro accettazione.
Nella camera ardente della regina Elisabetta regnano compostezza e silenzio. La luce della vetrata si riflette sulla fila che arriva, dopo ore, e si ferma soltanto per qualche saluto. Al cambio della guardia dentro Westminster Hall, con il soffitto di legno e il pavimento chiaro, i passi rimbombano, i colpi che scandiscono il ritmo sono solenni e cupi. C’è chi piange, chi si inchina, una signora molto anziana su una carrozzina dice un “grazie” molto forte, tutti si voltano, suo figlio, anche lui anziano, le dà una carezza. Lì davanti alla bara e alla corona, gli inglesi si sentono come i reali, che come diceva la regina Madre “non possono essere mai stanchi”. Si parla della tenacia di Elisabetta e delle donne, di sua figlia Anna, della prossima regina consorte Camilla, delle giovani, Kate e Meghan. E’ ancora una chiacchiera molto femminile quella della monarchia, ma ora arriva un re e se ne preparano altri due, William e George. Non importa se il maschio non sarà bravo come la femmina, se il figlio non sarà all’altezza della madre, se questa è una storia fatta dalle donne: una regina qui non ci sarà più per moltissimo tempo.
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