le accuse di molestia

La France insoumise di Mélenchon rischia una “fronda” femminista

Mauro Zanon

Il partito della sinistra radicale francese che rivendica la lotta alla violenza contro le donne come un pilastro dei propri valori è travolto da storiacce di molesie e violenze sessuali

Parigi. Stanno cadendo uno dopo l’altro i luogotenenti di Jean-Luc Mélenchon, il guru della sinistra radicale francese, travolti da storiacce di molestie e violenze sessuali, schiaffi e atteggiamenti lubrichi, loro i membri della France insoumise (Lfi), il partito che aveva eletto la violenza contro le donne come il dossier prioritario del programma per la Francia assieme all’ecologia. Taha Bouhafs, il reporter star di Twitter figlio delle banlieue arrabbiate, costretto a ritirare la sua candidatura con Lfi alle ultime elezioni legislative per via di alcuni tweet grondanti di antisemitismo e quattro accuse pesanti per stupro e aggressioni sessuali; Éric Coquerel, fedelissimo di Mélenchon, una vita in politica alla sinistra e nemmeno l’ombra di uno scandalo, fino a quando un’attivista e figura di primo piano dei gilet gialli, Sophie Tissier, e altre donne, non l’hanno accusato di essere un “harceleur”, un “molestatore” di professione, e il 13 luglio la procura di Parigi ha aperto un fascicolo nei suoi confronti per “molestie e aggressioni sessuali”; Thomas Portes, deputato mélenchonista ed ex portavoce della leader ecologista Sandrine Rousseau, oggetto di una segnalazione per violenze sessuali e sessiste, che nel passato, quando era ancora membro del Partito comunista francese, era già stato denunciato da alcune giovani militanti; Adrien Quatennens, infine, il braccio destro di Mélenchon, l’ex coordinatore di Lfi, il volto cool del partito giacobino con i suoi capelli rossi, costretto a farsi da parte per violenze coniugali ai danni della moglie con la quale sta divorziando.

 

“Un’imbarazzante serie d’affaires”, commenta Libération, il quotidiano della gauche, prima di aggiungere: “Gli elettori della France Insoumise hanno votato per un partito che rivendica la lotta alla violenza contro le donne come un pilastro dei propri valori. La rottura del patto è evidente”. L’affaire Bouhafs, il primo della serie nera che sta mettendo a repentaglio la coesione della formazione politica mélenchonista, era stato presentato dai dirigenti Lfi come uno scivolone isolato, un errore di casting: scusateci, vi assicuriamo che Taha è l’unica mela marcia del nostro partito specchiato e esemplare. La realtà, invece, era ben diversa. Alla cellula interna della France insoumise che dallo scorso anno, per volere delle femministe del partito, raccoglie le testimonianze di violenze sessuali e sessiste, erano già arrivate un bel po’ di segnalazioni. Solo che i presunti colpevoli non erano pesci grossi, e dunque era stato coperto tutto. La notizia della denuncia di Céline Quatennens ai danni del marito Adrien, rivelata il 13 settembre dal solito Canard enchaîné, ha fatto precipitare le cose. Il deputato 32enne ha provato a difendersi dicendo che i “litigi”, così li ha definiti, erano scoppiati dopo che la moglie gli aveva annunciato di volersi separare. Durante uno dei “litigi” lui l’avrebbe “afferrata per il polso”, prendendole “il cellulare”, e lei, nel tentativo di recuperarlo, avrebbe “sbattuto il gomito”. “Nel contesto dell’annuncio della separazione, le ho mandato troppi messaggi per convincerla che le nostre difficoltà di coppia potevano essere superate”, ha scritto nel comunicato di difesa Quatennens, ammettendo di averle “dato uno schiaffo” in un momento “di estrema tensione”.

 

Mélenchon, invece di condannare quanto accaduto, ha parlato di “voyeurismo mediatico”, salutando “la dignità” di Quatennens che ha scelto di ritirarsi. Una reazione che ha fatto sobbalzare dalla sedia le “insoumises” del partito, da Clémentine Autain a Manon Aubry. “Sono le sue parole, non le mie”, ha detto Autain al Parisien, prendendo le distanze dal suo boss, prima di aggiungere: “La nostra responsabilità politica, nel rispetto dei nostri impegni femministi, ci invitava a dedicare prima di tutto i nostri pensieri a Céline Quatennens e a tutte le donne che subiscono delle violenze”. C’è il rischio, scrive il Monde, di una “fronda” femminista all’interno di Lfi.