La mobilitazione

Putin accelera l'annessione dei territori occupati in Ucraina

Il tempismo brutale del presidente russo, escluso dall'assemblea generale dell'Onu, dove gli ucraini chiedono all'occidente di non abbassare la guardia

Paola Peduzzi

Mosca organizza i "referendum" nelle aree di Donetsk, Luhanks, Zaporizha e Kherson: si terranno dal 23 al 27 settembre. Intanto la Duma russa mette mano al codice penale per punire chi diserta

I russi vanno di fretta con le annessioni formali dei territori ucraini: dal 23 al 27 settembre, cioè a partire da venerdì, si terrà un “referendum” (usiamo le virgolette per rispetto dello strumento del referendum come lo intendiamo noi in occidente) nella regione di Kherson e Zaporizhzhia, nel centro-sud dell’Ucraina,  e nelle due regioni del Donbas, Luhansk e Donetsk, per integrarsi nella Federazione russa. Il “Parlamento” (servono sempre le virgolette) di Luhansk ha approvato all’unanimità una legge per organizzare lo pseudoreferendum, lo stesso è accaduto nelle altre due regioni; a Kherson il capo dell’amministrazione russa locale ha detto che è la popolazione che lo chiede, e gli ha fatto eco il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, che ha detto: la gente deve avere il diritto di scegliere. Il “voto” sarà  parzialmente via email o online.

Il fatto che non ci siano la rete internet né il servizio postale non deve essere di grande rilievo per gli occupanti russi. Così come non è stato riportato alcun accenno al fatto che l’Ucraina controlla circa il 40 per cento di Donetsk e di Zaporizhzhia, e parti di Kherson e di Luhansk: come faranno i russi ad annettere delle aree che non sono riusciti a conquistare? Vladimir Putin vuole l’annessione forzata, vuole la mobilitazione, spera così di riconsolidare il suo consenso un po’ scemato dopo la straordinaria controffensiva ucraina e anche di disincentivare il sostegno occidentale all’Ucraina, ed è per questo che i suoi evocano sempre più spesso l’opzione nucleare.

A Mosca la Duma ha messo mano al Codice penale, per adattarlo a questa nuova fase della guerra. Gli emendamenti adottati aumentano le pene per chi si rifiuta di partecipare alle operazioni militari (cioè chi non partecipa alla mobilitazione imposta da Vladimir Putin), per chi diserta, per chi non si presenta e per chi si arrende (fino a 10-15 anni di carcere). Yaroslav Trofimov, indispensabile reporter del Wall Street Journal, dice che “gli uomini russi che non vogliono morire in Ucraina potrebbero avere soltanto pochi giorni per lasciare il paese”. La Borsa russa crolla, le borse europee anche, atterrite, e Margarita Simonyan, direttrice di RT e di fatto il principale megafono del Cremlino, scrive minacciosa su Twitter: “A giudicare da quel che accade e dovrà accadere, questa settimana segna la vigilia della nostra vittoria imminente, o la vigilia della guerra nucleare. Non riesco a vedere una terza alternativa”. 

All’assemblea generale dell’Onu che ieri ha aperto i lavori del suo 77esimo appuntamento annuale, le notizie sull’accelerazione di Mosca sono arrivate mentre già molti segnalavano le parole di Tayyip Recep Erdogan, il presidente turco autoproclamotosi mediatore tra russi e ucraini, sulla volontà di Putin di mettere fine alla guerra. E’ tutto il contrario, e anzi l’annuncio è arrivato con il tempismo brutale caro al presidente russo, escluso dal consesso onusiano: dopo la visita a Mosca del segretario generale dell’Onu, le forze russe bombardarono Kyiv; all’indomani dell’accordo, patrocinato dall’Onu, per sbloccare i porti ucraini e far partire i carichi di cereali, le forze russe bombardarono il porto di Odessa. Questo è il metodo di Putin. Ma la reazione ucraina e di molti esperti occidentali è stata diversa rispetto all’inizio della guerra: il presidente russo può anche annunciare una mobilitazione, ma una massa di nuovi arruolati senza formazione e minacciati non cambia il corso della guerra, non subito almeno. Così come i pseudoreferendum sono molto diversi da quello della Crimea nel 2014: nessuno li riconosce, nessuno li considera credibili, la retorica dell’amore per la madrepatria attecchisce solo nei margini. 

 

Il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, è a New York già da domenica e indefesso ha incontrato il presidente della commissione Affari esteri del Congresso americano, Gregory Meeks, il capo della diplomazia europea, Josep Borrell, e ha partecipato al Consiglio europeo sulle relazioni internazionali lunedì. Kuleba scandisce con chiarezza il fatto che le armi e il sostegno occidentali sono decisivi e non devono scendere in intensità e importanza proprio ora: la controffensiva ucraina è stata molto efficace, ma questo è soltanto l’inizio, e la mobilitazione russa, con la pericolosa e insistente evocazione di un’escalation nucleare, conferma che siamo entrati in una nuova fase del conflitto. E’ quella in cui gli ucraini hanno dimostrato una superiorità sul campo che è stata letta a Mosca come la necessità di accelerare e inferocire la reazione russa. Altro che pausa, altro che tregua.
 Volodymyr Zelensky, il presidente ucraino che oggi interverrà all’assemblea generale, vuole che questo incontro internazionale diventi il momento in cui tutto il mondo si schieri sulla necessità di riconoscere le responsabilità russe nella guerra in Ucraina. Il procuratore generale ucraino Andrei Kostin ha detto che sono già stati documentati 34 mila (34 mila) crimini di guerra, e ancora sono in corso le indagini nella regione di Kharkiv, appena liberata durante la controffensiva russa.  

     

Di più su questi argomenti:
  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi