Il cardinale Zen a processo a Hong Kong, la città della nostalgia e delle cose perdute
Il libro l'Eclissi di Hong Kong di Ilaria Maria Sala è un percorso per l'elaborazione di un lutto, quello per l'ex colonia britannica. Un luogo di assenze e nuove presenze, ma mai appartenenti al porto profumato. Gli omaggi alla regina Elisabetta e la voglia di quelle proteste ormai proibite
Uno dei sentimenti che meglio descrivono la città di Hong Kong è la nostalgia. Nostalgia del passato, del presente e del futuro, pronta a travolgere il cuore. Nelle ultime settimane migliaia di hongkonghesi sono andati davanti al consolato britannico dell’ex colonia per deporre fiori e rendere omaggio alla regina Elisabetta: una dimostrazione di nostalgia per quella che molti chiamano “epoca d’oro”, nonostante corrisponda al periodo antecendente al 1997, quando il porto profumato era ancora sotto il dominio britannico. In una di quelle giornate, un cittadino di Hong Kong è stato arrestato dalle autorità fuori dal consolato britannico mentre intonava con l’armonica prima God save the Queen, poi la canzone simbolo del movimento democratico Glory to Hong Kong. L’accusa è di sedizione, che vìola la legge sulla Sicurezza nazionale introdotta da Pechino nel 2020 e che reprime tutto ciò che viene considerato secessionista e sovversivo da Pechino. E’ la stessa legge che a maggio ha permesso di arrestare il cardinale cattolico Joseph Zen e altri cinque importanti attivisti pro democrazia, il cui processo è iniziato ieri e sappiamo già come andrà a finire (“Il Papa ha abbandonato il cardinale Zen”, titolava l’altro giorno un editoriale di William McGurn sul Wall Street Journal).
Per capire la nostalgia di Hong Kong bisogna tornare a dodici famosi secondi scanditi una notte fra il 30 giugno e il primo luglio 1997. Ilaria Maria Sala, nel suo libro L’eclissi di Hong Kong, li descrive così: “Dodici poetici secondi in cui Hong Kong fu esclusivamente sé stessa. Libera dallo status di colonia, Hong Kong veniva subito ingabbiata sotto l’ala opprimente del regime cinese”. Il suo libro è un percorso per l’elaborazione di un lutto. Non quello per la regina, ma per la città di Hong Kong, a cui non è mai stata data libertà di scelta. Ilaria Maria Sala, che a Hong Kong ha vissuto per 25 anni, accompagna il lettore per le strade e i quartieri della città, raccontando usi, costumi, architettura, tradizione e modernità di questa “colonia d’elezione”: un territorio conquistato dagli inglesi dove la maggior parte dei cittadini è arrivata per scelta, in cerca di rifugio, o è figlia di chi è arrivato in cerca di rifugio, cercando stabilità sotto l’ombrello della Pax britannica coloniale. “Queste ondate migratorie l’hanno resa un luogo che insegna ad apprezzare le differenze, le stratificazioni, le sfumature, gli imprevisti”, scrive Sala. Dalle due sponde del porto di Vittoria di Hong Kong costate una Guerra dell’oppio l’una, ai simboli dell’isola – materiali e non – demoliti dal governo cinese per far spazio ad altro ed eliminare ogni collegamento a una guerra vecchia quasi due secoli, Hong Kong è un luogo di assenze e nuove presenze, ma mai appartenenti a Hong Kong. Sala scrive che Pechino pretende che l’isola debba diventare cinese, secondo la sua claustrofobica definizione della parola, ma è nata cosmopolita e sorprendente: “Quando guardano con ribrezzo i ragazzi di Hong Kong che sventolano bandiere coloniali, gli osservatori esterni non possono immaginare che negli interstizi dell’impero britannico ci potesse essere una libertà maggiore di quanta non ve ne sia nel progetto assolutista del Partito cinese, specie quello disegnato dall’attuale segretario di partito e presidente cinese, Xi Jinping”.
Per molti commemorare la regina a Hong Kong è un modo per manifestare ed esprimere il proprio dissenso – ormai vietato – nei confronti dell’attuale governo locale. Un modo per lamentare la perdita delle libertà, per esempio l’annuale veglia per i morti di Tiananmen che si svolgeva ogni 4 giugno nel parco di Vittoria, nostalgia per i “libri proibiti” da Pechino e fino a qualche anno fa presenti solo a Hong Kong e Taiwan, per i giornali pro democrazia, per la Bbc in televisione, per i film indipendenti, per le manifestazioni. Persino per quelle insegne a neon che caratterizzavano le strade della città, conosciute anche da chi non ha mai visitato Hong Kong grazie alle pellicole di Wong Kar-wai. “Gli hongkongesi non si sono mai conformati alla descrizione degli eventi favorita dalla Cina, e hanno dimostrato in molte occasioni di avere più a cuore la democratizzazione che non il patriottismo e l’anticolonialismo promossi da Pechino”, si legge nell’Eclissi di Hong Kong. Ecco quindi la nostalgia per “una società che al massimo della sua apertura politica è riuscita a ottenere solo una semi democrazia, e quasi nessuno ha avuto voce in capitolo su come la città è stata modificata. Nostalgia di un tempo in cui la speranza per il futuro era ancora forte e si poteva sognare di poter un giorno usufruire di quello che si stava costruendo”. Il futuro dell’isola è nell’essenza stessa del suo nome (e non è di buon auspicio): l’albero dal legno aromatico che ha dato il nome a Hong Kong, che significa “porto profumato”, l’aquilaria sinensis, è in serio pericolo di estinzione.
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