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I nuovi profughi

L'Ue non può negare ai russi in fuga la possibilità di salvarsi dalla guerra

Anna Zafesova

Stati Uniti e Francia si preparano ad accogliere i renitenti a rischio persecuzione. A est l'Europa è spaccata: Polonia, Repubblica Ceca e Finlandia si scontrano con paesi come la Germania che sono favorevoli all’accoglienza di chi fugge dalle trincee di Putin

Accogliere o non accogliere. Il dilemma sta diventando ancora più difficile, mentre almeno 260 mila uomini russi hanno già varcato il confine, in quella che non si può definire se non come una fuga precipitosa dal pericolo di venire arruolati sul fronte ucraino. Il numero dei fuggiaschi equivale ormai a quello delle reclute che Vladimir Putin voleva chiamare in guerra.

Le code ai valichi di frontiera – Georgia, Finlandia, Norvegia, Mongolia, Kazakistan, ovunque la Federazione russa confini ancora con un mondo almeno un po’ più libero – si dipanano per chilometri, in un esodo via terra (in auto, a piedi, in bici e monopattino) di dimensioni bibliche, mentre i biglietti aerei verso le poche destinazioni ancora liberamente raggiungibili sono esauriti e le richieste di aerei privati per super ricchi raggiungono le cinquemila al giorno. Perfino l’ambasciata americana a Mosca ha invitato, per l’ennesima volta, i suoi cittadini a lasciare il paese, soprattutto chi possiede il doppio passaporto, e a non partecipare alle manifestazioni contro la mobilitazione – non saprebbero come intervenire. Nelle chat dei consigli per l’emigrazione si affollano centinaia di migliaia di utenti, e perfino i sostenitori della guerra sembrano essersi resi conto di una verità imbarazzante: i russi stanno votando il regime putiniano con i piedi, e se non fosse per i limiti fisici dei valichi di frontiera più o meno tutti i maschi in età da caserma sarebbero già scappati.

Il problema non è soltanto del Cremlino, al quale stanno scappando i coscritti (elettori, contribuenti) sui quali ha scommesso per cercare di vincere una guerra persa. Il problema è anche di chi accoglie, e l’Unione europea si è spaccata di nuovo sui russi in fuga. Appena due settimane dopo un accesissimo dibattito sul diritto dei russi comuni di continuare a viaggiare per l’Europa in tempo di guerra – conclusosi con l’introduzione di limiti all’emissione dei visti turistici per tutti gli stati europei, e con la loro sospensione per nove stati membri – i paesi dell’est e del nord tornano a scontrarsi con le nazioni della “vecchia Europa”, in primo luogo con la Germania, favorevole all’accoglienza di chi fugge dalle trincee di Putin. Già prima dell’annuncio della mobilitazione i tre stati Baltici, la Polonia e la Repubblica ceca avevano di fatto chiuso le proprie frontiere ai cittadini russi, mentre la Finlandia aveva tagliato drasticamente l’emissione di visti Schengen. Helsinki – che si è vista invadere da circa 45 mila russi in pochi giorni – rischia di diventare una Lampedusa del nord, e sta pensando di chiudere del tutto gli ingressi, per non diventare il principale valico europeo dei russi diretti verso altre destinazioni europee, o il più grande campo di richiedenti asilo

Una scelta complicata, anche perché l’ondata dei neoprofughi degli ultimi giorni non è più composta da dissidenti e oppositori, ma in maggioranza da quelli che fino alla mobilitazione oscillavano tra l’indifferenza e il sostegno più o meno esplicito al regime putiniano. Il rischio di venire massacrati dagli ucraini – i russi all’improvviso si sono scoperti molto realisti rispetto alle possibilità del proprio esercito, armato male e organizzato peggio – ha destato la maggioranza silenziosa, ma anche chi aveva appiccicato la Z sul parabrezza dell’auto. Ovvio che nei paesi limitrofi il desiderio di accoglierli non sia alle stelle. Il governo estone ha dichiarato che preferisce dare asilo ai profughi dall’Ucraina, e la Polonia ha annunciato che non riterrà il pericolo di arruolamento un motivo valido per ricevere l’asilo.
 
Altri paesi dell’occidente, tra cui gli Stati Uniti e la Francia, si preparano invece ad accogliere i renitenti russi se a rischio di persecuzione. Suscitando la rabbia dei milioni di critici di Putin emigrati nelle prime settimane della guerra, senza che l’Ue avesse prodotto una politica di assistenza e accoglienza verso di loro. Un’altra obiezione è che offrire asilo significa togliere braccia alla protesta montante dentro la Russia. Ma gli ex putiniani possono far vacillare il Cremlino anche con la fuga: senza di loro, Putin non può proseguire la guerra, ogni uomo che varca la frontiera è un soldato in meno. Lo ha compreso bene il presidente del Kazakistan, Kassym-Jomart Tokayev, che nonostante lo scontento dei suoi connazionali per i 100 mila russi arrivati in pochi giorni, ha promesso protezione per chi “fugge da una situazione senza via d’uscita”. L’attrice russa Tatyana Lazareva invita i suoi compagni di opposizione a non attaccare i neoesuli con i “ve l’avevamo detto”: “Se volevamo davvero che gli zombi aprissero gli occhi, è il momento di stare al loro fianco”. Ma prima di ogni altra considerazione, c’è l’aspetto umanitario: i coscritti russi sono spesso nazionalisti, putiniani, colonialisti, antiliberali, nel migliore dei casi intontiti dalla propaganda. Ma sono carne da cannone, rischiano la vita, e l’Europa non può negare loro la possibilità di mettersi in salvo dal mattatoio di una guerra persa.