elezioni in Brasile
Carne, armi, religione. La mobilitazione di Bolsonaro al voto
“Un popolo armato non sarà mai schiavizzato”, dice il presidente brasiliano che è molto indietro nei sondaggi: al 33 per cento di consensi contro il 47 per cento dell'ex presidente Lula
“Il popolo brasiliano non merita quello che sta succedendo”, “incompetente”, “idiota”, “incita alla violenza”, “non governa, sa solo andare in moto e dire fake news”: sono alcune delle cose che Luis Inácio Lula da Silva, ex presidente del Brasile, ha detto di Jair Bolsonaro, attuale presidente del Brasile, in campagna elettorale. “Da questa parte, c’è una persona che difende la famiglia; dall’altra parte, c’è un ladro che dice che i valori familiari sono un arretramento”, “mi accusano di tutto, ma non mi chiamano corrotto”, ha risposto Bolsonaro.
Si vota domenica: primo turno per presidente, vicepresidente, 27 governatori e 27 vice governatori, con eventuali ballottaggii il 30 ottobre; turno unico per 27 degli 81 senatori e per i 513 deputati. Il sistema partitico brasiliano è spesso definito “insalata di sigle”, e nel 2018 entrarono al Congresso 35 partiti alla Camera e 13 al Senato. E anche il numero dei candidati per la massima carica è alto: sono undici. Ma stando agli ultimi sondaggi: Lula è al 47 per cento, Bolsonaro è al 33, e il terzo Ciro Gomes, ora in corsa per il Partito democratico laburista dopo aver girovagato per altri sei partiti, ex ministro di Lula dopo essere stato due volte candidato presidenziale contro di lui, e poi candidato di nuovo nel 2018, non oltrepassa il 6-7 per cento. Al 4 per cento sta Simone Tebet, senatrice del centrista Movimento democratico brasiliano. Tutti gli altri non oltrepassano l’1.
Come vicepresidente, Lula presenta Geraldo Alckmin, l’ex governatore di San Paolo, esponente dell’Opus Dei, che nel 2006 era arrivato al ballottaggio proprio contro di lui. Clamorosa è stata anche la riconciliazione con Marina Silva, la leader ecologista che dopo essere stata sua ministro dell’Ambiente tra 2003 e 2008 aveva rotto con con Lula, e sia nel 2010 sia nel 2014 si era candidata alla presidenza contro la sua delfina Dilma Rousseff, ottenendo il 19,3 e 21,3 per cento. In compenso Bolsonaro ha recuperato l’appoggio di Sérgio Moro, il giudice protagonista della Tangentopoli brasiliana e ammiratore del pool Mani Pulite italiano che aveva mandato Lula in galera, era stato ministro della Giustizia di Bolsonaro, aveva annunciato la candidatura presidenziale contro di lui, e si è poi ritirato. È invece risultata definitiva la rottura con l’attuale vicepresidente, il generale Hamilton Mourão. Al suo posto è candidato un altro ex generale, Walter Souza Braga Netto.
A parte l’attitudine a litigare con tutti, Bolsonaro ha il problema della gestione della pandemia di Covid, una “febbriciattola”, con corredo di battute contro i vaccini che “trasformano le persone in caimani”. La “febbriciattola” ha ucciso 675 mila brasiliani, e ha devastato l’economia. Che ora è in ripresa: l’inflazione è scesa dal 10,7 per cento di luglio all’8,73 di agosto; il pil è cresciuto dello 0,6 e la previsione di crescita annuale è passata dal 2 al 2,7; la disoccupazione è scesa al 9,1, ma con un 39,8 per cento di impiego informale. E il fatto che l’1,6 per cento di aumento dell’export sia trainato in particolare dalla carne, di cui il Brasile è il primo esportatore mondiale, e dai cereali, di cui è il quarto, è in agghiacciante contrasto con lo scandalo di un bambino di undici anni che a Belo Horizonte ha chiamato la polizia perché aveva fame.
Ad agosto Bolsonaro ha aumentato del 50 per cento il sussidio “Auxilio Brasil” che è erede del “Bolsa Familia” di Lula, fino ad arrivare a 600 reais, 115 euro al mese. Ma gli rimproverano di aver smantellato i sistemi di sussidi all’agricoltura familiare, e almeno 33 milioni di brasiliani si trovano in condizioni definite di insicurezza alimentare severa – il 15 per cento della popolazione, e il 73 per cento in più negli ultimi due anni; e almeno 133 milioni hanno problemi a mangiare ogni giorno. Il tema è diventato a tal punto una emergenza che una delle promesse di Lula è di permettere alla gente di “mangiarsi un arrosto e bersi una birra”.
Indietro nei sondaggi, Bolsonaro punta in particolare su tre fette dell’elettorato. Il primo è l’agroindustria, che rappresenta il 27 per cento del pil. L’interesse dei grandi produttori ai fertilizzanti russi spiega anche la riluttanza del presidente a schierarsi contro Vladimir Putin, mentre Lula si richiama all’ambiente, accusa Bolsonaro di distruggere l’Amazzonia, e promette di distribuire la proprietà. Ma va detto che quando Lula era presidente, Greenpeace gli conferì una sarcastica “motosega d’oro”, mentre Bolsonaro, nel febbraio 2021, ha lanciato il programma “Titula Brasil” con l’obiettivo di regolarizzare 340 milapiccoli e medi produttori rurali con titoli di proprietà. A sua volta Lula può esibire l’appoggio di Blairo Maggi, l’ex ministro dell’Agricoltura, e maggior produttore di soia del Brasile.
Bolsonaro corteggia poi gli evangelici, ormai il 31 per cento della popolazione: in particolare con una agenda anti aborto e con un’abitudine alle battute omofobe. Però anche Lula cerca di coltivarsi gli evangelici, cita versi della Bibbia nei suoi volantini, e la sua riappacificazione con l’evangelica Marina Silva va appunto anche in questa chiave.
Perfino sulle armi Lula fa concessioni, ricordando che suo padre era cacciatore, e che un paio di armi per il proprietario di una fattoria non gli sembrano uno scandalo – siamo comunque lontani dalle 60 ora permesse, grazie ai decreti di Bolsonaro. Il numero di brasiliani che si sono registrati come cacciatori, tiratori sportivi e collezionisti di armi è cresciuto del 474 per cento in quattro anni, fino ad arrivare a 673.818 a giugno. E le armi in loro possesso sono triplicate, superando il milione. Con lo slogan “un popolo armato non sarà mai schiavizzato”, Bolsonaro promette una riforma costituzionale per rendere il possesso di armi un diritto in stile americano, ma è un terreno scivoloso, visto che il 67,5 per cento dei votanti dice invece di temere aggressioni per ragioni politiche. Nel 2018 fu proprio Bolsonaro a essere accoltellato, ma in questa campagna sono stati due sostenitori di Lula a essere uccisi: il presidente è accusato di pompare la violenza con la sua retorica e con la sua mania di atteggiare le mani come pistole. Dopo un discorso agli ambasciatori in cui accusava il sistema elettorale brasiliano di rendere possibile brogli, Bolsonaro è stato accusato di voler rispondere a un’eventuale sconfitta con un assalto tipo quello del 6 gennaio 2021 al Congresso di Washington.
Bolsonaro ha promesso che, se perde, non soltanto accetterà il risultato, ma si ritirerà dalla politica. Lula dice che farà un mandato solo, perché nel 2026 avrebbe 81 anni. Parla anche di “persecuzione” per i 580 giorni che è stato in carcere per corruzione e insiste che i giudici lo hanno poi scagionato, il che non è tecnicamente vero. Semplicemente, la decisione con cui si sono annullati i procedimenti contro di lui per farli ripartire da capo gli ha permesso di usufruire della prescrizione.