La conferenza stampa del governo tedesco (Ansa)

i rischi

Il piano tedesco per non perdere la classe media divide l'Europa (spoiler: è quello che vuole Putin)

David Carretta

Olaf Scholz ha presentato un piano da 200 miliardi per fornire a famiglie e imprese uno scudo contro l’aumento delle bollette, compreso un tetto al prezzo del gas e dell’elettricità. Ma non tutti i paesi hanno la forza economica tedesca e per ora la risposta dell'Ue alla guerra energetica scatenata dal Cremlino è stata incerta e frammentata 

Il governo di Olaf Scholz ieri ha presentato un piano da 200 miliardi per fornire a famiglie e imprese uno scudo contro l’aumento delle bollette, compreso un tetto al prezzo del gas e dell’elettricità. “Il governo tedesco farà tutto quanto in suo potere per far scendere i prezzi”, ha detto Scholz: “Per farlo, stiamo aprendo un grande ombrello”. Per la Germania, che finora si è sempre opposta a ogni forma di “price cap”, è una svolta. Il ministro delle Finanze, Christian Lindner, falco del pareggio di bilancio, ha spiegato che non c’è alternativa: Vladimir Putin ha lanciato “una guerra energetica”. 


Il piano da 200 miliardi “è una chiara risposta” alla guerra energetica di Putin, e l’obiettivo è salvare l’economia da un tracollo, limitando le conseguenze sociali e politiche della crisi energetica. Solo che se ognuno fa da sé, è difficile pensare a strategie sovranazionali. L’ha sottolineato ieri il presidente del Consiglio Mario Draghi: “La crisi energetica richiede da parte dell’Europa una risposta che permetta di ridurre i costi per famiglie e imprese, di limitare i guadagni eccezionali fatti da produttori e importatori, di evitare pericolose e ingiustificate distorsioni del mercato interno e di tenere ancora una volta unita l’Europa di fronte all’emergenza”, ha fatto sapere in una dichiarazione pubblicata sul sito del governo italiano. “Davanti alle minacce comuni dei nostri tempi, non possiamo dividerci a seconda dello spazio nei nostri bilanci nazionali”, un riferimento neanche troppo indiretto alla Germania.

 

Il problema è che ovunque in Europa i governi iniziano a vacillare. In una guerra, la Germania può permettersi un intervento da economia di guerra. Non è così per gran parte del resto d’Europa: piccoli paesi e paesi indebitati non hanno la potenza della Germania. La Repubblica ceca, che ha la presidenza di turno dell’Ue, è uno dei molti esempi di paesi alle prese con le rivolte energetiche. Mercoledì a Praga c’è stata la seconda grande manifestazione di protesta contro l’aumento dell’energia in un mese. Decine di migliaia di persone, convocate dal leader populista Ladislav Vrabel, urlavano “vergogna, vergogna!” e “prima la Repubblica ceca”. Il primo ministro di destra, Petr Fiala (un alleato di Giorgia Meloni nel partito europeo Ecr), è in seria difficoltà. L’ex premier, Andrej Babis, ha appena vinto le elezioni locali. Il governo Fiala ha deciso di introdurre un “price cap” su gas ed elettricità. Ma le bollette calmierate non sono bastate a calmare la rabbia di una parte dell’opinione pubblica, che si è trasformata in megafono della propaganda del Cremlino. Nella vicina Slovacchia è stato il primo ministro, Eduard Heger, a lanciare un drammatico avvertimento in un’intervista al Financial Times: l’aumento dei prezzi energetici “ucciderà la nostra economia” se non ci saranno aiuti finanziari da Bruxelles. Le imprese “chiuderanno e potrebbe collassare l’intera economia”. Heger è sfidato a sinistra da un nuovo partito populista di sinistra e dall’ex premier socialista (altrettanto populista), Robert Fico, che nei sondaggi sono dati ciascuno al 20 per cento. 

 

In Bulgaria, dove ci saranno le elezioni anticipate domenica, un partito ultranazionalista e prorusso, Rinascita, sta cavalcando l’onda dello scontento, facendo campagna per tornare a comprare gas dalla Russia. Quella che viene chiamata “Coalizione Gazprom” – oltre a Rinascita, ci sono alcuni  partiti di sinistra contrari alle sanzioni dell’Ue – potrebbe raccogliere più del 30 per cento dei voti. L’ex premier centrista, Kiril Petkov, che si è visto tagliare il gas perché aveva promesso di “non cedere mai al ricatto russo”, dovrebbe essere superato da uno dei suoi predecessori, il conservatore Boiko Borissov, caduto per una serie di scandali di corruzione.

 

La risposta dell’Unione europea alle conseguenze della guerra energetica di Putin finora è stata incerta e frammentata. Le resistenze della Germania ai price cap ha legato le mani della Commissione di Ursula von der Leyen, che solo questa settimana si è convinta a proporre una forma limitata di tetto al prezzo del gas (quello importato dalla Russia e quello per produrre elettricità). Il pacchetto che sarà approvato domani dal Consiglio straordinario dei ministri dell’Energia – il limite ai ricavi sulle fonti inframarginali e il prelievo di solidarietà sui profitti delle società di idrocarburi – non ha un impatto diretto sulle bollette. Le ragioni economiche della Commissione sono tutte razionali. Nell’immediato vuole evitare un aumento della domanda di energia o incertezze per gli approvvigionamenti alternativi alla Russia, perché c’è un rischio concreto di una penuria di gas. Nel medio periodo vuole scongiurare una crisi del debito sovrano, causata dalle centinaia di miliardi di euro necessari per compensare l’aumento dei prezzi energetici, dopo le centinaia di miliardi spesi per la pandemia. A differenza che con il Covid-19, la Commissione non ha voluto ipotizzare un secondo Recovery fund a causa dell’opposizione dei frugali. Ma in una guerra che colpisce il potere d’acquisto dei cittadini, e dunque il sostegno dell’opinione pubblica all’Ucraina, c’è poco spazio per dibattiti su razionalità economica o allocazione ottimale delle risorse.

 

In una recente riunione tra i leader dell’Ue, il premier belga, Alexander De Croo, ha detto che “la classe media può permettersi una sola volta” di pagare bollette così elevate. “Se perdiamo la classe media, non ci riprenderemo”, ha avvertito De Croo. Senza classe media, è la democrazia liberale nel mirino di Putin che potrebbe crollare.
 

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