Licenziamenti e chiusure
A Londra dopo la sterlina è sotto attacco anche Bbc World Service
Mentre il Regno Unito è in tutta una serie di tempeste, arriva l’annuncio di 382 licenziamenti tra giornalisti e tecnici, la chiusura di alcuni servizi radiofonici e il trasferimento di altri su piattaforme digitali per via di un congelamento di due anni del canone, finito da tempo nel mirino dei Tories
Londra. Il potere britannico sussurra da novant’anni nelle orecchie del mondo attraverso il suo Bbc World Service, offrendo un’informazione impeccabile in paesi dove l’imparzialità non si porta e ottenendo in cambio prestigio e influenza nonostante la fine dell’impero. E proprio in un momento in cui il Regno Unito è in tutta una serie di tempeste – scisso il legame con l’Unione europea, morta Elisabetta II, terrorizzati i mercati, per citare solo gli eventi principali – proprio questa voce sta per affievolirsi, con l’annuncio di 382 licenziamenti tra giornalisti e tecnici, la chiusura di alcuni servizi radiofonici e il trasferimento di altri su piattaforme digitali. Altro che lotta alla disinformazione e alle fake news. I tagli sono necessari per via di un congelamento di due anni del canone con cui la Bbc tutta si finanzia, annunciato per far fronte al carovita, certo, ma anche tanto strumentale a quell’attacco alla Corporation che il governo conservatore ha lanciato prima con Boris Johnson e ora sotto la smaniosa e tremula leadership di Liz Truss.
La nuova premier in passato aveva sottolineato la necessità di aiutare il World Service, fondato nel 1932 come Bbc Empire Service, a resistere in un momento in cui, tra Cina e Russia, il bisogno di avere informazione affidabile è più importante che mai. Il servizio è sempre stato considerato strategico, tanto che sei anni fa aveva ottenuto fondi aggiuntivi di 291 milioni dal governo, con altri 283 milioni da spendere in tre anni, arrivando a impiegare circa 2.300 persone. E ultimamente sono stati stanziati altri 4 milioni di sterline per sostenere la copertura della guerra in Ucraina. Ma non si può attaccare l’odiata Bbc senza danni collaterali e quindi quasi un quinto del totale dei dipendenti andranno a casa per permettere alla società di risparmiare 28,5 milioni di sterline, parte di quei 500 milioni di sterline all’anno di tagli che la casa madre si è imposta per far fronte all’aumento dei costi e alla riduzione delle entrate legate alla licence fee, il canone da 159 sterline all’anno che chiunque guardi la televisione, anche sul computer, è costretto a pagare nel Regno Unito. Un costo percepito come una tassa da molti cittadini, che sottolineano come in tempi di Netflix e altre piattaforme la fee sia fuorimoda come un grammofono, e finito da tempo nel mirino dei Tories, che non hanno mai fatto mistero di voler favorire concorrenti come Sky e di essere pronti al passo, necessario ma simbolicamente potente, di depenalizzare il mancato pagamento del canone, per il quale, molto in teoria, si rischia di andare in prigione (se ti danno una multa, tu non la paghi e continui a non pagarla).
Questo, e il fatto che in un paese polarizzato è sempre più difficile per la Bbc essere percepita come imparziale, creano un terreno fertile per la lotta dei Tories. La gloriosa Corporation costa circa 5 miliardi all’anno, di cui più di 3,5 arrivano dal canone, mentre il resto proviene da attività commerciali come la vendita dei suoi programmi e delle sue serie televisive all’estero.
Il passaggio all’online è una tappa obbligata nel taglio dei costi, tanto che alcuni canali, come il veneratissimo Cbeebies per bambini e Bcb Four, sono destinati ad essere fruibili solo da un computer. Il grosso del World Service continuerà a raggiungere i suoi 364 milioni di ascoltatori settimanali in tutto il mondo rimanendo attiva come radio in inglese 24 ore al giorno anche in Russia, Ucraina e Afghanistan. Verranno però tagliate le trasmissioni radio in dieci lingue tra cui l’arabo, il persiano e il cinese, spostandone alcune sul web, usato già dalla metà degli ascoltatori. Alcune redazioni andranno più vicino al loro pubblico: il servizio thailandese a Bangkok, quello coreano a Seoul e il canale televisivo Focus sull’Africa a Nairobi. La nuova unità cinese dovrebbe invece avere base a Londra, mentre l’idea è di continuare le trasmissioni televisive sia in arabo che in persiano e investire sul digitale per sostituire la radio nelle due aree linguistiche.
Cose dai nostri schermi