Dopo il Consiglio Energia
L'Ue ha il problema di dover aiutare chi non può fare come Berlino
Bruxelles vuole il price cap solo per il gas destinato all’elettricità. L’idea di un Sure 2.0, tutto a (nuovo) debito. Appuntamento a Praga
Bruxelles. I ministri dell’Energia dell’Unione europea ieri hanno approvato un pacchetto di misure per affrontare la crisi energetica provocata dalla guerra di Vladimir Putin, ma restano divisi sugli interventi più radicali per reagire all’emergenza dei prezzi, come l’introduzione di un price cap su tutto il gas importato in Europa. Sarà il Consiglio europeo del 6 e 7 ottobre a Praga a decidere se e quale tetto adottare, ma la Commissione è orientata a un approccio minimalista. L’opposizione della Germania a un tetto generalizzato e il piano del governo di Olaf Scholz da 200 miliardi di euro per ridurre le bollette di famiglie e imprese tedesche rischiano di mandare in frantumi l’unità politica ed economica dell’Ue, nel momento in cui la guerra energetica di Putin inizierà a fare più male.
L’accordo tra i ministri dell’Energia sulla riduzione obbligatoria della domanda di elettricità e sui prelievi degli extraricavi delle società energetiche era scontato. Grazie a questo intervento, i ventisette stati membri dovrebbero avere a disposizione 140 miliardi di euro per sostenere famiglie e imprese. Ma “il lavoro non è finito”, ha spiegato Jozef Sikela, il ministro dell’Industria della Repubblica ceca, che ha la presidenza di turno dell’Ue.
Il Consiglio Energia ieri ha chiesto alla Commissione di presentare prima del vertice informale dei capi di stato e di governo del 6 e 7 ottobre a Praga una proposta per limitare il prezzo del gas. Kadri Simson, la commissaria all’Energia, ha promesso un testo solo su un price cap per il gas destinato alla produzione di elettricità. L’impegno è lungi dal rispondere alla richiesta di un gruppo di quindici paesi, guidato dall’Italia, di un price cap su tutto il gas importato dall’Ue. La Germania, insieme alla Commissione, è contraria perché ritiene che questa misura “radicale” potrebbe spingere i paesi fornitori a ridurre le esportazioni verso l’Europa o, nel caso del gas naturale liquefatto (Gnl), a dirottarle verso l’Asia. La crisi del prezzo si trasformerebbe immediatamente in crisi degli approvvigionamenti, con penurie e razionamento del gas. Simson ha anche ricordato che “il prossimo inverno sarà più duro di questo”, perché si dovranno riempire di nuovo gli stoccaggi. “Ogni molecola di gas che arriva in Europa conta”, spiega al Foglio una fonte della Commissione. L’Italia, però, non intende rinunciare. Il ministro per la Transizione ecologica, Roberto Cingolani, ha annunciato una proposta di un gruppo di paesi energivori per introdurre un “tetto con forchetta”. Invece di essere fisso, il price cap dovrebbe essere dinamico con “un range tra un minimo e un massimo” per “tagliare i picchi ed evitare volatilità eccessiva”, ha spiegato Cingolani: “Un’ipotesi è quella di indicizzare il costo del gas a qualcosa di diverso dal Ttf, facendo una media sui grandi indicatori come possono essere l’Henry Hub, il Brent e altri indicatori mondiali”.
Il Consiglio europeo del 6 e 7 ottobre potrebbe trovarsi di fronte a un dibattito molto meno tecnico e più politico di quello sul price cap. Dopo l’annuncio dei 200 miliardi per ridurre i costi energetici di famiglie e imprese tedesche, l’opposizione del governo di Olaf Scholz a un price cap a livello europeo mette i leader davanti a un altro problema: gran parte degli altri paesi, perché piccoli o altamente indebitati, non ha le risorse per un intervento diretto sulle bollette della stessa portata della Germania. Gli aiuti di stato di Berlino mettono a repentaglio il mercato interno, avvantaggiando le imprese tedesche e penalizzando quelle degli altri stati membri. I sussidi per le famiglie tedesche possono evitare un autunno politicamente caldo a Scholz, ma non fanno nulla per risolvere le tensioni sociali e politiche degli altri leader.
E’ il senso della dura dichiarazione di giovedì del presidente del Consiglio, Mario Draghi, per chiedere di “evitare pericolose e ingiustificate distorsioni del mercato interno” e di “dividerci a seconda dello spazio nei nostri bilanci nazionali”. Anche altri stati membri chiedono solidarietà dall’Ue per gestire la crisi dei prezzi energetici. “Siamo in un’economia di guerra e i cantori dell’economia di mercato dovrebbero ricordarsi che a volte nelle guerre si applicano i prezzi amministrati”, dice al Foglio un diplomatico. Il price cap per tutto il gas importato nell’Ue sarebbe come un prezzo amministrato a monte. Per un prezzo amministrato a valle, cioè a livello nazionale come in Germania, diversi paesi hanno bisogno di aiuti finanziari dall’Ue. Un Recovery fund 2.0 si scontra con l’opposizione di Berlino e del gruppo dei paesi frugali. Una pista alternativa potrebbe essere di lanciare un Sure 2.0: uno strumento di debito dell’Ue per fornire prestiti agli stati membri da usare per ridurre le bollette. Ma le discussioni su questo non sono ancora iniziate.