Lula vs Bolsonaro. Il Brasile va al ballottaggio
Il risultato elettorale non restituisce dunque una vittoria netta: si torna alle urne il 30 ottobre. Nel voto per il Congresso e per i governatori la destra sta andando forte, e un Lula presidente si troverebbe sicuramente con un Senato ostile. Il rischio che il presidente uscente ceda alla tentazione di un colpo alla Capitol Hill
Dai risultati praticamente definitivi delle elezioni presidenziali brasiliane emerge che l'icona della sinistra sudamericana Luiz Inacio Lula da Silva è in testa dopo il primo turno, con una percentuale del 48,26 per cento che è in linea con la maggior parte dei sondaggi, anche se l’ultimo di sabato lo dava ormai a un 50 per cento che gli avrebbe permesso di essere eletto presidente del Brasile al primo turno. Ma il presidente di destra uscente, Jair Bolsonaro, ha ottenuto un 43,09 per cento che è invece di una decina di punti superiore a quanto non gli accreditassero la maggior parte dei sondaggi. E, dopo un primissimo dato parziale in cui era in testa Lula ma che era rappresentato da voti dati all’estero, Bolsonaro aveva preso un vantaggio che aveva mantenuto fino ai due terzi dello scrutinio. E anche a quel punto i due sono stati per un bel po’ testa a testa. Solo alla fine Lula si è staccato.
Il risultato elettorale non restituisce dunque una vittoria netta: si andrà al ballottaggio il 30 ottobre. Ma andiamo al dettaglio. Con 118.478.743 voti, 99,90 per cento delle sezioni scrutinate, Luiz Inácio da Silva Lula ha preso 57.173.788 voti, pari al 48,26 per cento. Jair Bolsonaro ne ha avuti 51.051.378, pari al 43,09 per cento. Lula è del Partito dei Lavoratori (Pt); il suo candidato alla vicepresidenza Geraldo Alckmin, dopo essere stato a lungo un esponente del centrista Partito della Socialdemocrazia Brasiliana (Pdsb) con cui nel 2006 affrontò Lula al ballottaggio, esponente dell’Opus Dei, corre ora per il Partito Socialista Brasiliano (Psb). I due sono appoggiati da una coalizione Brasile della Speranza, in cui il Pt sta assieme al maoista Partito Comunista del Brasile e al Partito Verde; e da una Federazione in cui il Psb sta assieme al Partito Socialismo e Libertà che si staccò dal Pt nel 2004 proprio in polemica col moderatismo di Lula, alla Rete di Marina Silva, e a quattro partiti minori (due considerati di centro-sinistra, uno di centro e uno di centro-destra).
Bolsonaro dopo aver cambiato in precedenza altri sette partiti iniziò la campagna elettorale del 2018 come Partito Social Cristiano, fu eletto con un Partito Social Liberale con cui ha poi litigato, ha poi provato a lanciare una Alleanza per il Brasile, e ora si candida con un Partito Liberale che ai tempi di Lula presidente gli aveva dato il vicepresidente José Alençar. Lo appoggiano anche i Repubblicani, espressione di una chiesa pentecostale, e i Progressisti, eredi del partito del regime militare.
Dopo di loro la più votata a Simone Tebet, del centrista Movimento Democratico Brasiliano, e con vice una esponente del Psdb: 4.913.757 voti, pari al 4,15 per cento, Era appoggiata anche da Podemos, partito in cui era finito il giudice Sérgio Moro, e dai post-comunisti di Cittadinanza. Ha superato comunque Ciro Gomes, ex-ministro di Lula che correva con un Partito Democratico Laburista che ha il riconoscimento della Internazionale Socialista e che ambiva a essere la terza forza. Si è fermato al 3,04.
Tutti gli altri stanno sotto all’1. Lo 0,51 per Soraya Thronicke, di una Unione Brasile in cui il Partito Social Liberale in rotta con Bolsonaro si è fusi con l’altra etichetta storica di destra dei Democratici; lo 0,48 per Luiz Felipe D'Ávila di un Partito Nuovo che ha il riconoscimento formale della Internazionale Liberale; lo 0,07 per il sacerdote ortodosso Kelmon Souza, una specie di Meluzzi locale candidato dal Partito Laburista Brasiliano; lo 0,05 per Leonardo Péricles, del partito di estrema sinistra Unità Popolare; lo 0,04 per Sofia Manzano, di un Partito Comunista Brasiliano paragonabile alla nostra Rifondazione; lo 0,02 a Vera Lúcia del trotzkysta Partito Socialista dei Lavoratori Unificato; lo 0,01 per José Maria Eymael della Democrazia Cristiana.
Sono tutte sigle che poi alla Camera e al Senato avranno in gran parte una quantità di eletti, corrispondendo alla immagine della politica brasiliana come “insalata di sigle” e a quella frammentazione del Congresso per venire a capo della quale i governi di Lula ricorsero a quella politica di mazzette alla base dello scandalo del mensalão. Ma i loro candidati presidenziali sono affondati, nel clima di estrema polarizzazione di questo voto. Gli unici il cui appoggio potrebbe essere determinante sono Simone Tebet e Ciro Gomes, ma è dubbio che in questo contesto i loro elettori seguano consegne.
L’effetto sorpresa di questi dati è determinato anche dal fatto che da una parte si sono continuati a fare sondaggi anche il giorno prima del voto. Dall’altro non ci si sono però stati exit poll: l’istituto che li faceva è fallito, e quello nato sulle sue ceneri ha deciso che “costano troppo e non servono”. Si è dunque andati con il solo scrutinio, e i dati del Nordeste roccaforte del Pt sono arrivati per ultimi. Sembra però evidente la capacità di Bolsonaro di recuperare tra quelli che non si dichiaravano, e probabilmente anche una attitudine dei suoi elettori a mimetizzarsi. L’istituto demoscopico Datafolha ha stimato che questo “voto che si vergogna” potrebbe essere arrivato al 35 per cento degli intervistati. Per questo ipotizzare che Lula possa agevolmente ottenere l’1,74 per cento che gli manca solo basandosi sull’orientamento dei candidati che non vanno al ballottaggio potrebbe essere fuorviante. Oltretutto, nel voto per il Congresso e per i governatori la destra sta andando forte, e un Lula presidente si troverebbe sicuramente con un Senato ostile.
Il rischio è che con uno scenario come questo la tentazione per Bolsonaro di denunciare brogli e tentare qualche colpo alla Capitol Hill si faccia più forte. “Abbiamo vinto la menzogna”, è stato il suo commento. “Capisco che ci sono molti voti che sono stati dovuti alla condizione del popolo brasiliano, che ha sofferto per l’aumento dei prezzi dei prodotti. Capisco che c’è volontà di cambiamento nel paese ma alcuni cambiamenti possono portare a conduzioni peggiori, come è successo in Cile, Argentina, Colombia e ovviamente anche in Venezuela”.
In relazione all’ipotesi di brogli ha detto però che sta aspettando “l’opinione delle forze armate che hanno supervisionato la votazione”. Proprio alla vigilia del voto era arrivata una esortazione degli Stati Uniti alle forze armate brasiliane ad accettare e a fare rispettare il risultato.
Dalle piazze ai palazzi