l'iran esiste
La piazza iraniana e quella ucraina s'affiancano nella lotta contro i regimi e l'indifferenza
Tra sabato e domenica, 159 città in tutto il mondo hanno manifestato in segno di appoggio a Teheran: da Auckland a Istanbul, da Toronto a Vienna, da Londra a Milano. Intanto, l’ayatollah Khamenei incolpa gli Stati Uniti di aver "orchestrato le rivolte"
Siate la nostra voce” è l’invocazione che sale dalle piazze iraniane che da 18 giorni gridano il nome di Mahsa Amini e sfidano la repressione a mani nude senza temere nulla se non l’invisibilità. “Guardateci!”, gridano le giovani donne a capo scoperto che fanno ondeggiare i veli da un cavalcavia di Teheran. “Guardateci!”, implorano i ragazzi e le ragazze di Sanandaj che ballano insieme sotto un cielo d’un azzurro trionfante cantando: “Azadi, azadi!” (libertà, libertà).
"Perché non c’è niente di più bello che essere visti quando sai che di solito il mondo ti guarda, ma non ti vede. Sabato e domenica 159 città hanno risposto a questo appello, da Auckland a Istanbul, da Toronto a Vienna, gli iraniani della diaspora hanno moltiplicato le grida di sdegno e di speranza dei loro compatrioti, sostenuti dai cittadini dei paesi in cui risiedono. A Londra c’è stato un momento in cui le bandiere ucraine hanno affiancato quelle iraniane. “All together we will win”, tutti insieme vinceremo, hanno scandito insieme iraniani e ucraini a Trafalgar Square e per un istante è parso che tutto potesse essere semplice: distinguere il bene dal male, i regimi dalle loro vittime, la solidarietà vera da quella che dura il tempo di un hashtag e subito dopo evapora.
Sabato, a Milano, con mia madre e mia figlia c’ero anch’io. Mentre Piazza della Scala si riempiva non ho potuto fare a meno di ripensare a quello che mi diceva mia madre quando da piccola le chiedevo quando saremmo tornate a casa. “Sal e dighe dar Iran” , l’anno prossimo in Iran, rispondeva quando era di buonumore. Accadeva i primi anni, poi da un certo punto in poi ha iniziato a dirmi: “L’Iran non esiste”. Me lo ripeteva con tutta la rabbia di chi non ha mai potuto rimettere piede in casa sua, con la frustrazione di chi ha subìto da un lato la ferocia della Repubblica islamica e dall’altro l’indifferenza, alle volte lo scherno, del cosiddetto “mondo civilizzato”. In Iran non restava più niente per noi, l’Iran, secondo lei, eravamo noi e basta, lo ha pensato per anni, ma sabato prima di raggiungere la piazza, mia madre è entrata dentro una farmacia.
Quando le hanno chiesto da dove provenisse il suo strano cognome, ha risposto fiera: “Sono iraniana”. Eravamo orgogliose in quella piazza, tre donne e tre generazioni, mia figlia che sta studiando il farsi mi stringeva la mano ogni volta che riusciva a interpretare un slogan e tra noi tre era quella che gridava più forte, perché a me e a mia madre l’emozione rompeva la voce. Non era solo il fatto di esserci, era la sensazione di risvegliarsi all’improvviso e dirsi: “L’Iran esiste”. E subito dopo guardarsi intorno e riconoscersi, senza chiedersi da che parte stesse l’uno o l’altro nel ’79, perché ci è parso irrilevante, che bastasse gridare il nome di Mahsa Amini per essere tutti dalla stessa parte. Domenica l’entusiasmo era già stato temperato dalle notizie che arrivavano da Teheran, racconti e immagini di inseguimenti e spari, all’Università Sharif, l’Mit iraniano che sforna alcune della menti più apprezzate della Silicon Valley.
Ieri mattina, a suggello della linea che promette solo violenza, è apparso l’ayatollah Khamenei. “Vi dico chiaramente che queste rivolte sono state orchestrate dall’America e dal falso regime sionista”, ha sentenziato nel corso di un discorso che ha derubricato l’assassinio di Mahsa Amini ad “amaro incidente”. Però nel frattempo nelle università iraniane dilagava la protesta, sui social si rincorrevano le immagini di ragazzine che si tenevano per mano, di spalle davanti alla lavagna, con i capelli lunghi sulle spalle e cantavano “Baraye” la canzone simbolo di questo incredibile autunno iraniano, si sono aggiunti i filmati che raccontano la ribellione di altre studentesse che fanno roteare il velo sopra la testa nei cortile di una scuola mentre scandiscono “Mullah andate a quel paese”, e altri video di universitarie che urlano: “Cosa aspettate? Non state a guardare, la prossima Mahsa potreste essere voi”, è persino arrivato un messaggio di incoraggiamento da parte di un gruppo di prigioniere rinchiuse a Evin. “In ogni istante, i nostri cuori, le nostra grida, i nostri pugni sono con i cuori e le grida del nostro popolo”. Basta avere gli occhi per guardarlo: l’Iran esiste.