i conti al cremlino
Il budget di Putin: meno export di oil & gas, più spese per guerra e repressione
Il bilancio della Russia per il 2023-2025 mostra l'impatto delle sanzioni sul lato delle entrate (riduzione dei ricavi da gas e petrolio, -8 punti) e le intenzioni del Cremlino sul lato delle uscite (aumento delle spese militari e per la sicurezza interna)
Meno proventi dall’export di idrocarburi e più spese per finanziare la guerra e la repressione del dissenso. Come si stanno mettendo le cose per Vladimir Putin, sul fronte economico per effetto delle sanzioni occidentali e sul fronte militare per la controffensiva ucraina, è evidente dal bilancio russo. La composizione delle entrate e delle uscite del budget 2023-2025 appena presentato dal governo alla Duma mostra le difficoltà della Russia e il tentativo di una mobilitazione anche economica, dopo quella dei riservisti. Il dato di partenza è la contrazione del pil: -2,9% nel 2022 e -0,8% nel 2023. È una stima molto ottimistica, visto che la World Bank prevede rispettivamente -4,5% e -3,6%. Anziché nel 2022, l’impatto delle sanzioni ha un effetto ritardato che si spalma su due anni, causando complessivamente per la Russia una recessione più profonda di quella della grande crisi finanziaria del 2009.
In ogni caso, pur prendendo per buone le stime del governo russo di una recessione molto più moderata, nel 2023 si prevede una forte contrazione dei ricavi da petrolio e gas di 8 punti, dal 42% attuale al 34% nel 2023 per poi scendere fino al 30% nel 2025. Quest’anno, la Russia aveva visto un’impennata del peso dell’oil & gas sulla propria economia, dal 38% del 2021 al 42% del 2022, da un lato per la contrazione di tutti gli altri settori (industria e servizi) a causa delle sanzioni, dall’altro per il forte incremento del prezzo del petrolio. Ma questo trend ha iniziato a invertirsi già a metà anno: da luglio le entrate fiscali da oil & gas sono più basse rispetto allo stesso periodo del 2021. A settembre, secondo i dati diffusi dal ministero delle Finanze russo, il prezzo medio del petrolio degli Urali è sceso a 68 dollari al barile, per la prima volta sotto i livelli del 2021 (72 dollari), nonostante il prezzo globale sia attorno ai 90 dollari. E questo perché, a causa delle sanzioni, il greggio russo viene venduto con un forte sconto.
Per il 2023 l’effetto sarà duplice: da un lato si prevede un calo graduale dei prezzi e dall’altro una contrazione della produzione. La legge di Bilancio russa prevede che il prezzo medio del petrolio degli Urali scenderà dagli 80 dollari al barile del 2022 ai 70 del 2023, fino ai 65 del 2025. Quanto ai volumi, il governo russo stima per il 2023 una contrazione della produzione di petrolio del 5%. Qualcosa di analogo accade per il gas, riduzione sia di prezzo che di produzione. Complessivamente, il governo russo prevede una contrazione delle esportazioni nel 2023 di 48 miliardi di dollari (-8,3%).
Le stime rischiano però di essere ottimistiche, sia sul prezzo sia sui volumi. A dicembre entrerà in vigore l’embargo sul petrolio russo dell’Unione europea, che era il principale mercato per Mosca. E secondo le stime dell’Agenzia internazionale dell’energia (Iea) il blocco europeo produrrà una contrazione della produzione petrolifera russa del 17% (-1,9 milioni di barili al giorno): oltre il triplo di quanto previsto dal Cremlino nel suo budget. Contemporaneamente, dovrebbe scattare anche il price cap del G7 sulla vendita di petrolio russo a paesi terzi, che avrà l’effetto di abbattere ulteriormente il prezzo del petrolio degli Urali. Un impatto, questo, che il governo russo non ha neppure valutato nella redazione del bilancio. È vero che simultaneamente ci sono altre spinte per tenere elevato il prezzo del petrolio, come il taglio dell’offerta di 2 milioni di barili al giorno appena deliberato dall’Opec, ma la misura non è in grado di compensare la forte riduzione dei margini per la Russia, che dovrà affrontare anche un aumento dei costi logistici per reindirizzare il suo greggio in Asia.
Molto significative sono anche le uscite. La Russia infatti incrementano notevolmente, a 5 mila miliardi di rubli. le spese militari che rappresentano la seconda voce di spesa del bilancio (17%), dopo la spesa sociale. Ma il capitolo di bilancio che aumenta di più (+58%) è la “sicurezza interna”. Evidentemente, oltre a immaginare una lunga guerra in Ucraina dove il suo esercito è in seria difficoltà, Putin si attende un aumento delle proteste dopo la mobilitazione dei riservisti e, nonostante la crisi economica, investe nell’apparato repressivo. Spese militari (5 mila miliardi di rubli) e spese per la “sicurezza interna” (4,4 mila miliardi di rubli) sommati insieme rappresentano il 32% della spesa pubblica stimata a 29 mila miliardi di rubli: un rublo su tre del bilancio sarà investito per l’aggressione sul fronte esterno e la repressione sul fronte interno. Per fare un confronto e avere un’idea delle priorità di Putin, le spese per sanità, istruzione, ambiente, cultura, media e sport non solo vengono fortemente tagliate, ma tutte insieme rappresentano il 12% del bilancio (3,5 mila miliardi di rubli). Molto meno delle sole spese militari.
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