in cina

Il dissenso contro Xi prende forma a Pechino, che preferisce l'autocensura

Priscilla Ruggiero

Un "guerriero coraggioso" cala due striscioni da un ponte nel quartiere universitario della capitale. La crepa prima del Congresso

Ieri sul ponte Sitong di Haidian, il quartiere universitario situato a nord ovest di Pechino, sono apparsi due striscioni accompagnati da un piccolo e fumoso fuoco e un megafono. I messaggi, a caratteri rossi, recitavano: “Non vogliamo i test Covid, vogliamo mangiare. Non vogliamo i lockdown, vogliamo libertà. Non vogliamo bugie, vogliamo dignità. Non vogliamo rivoluzione culturale, vogliamo riforme. Non vogliamo  leader, vogliamo il voto. Non vogliamo essere schiavi, vogliamo essere cittadini”, e il secondo, ancora più esplicito: “Studenti, lavoratori, scioperate per rimuovere il dispotico  traditore nazionale Xi Jinping”.

 

 

L’autore del gesto, che  sarebbe riuscito a fare tutto da solo, secondo alcune foto pubblicate sui social sarebbe stato portato via dalla polizia pochi minuti dopo, insieme agli striscioni. Ma quel breve lasso di tempo è bastato a far circolare foto e video molto velocemente anche sui media cinesi,  a sostegno del “coraggio” dell’uomo, descritto da molti come un “guerriero”.

 

Nonostante sia stato “solo” un singolo episodio, proteste pubbliche come quella di ieri sera sono straordinariamente rare in Cina. Figurarsi a due giorni dal Congresso del Partito comunista cinese, che si svolgerà a pochi chilometri dal ponte dove sono comparsi gli striscioni, quando la città diventa una “fortezza”  per rappresentare unità e limitare qualsiasi segno di dissenso. In questo senso, ieri il Partito ha fallito, lasciando trapelare la frustrazione e l’insoddisfazione di molti  nei confronti di Xi e della politica Zero Covid. Dopo la protesta, si è azionata la macchina della censura su qualsiasi cosa potesse riguardare l’accaduto: sono scomparsi gli hashtag “ponte Sitong”, “Haidian”, “guerriero”, “uomo coraggioso”, persino la parola “Pechino”. Piuttosto che mostrare la crepa, Pechino ha preferito autocensurarsi. 
 

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