Foto di Emrah Gurel, via LaPresse 

dimenticare la rivolta

La trappola di Larijani e l'occidente che pensa di far pace con il regime iraniano

Tatiana Boutourline

Una missiva di Teheran agli europei e il senso largo della protesta: agli alleati internazionali si deve ricordare che non esiste una versione illuminata della mullahcrazia

Sì la vita morde da tutte le parti e la storia stavolta è davvero inopportuna. La guerra in Ucraina, la minaccia nucleare, la crisi energetica, l’ombra della recessione, c’è tanta carne al fuoco quest’autunno, e assolto il dovere di plaudire al coraggio delle iraniane, magari pure d’offrire una ciocca di capelli alla causa, viene una gran voglia di guardare dall’altra parte, perché non si possono vincere le battaglie degli altri, perché ciascuno ha i suoi guai e la democrazia non si esporta, perché “in fondo è la loro cultura” (quante volte lo abbiamo sentito, quante volte dovremo ancora sentirlo?). Sì è vero, sono belle e struggenti le giovani donne che agitano i loro veli sopra la testa, talmente belle e fotogeniche che il Point questa settimana le ha messe in copertina, “Les iraniennes, héroïnes de la liberté”, e anche Libération, “Iran, nous n’avons plus peur”, con la foto di una ragazza che, con lo stesso impeto di una Marianne di Delacroix, alzava le braccia e disegnava il segno della vittoria con le dita. 

 

Ma la solidarietà è effimera e il senso d’impotenza è in grado di uccidere anche le migliori intenzioni. Il regime lo sa e conta su questo, sulla fatica, sulla distrazione, sulla paura dell’instabilità. Secondo Politico, un buon numero di diplomatici europei sarebbe già stato raggiunto da missive in cui la dirigenza iraniana si lagna degli attacchi ricevuti dalla stampa europea e avverte che l’adozione di misure punitive nei confronti di Teheran potrebbe produrre effetti nefasti. “Se l’Europa non prende in considerazione le sfumature della situazione attuale – si legge in una lettera esaminata da Politico – le ramificazioni sarebbero gravi e le relazioni bilaterali potrebbero non sopravvivere”. Le sfumature per l’Unione europea starebbero tutte nelle circostanze: è difficile il mondo là fuori, suvvia conosciamo tutti la fine che fanno gli eroi, vi conviene puntare sul diavolo che conoscete, non avete alternative, lo sapete anche voi.

 

Sembra quasi di sentirli mentre sussurrano beffardi. Del resto cosa dovrebbero pensare quando l’esperienza ha insegnato loro che nessuna violenza è feroce abbastanza da abbattere la prospettiva dell’accordo nucleare, quando possono permettersi di prendere in ostaggio dei cittadini europei senza che nella sostanza nulla cambi? Perché ogni dossier è chiuso dentro un compartimento stagno, perché il dialogo deve essere costruttivo, va  promosso e guai a mischiare le carte.    
Eppure, mai come stavolta le carte andrebbero mischiate. Guardate i filmati e vi accorgerete che quello che accade in Iran non riguarda solo le donne iraniane e soprattutto non riguarda solo l’Iran. Quello che sta accadendo da quattro settimane a questa parte riguarda anche l’occidente e i suoi valori. Guardate le bambine delle elementari che si riparano dai lacrimogeni, guardate i ragazzi che si difendono l’un altro dalle motociclette fiammanti dei bassiji, guardate la nonna con i capelli al vento che tiene i nipotini per mano, guardate il signore distinto dentro un abito a tre pezzi che avanza su un deambulatore gridando “libertà”.

 

Non sono iraniani occidentalizzati imbevuti di sofisticherie, sono persone come voi, vivono in periferia e nei quartieri bene, vivono a Teheran e in città arcinote per la loro devozione come Qom e Mashhad. Guardateli, perché da voi non pretendono niente se non di essere guardati. Guardateli sono come voi, l’unica differenza è che poco meno di un mese fa hanno visto morire una ragazza per via di una ciocca di capelli e hanno detto basta. È vero, la scintilla è stata una reazione viscerale, un moto irresistibile contro la violenza che milioni di donne subiscono da 43 anni, ma la loro battaglia per la dignità e l’autodeterminazione chiama in causa tutti. Non si tratta di “una protesta femminile”, quello a cui stiamo assistendo è una rivoluzione epocale, un cambio di paradigma, il risveglio di un’intera comunità nazionale che ripudia la sopraffazione e si stringe a protezione delle sue figlie, delle sue mogli e delle sue sorelle, la rivoluzione di una comunità che si riconosce e grida che il minimo comune denominatore del vivere civile non può che essere l’eguaglianza.  

 

Nessuno nelle piazze iraniane in tumulto si appella alla moderazione riformista. La Repubblica islamica ha già sperimentato sulla pelle dei suoi cittadini tutta la moderazione di cui era capace, le furberie di Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, la democrazia islamica di Mohammed Khatami e il pragmatismo di Hassan Rohani. Non credete all’ex capo del Parlamento, già candidato alle presidenziali Ali Larijani quando critica la polizia morale. Non esiste una versione illuminata della mullahcrazia, il tempo non sistemerà le cose, gli iraniani lo sanno e combattono per questo. Non si fermeranno perché il regime ha inoculato la violenza goccia a goccia come un veleno e loro non hanno più paura. Si tengono per mano, tingono le fontane di rosso per ricordare i morti, appendono i loro nomi su cartoncini che pendono dagli alberi e cantano. Lo fanno perché credono in una vita migliore di quella che stanno vivendo e perché sono disposti anche a morire in nome dei valori di cui l’occidente si è spesso vantato di essere depositario. Non voltatevi dall’altra parte.

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