il dialogo
Antony Blinken e Condoleezza Rice sul mondo dopo Putin
Uno scambio sulla Russia, sulla Cina e sull'"invidia autoritaria"
Pubblichiamo alcuni stralci della conversazione tra Antony Blinken, segretario di stato americano, e Condeleezza Rice, che è stata segretaria di stato durante l’Amministrazione Bush dal 2005 al 2009, che si è svolta all’università di Stanford, il 17 ottobre scorso.
Condoleezza Rice (CR) – E’ appena stata pubblicata la Strategia di sicurezza nazionale dell’Amministrazione Biden, che è un’opportunità per il presidente di chiedere davvero al suo governo: cosa dovremmo fare ora per prepararci a un futuro migliore? Lei ha parlato dei valori americani ma anche della competizione tra autocrazia e democrazia. Gli Stati Uniti hanno avuto molti concorrenti nel corso della loro storia, ma in questo momento, come la vede questa grande questione?
Antony Blinken (AB) – Una delle cose che considero quasi viscerale in questo momento è che siamo a un punto di svolta: l’èra post Guerra fredda è finita e ora è in corso un’intensa competizione per dare forma a ciò che verrà. In parte si tratta della rinnovata ma anche nuova competizione tra grandi potenze, che è al centro della strategia. Dobbiamo capire come, e in modi mai visti prima, risolvere alcune sfide davvero grandi che hanno un impatto diretto sulla vita dei nostri cittadini, che si tratti di salute globale, dell’impatto del cambiamento climatico, del ruolo di tutte le tecnologie emergenti. Ogni cosa si riflette nella strategia.
CR – Lei ha parlato della rivalità tra grandi potenze, un fenomeno che non credo avremmo mai pensato di rivedere dopo il crollo dell’Urss. La Strategia di sicurezza nazionale parla di contenere la Russia e di superare la Cina, e sono due modi molto diversi di pensare alle grandi potenze.
AB – Molti governi americani hanno coltivato la speranza di avere un rapporto più stabile e prevedibile con la Russia. Ma la Russia – soprattutto sotto la guida del presidente Putin – è una potenza dirompente che può creare enormi problemi. Lo vediamo in Ucraina, ma lo vediamo anche nell’opposizione di Putin all’ordine che è emerso dopo due guerre mondiali e poi dopo la Guerra fredda, con un insieme di regole e princìpi di base che ritenevamo necessari per cercare di mantenere la pace e la sicurezza internazionale. Questo è in diretta opposizione a ciò che Putin sta cercando di fare per ricostituire – scegliete voi – un impero russo o sovietico. E si sta manifestando nelle azioni che ha intrapreso. Lo abbiamo visto negli ultimi dieci anni. Ma per noi il motivo per cui ci si concentra tanto sull’Ucraina è duplice. Uno è l’Ucraina stessa: a tutti noi non piace quando un paese cerca di prevalere su un altro, quando cerca di affermare un mondo in cui la forza fa la ragione, in cui cambia i confini con la forza, in cui cerca di soggiogare un altro paese alla sua volontà. Questo è ciò che sta accadendo. Ma sta succedendo anche questo: non è solo un’aggressione contro l’Ucraina. E’ un’aggressione contro i princìpi fondamentali che sono incarnati nella Carta delle Nazioni Unite, nella Dichiarazione universale dei diritti umani e in tutta una serie di norme e regole che molte generazioni hanno faticato a costruire. E sono perfetti? Tutt’altro. Abbiamo commesso molti errori sia nella loro progettazione sia nella loro applicazione? Sì. Ma di fatto hanno contribuito a far sì che non ci fosse un altro conflitto globale dopo due guerre mondiali. E quello che sta facendo la Russia, quello che sta facendo Putin, è in diretta opposizione a questi strumenti.
CR – Ci sono americani che dicono: perché l’Ucraina? Perché non Peoria o Des Moines?
AB – Se noi e altri non difendiamo questi concetti di base, queste regole fondamentali, l’idea che l’indipendenza dei paesi debba essere rispettata, che la loro integrità territoriale debba essere rispettata, non cambiata con la forza; se non difendiamo questo principio – e possiamo farlo in una varietà di modi – quando viene messo in discussione, allora il rischio è di aprire un vaso di Pandora, dove gli aggressori – non solo in Europa, non solo in Russia – prenderanno appunti e diranno: posso agire impunemente. E questo farà scoppiare conflitti in molte parti del mondo. E l’unica cosa che sappiamo dalla storia è che inevitabilmente questo ci riguarda. E se possiamo fare tutto il possibile per evitare di dover rispondere e per assicurarci che alcune di queste regole vengano rispettate penso che sia chiaramente nel nostro interesse farlo.
CR – Parliamo dell’altra grande potenza: la Cina. Xi Jinping sarà probabilmente incoronato per il suo terzo mandato: è un leader un po’ diverso. Quando ero lì – Hu Jintao, Jiang Zemin prima di lui – si diceva dei leader cinesi: “Nasconditi e aspetta”. I cinesi dicevano sempre: “Oh, siamo solo un paese in via di sviluppo, non ci occupiamo di politica estera”. Xi Jinping ha una visione molto diversa del ruolo della Cina, e oltre 30 anni di narrazione integrazionista sulla Cina sembrano andare in frantumi.
AB – Negli ultimi anni abbiamo visto emergere una Cina molto diversa con Xi Jinping. E’ più repressiva all’interno, è più aggressiva all’estero e in molti casi questo rappresenta una sfida ai nostri interessi e ai nostri valori. Ma questa relazione è tra le più importanti che abbiamo, tra le più impegnative, tra le più complicate. Abbiamo assistito all’emergere di aspetti chiaramente conflittuali, di aspetti competitivi, ma anche di aspetti cooperativi. E non possiamo perderli di vista, perché alcuni dei problemi grandi che dobbiamo risolvere sono molto più difficili da risolvere se gli Stati Uniti e la Cina non sono effettivamente impegnati nel tentativo di risolverli. L’aspetto competitivo è in primo piano, perché si tratta di una competizione per dare forma a ciò che verrà dopo il periodo post Guerra fredda. Che aspetto avrà? Il mondo non si organizza da solo, e per gli Stati Uniti la scelta è questa: se non assumiamo un ruolo di leadership, o lo fa qualcun altro, e potrebbe essere la Cina, o non lo fa nessuno, e allora si tende ad avere dei vuoti che si riempiono di cose brutte prima che di cose belle. A mio parere, anche la Cina vuole un ordine, ma è un ordine profondamente illiberale. L’ordine che noi cerchiamo è un ordine più liberale, ed è su questo che si gioca la competizione.
CR – Molto spesso ci troviamo in quella che io chiamo invidia autoritaria. Loro costruiscono grandi aeroporti. La democrazia è così disordinata. Ma dimentichiamo che l’innovazione proviene da un luogo, gli Stati Uniti, che è il più libero e aperto del mondo. E quindi parliamo di investire in questi punti di forza, di proteggere questi punti di forza, senza dover dire ai nostri alleati una cosa che un segretario di stato non vorrebbe dire mai: o con noi o con la Cina.
AB – Una parte importante di ciò che stiamo cercando di fare è ottenere un maggiore allineamento con gli alleati, con i partner, con tutta una serie di paesi che potrebbero anche non rientrare nella categoria degli alleati o dei partner, ma che hanno interesse ad assicurarsi che ci sia una comprensione di base delle regole e che tutti le rispettino. Abbiamo quindi dedicato molto tempo a cercare di rivitalizzare e riattivare le nostre alleanze, ne abbiamo anche inventate o attivate di nuove: nuovi raggruppamenti di paesi su questioni specifiche, per esempio, assicurarci di avere catene di approvvigionamento resistenti, assicurarci di investire insieme sui semiconduttori, perché gran parte di questo lavoro deve essere collaborativo, ma anche protettivo. E nel caso dei semiconduttori di fascia alta, c’è solo un piccolo numero di paesi che li produce o che produce gli strumenti per produrli. Vogliamo assicurarci di mantenerli dove devono essere. Quindi, l’allineamento con altri paesi che cercano di muoversi nella stessa direzione, cercando di lavorare insieme per dare forma ad alcune delle norme, degli standard, delle regole con cui viene utilizzata la tecnologia, fa parte del nostro interesse nazionale e della nostra forza nel mondo.