elezioni di midterm
In Ohio si litiga per il vento e si va verso lo scontro tra J.D. Vance e Ryan
Lo stato-barometro del voto americano ha perso rilevanza, ma è ancora lo specchio delle contraddizioni del paese e dei suoi cambiamenti. Il referendum sulle pale eoliche, l’azienda di microchip e l’avventura del candidato repubblicano
Per capire dove tira il vento in Ohio, bisogna entrare in luoghi come la Pelican Coffe House a Bucyrus. La gente del posto, appoggiata alle grandi spalliere delle sedie di legno del bar, in questi giorni discute proprio di vento. E litiga. Molto. Una cosa insolita per l’Ohio, un luogo tradizionalmente permeato dalla gentilezza del mondo rurale. Ma il punto è proprio questo: non c’è più niente di “solito” nello stato che un tempo rappresentava la chiave di lettura dell’America. Bucyrus è una cittadina di undicimila abitanti in mezzo alle pianure coltivate tra Columbus e Cleveland, lontana dalle grandi città e dalle rive del lago Erie. Il classico posto “in the middle of nowhere”, dove le autorità locali hanno deciso di impiantare 60 turbine a vento per un progetto eolico da 300 megawatt.
Un’idea che ha spaccato la comunità locale tra “pro winder” e “anti winder”: quelli che pensano che l’energia pulita sia fonte di nuova ricchezza e tutela dell’ambiente, e quelli che ritengono che le pale eoliche rovinino il paesaggio e rubino spazio alle coltivazioni. Una spaccatura così netta che ora ai tavoli del Pelican i pro e i contro non si parlano più. Famiglie divise, amici che si sono tolti il saluto, sguardi di traverso. L’impossibilità di trovare un accordo ha costretto la contea a indire un referendum sulle pale eoliche. Così l’8 novembre, quando l’Ohio come gran parte dell’America andrà al voto per le elezioni di midterm per il rinnovo del Congresso, a Bucyrus si voterà anche sul vento. E c’è da aspettarsi che il risultato lascerà rancori e denunce di brogli. Perché ormai negli Stati Uniti è tutto così: polarizzazioni, guerre tra bande e accuse reciproche su tutto, dall’economia alla cultura, dall’aborto all’immigrazione.
L’Ohio, l’ex barometro degli Stati Uniti, lo stato che per decenni ha dato indicazioni sull’umore del paese, è diventato imprevedibile come il meteo che scatena tornado e uragani sull’America. E nello stesso tempo è divenuto sempre meno rilevante, proprio per l’incapacità di rappresentare l’americano medio come aveva fatto per decenni. Una tendenza che potrebbe però cambiare dopo l’8 novembre. Perché l’Ohio ha il potenziale per tirar fuori una grossa sorpresa: mentre tutti gli occhi degli osservatori sono concentrati sulle sfide per il Senato in tre stati-chiave, Pennsylvania, Georgia e Nevada, nell’ex barometro del Midwest c’è uno scontro, quello tra il repubblicano J.D. Vance e il democratico Tim Ryan, che potrebbe spiazzare i pronostici e forse addirittura condizionare l’esito delle elezioni di midterm.
È dalla metà del secolo scorso che, a ogni tornata elettorale, si sente ripetere la stessa frase: “As Ohio goes, so goes the country”. L’elettore dell’Ohio è sempre stato ritenuto l’equivalente americano dello stereotipo della casalinga di Voghera come capacità di incarnare il cittadino medio. Alle presidenziali, un candidato alla Casa Bianca che non riuscisse a conquistare l’Ohio era ritenuto spacciato, soprattutto se era repubblicano. Nessun esponente del Gop, il Grand Old Party, è mai riuscito a entrare nello studio ovale senza vincere l’Ohio.
Negli ultimi 150 anni, solo quattro candidati sono diventati presidenti senza conquistarlo: l’ultimo è proprio Joe Biden, che nel 2020 ha interrotto una serie che andava avanti dal 1960. Donald Trump ha vinto in Ohio con un distacco di otto punti, come era già avvenuto nel 2016, ma ha perso la presidenza e ha rafforzato la convinzione che non si tratti più di uno swing state, uno stato incerto che diventa decisivo nell’Election Day.
Il fatto è che l’Ohio non è più il microcosmo dell’America: mentre il paese cambiava, è rimasto più bianco e più anziano del resto degli Stati Uniti. Al censimento del 1988, l’88 per cento della popolazione locale era rappresentata da bianchi, rispetto a una media nazionale dell’80 per cento. Oggi l’Ohio è rimasto sé stesso, mentre l’America è cambiata, con una media di bianchi non ispanici scesa al 57 per cento. L’età media è più alta di quella nazionale, la popolazione si è ridotta e il peso politico dell’Ohio è andato di pari passo.
Nello stesso tempo è cambiata l’economia, il tema che domina i pensieri dell’elettore americano quando si reca al seggio. L’Ohio agricolo era e rimane conservatore, ma il vero motore dell’economia locale era l’industria manifatturiera, che portava con sé ondate di voti operai per i democratici soprattutto nelle grandi città: Cleveland, Cincinnati, Toledo e tutta la fascia vicina a Detroit.
Con Pennsylvania, Michigan, Indiana, Illinois e su fino al Wisconsin, era l’America della Rust Belt industriale e di solito colorava di blu (democratici) le mappe elettorali. Anche la zona meno popolosa del sudest, lungo i monti Appalachi al confine con la West Virginia, votava allo stesso modo: Jimmy Carter nel 1976 e Bill Clinton nel 1992 vinsero rispettivamente 10 e 11 contee nell’area. Da allora, il meglio che un candidato democratico ha fatto sugli Appalachi è stato vincere quattro contee.
Il cambiamento è arrivato con la crisi economica, che da queste parti è stata imputata alla globalizzazione e alla fuga degli impianti produttivi verso l’Asia. Nel 2008, durante la sfida per la Casa Bianca tra Barack Obama e John McCain, il malumore dell’Ohio si incarnò in un personaggio che divenne un ennesimo stereotipo. Si chiamava Samuel Joseph Wurzelbacher, ma è diventato celebre con il soprannome di “Joe the Plumber” (Joe l’idraulico). Durante una tappa in Ohio della campagna elettorale, Joe avvicinò Obama e lo ingaggiò in una discussione, ripresa dalle telecamere, che in breve circolò su tutte le tv.
Il piccolo imprenditore spiegò a Obama di essere preoccupato per le tasse che un’amministrazione democratica gli avrebbe imposto. Il futuro presidente gli spiegò il proprio piano fiscale, ma Joe si dimostrò poco convinto e i repubblicani in pochi giorni ne fecero un simbolo del malumore dell’americano medio. McCain portò con sé in campagna elettorale Joe the Plumber e i democratici per cercare di contrastarne il messaggio gli schierarono contro il loro “Joe”, l’allora candidato vicepresidente Joe Biden.
L’America di Joe Biden e quella di Joe the Plumber si scontrano da allora. Obama conquistò il voto dell’Ohio e arrivò alla Casa Bianca, ma i repubblicani si impossessarono della narrazione dell’average Joe, del piccolo imprenditore al quale i “socialisti” sottraevano il sogno americano e su questo racconto costruirono, a partire dalle elezioni di midterm del 2010, prima il movimento Tea Party, e poi l’ondata che ha trascinato al successo nel 2016 Donald Trump.
In Ohio, così come in molte altre parti del paese, i repubblicani negli ultimi vent’anni hanno acquisito un forte controllo di tutte le amministrazioni locali, ponendo le basi del successo che ora potrebbe essere coronato dalla riconquista del Congresso l’8 novembre e dalla corsa per tornare alla Casa Bianca di nuovo con Trump nel 2024.
L’ondata è stata tale da aver messo in crisi l’intera strategia dei democratici nella Rust Belt. La fascia industriale e manifatturiera degli stati del nord non è più il “muro” che un tempo garantiva la vittoria ai progressisti, ma è diventata la loro debolezza. Le speranze dei democratici adesso si appuntano sulla Sun Belt, gli stati del sole al sud, dalla Florida all’Arizona e al Nevada. Quegli stessi stati – incluso il più importante, il Texas – che i democratici controllavano fino agli anni Sessanta del secolo scorso e che si sono spostati a destra ai tempi del presidente Lyndon Johnson e delle sue battaglie sui diritti civili. Adesso il partito di Biden deve puntare sulla multietnicità della Sun Belt, sulla migrazione interna che ha portato giovani e minoranze a stabilirsi in luoghi come Austin o Denver, cambiando profondamente la demografia del sud.
Per questo tutti gli occhi sono su luoghi come la Georgia o il Nevada, mentre l’Ohio è rimasto indietro, troppo bianco e anziano per poter essere considerato rappresentativo degli umori del paese.
Ma è uno scenario che potrebbe riservare sorprese. L’8 novembre si profila un trionfo dei repubblicani. La Camera per i sondaggi è già persa per i democratici, mentre al Senato tutto si gioca su uno o due seggi. In una situazione di assoluto equilibrio come quella attuale, dove i democratici hanno la maggioranza solo in virtù del voto della vicepresidente Kamala Harris, che presiede anche il Senato, basta un seggio per cambiare tutto.
L’opinione diffusa è che il senatore che farà la differenza sarà eletto in Georgia, in Pennsylvania o in Nevada, tre stati dove i due partiti stanno concentrando tutte le forze. Ma in Ohio c’è qualcosa di nuovo. La sorpresa possibile sta nel fatto che i candidati appoggiati da Trump nelle primarie repubblicane dei mesi scorsi si stanno rivelando i più vulnerabili tra quelli messi in campo dal Gop. Tra questi figura Vance, un personaggio con ambizioni che vanno oltre il seggio da senatore (c’è chi lo vede già come il prossimo Trump), ma che potrebbe anche crollare rovinosamente. J.D. Vance fino a poco tempo fa era una specie di “Joe the Plumber” alla rovescia. Cresciuto nell’Ohio rurale, figlio di una famiglia disastrata di quelli che un tempo si chiamavano white trash (gli americani bianchi poveri che sono diventati una colonna portante del movimento trumpiano Maga, Make America Great Again), aveva lasciato lo stato per diventare un venture capitalist di successo a San Francisco. Qui aveva scritto un libro di memorie diventato un bestseller, “Hillbilly Elegy” (pubblicato in Italia da Garzanti con il titolo “Elegia americana”), che era un duro atto d’accusa sia contro le élite che a suo avviso avevano rovinato il paese, sia contro il mondo white trash da cui proveniva.
Vance durante la campagna elettorale del 2016, quella di Trump contro Hillary Clinton, era stato duro contro il candidato repubblicano e lo era stato ancora di più quando Trump era diventato presidente. Una scelta che ne aveva fatto un beniamino dei media progressisti di tutto il paese, ipnotizzati dal fatto di avere un giovane scrittore di successo che criticava in un certo senso Trump da destra e smontava la narrazione “Make America Great Again” (Maga). Ma Vance nel tempo ha cambiato posizione e si è reinventato trumpiano. Quando si è candidato al seggio da senatore in Ohio, sembrava destinato a soccombere alle primarie contro esponenti repubblicani più forti di lui, ma l’appoggio di Trump lo ha catapultato verso la vittoria. Adesso, a 38 anni, J.D. Vance potrebbe rivelarsi un astro nascente o un disastro per il suo partito. Perché in uno stato dove i repubblicani sembravano destinati a vincere facilmente, si trova nei sondaggi più o meno alla pari con il rivale democratico Ryan.
Middletown, la sua città natale, era diventata con “Hillbilly Elegy” la vera Middle America e se Vance perdesse, sarebbe un segnale che qualcosa sta cambiando anche negli umori della base trumpiana.
Le ragioni stanno ancora una volta nella complessità dell’Ohio. Lo stato è in crisi, ma sembra aver accolto con favore l’impegno dell’Amministrazione Biden per maggiori investimenti in welfare e infrastrutture, e comincia a veder tornare importanti investimenti industriali. Honda e LG Energy Solution hanno annunciato, per esempio, l’apertura in Ohio di un loro stabilimento da 4,4 miliardi di dollari dedicato alla produzione di batterie, che creerà 2.200 nuovi posti di lavoro. Intel, l’azienda americana leader nei microchip, ha a sua volta avviato la realizzazione di un mega stabilimento da 20 miliardi di dollari per produrre microchip, per cercare di combattere la dipendenza degli Stati Uniti dai semiconduttori realizzati in Asia.
Ryan sta sapientemente cavalcando questa congiuntura favorevole. I repubblicani puntano tutta la campagna elettorale sull’economia e la scelta funziona bene in tutto il paese, alle prese con inflazione e corsa verso l’alto dei prezzi dell’energia, ma non in Ohio. Perché qui la ricetta di Biden sembra funzionare meglio che altrove.
Il dibattito televisivo dei giorni scorsi tra Ryan e Vance ha fatto emergere tutte le contraddizioni del momento. Il democratico ha avuto gioco facile nel dipingere Vance come un estremista che sostiene il mondo dei ribelli che hanno dato l’assalto al Capitol il 6 gennaio 2021. Un altro assist a Ryan lo ha offerto il fatto che il rivale abbia lasciato l’Ohio negli anni scorsi per andare a far carriera a San Francisco – una città poco amata nel Midwest – e abbia investito in imprese che operano in Cina, il vero nemico di tutti gli ohioans che hanno visto i loro posti di lavoro migrare verso l’Asia.
Ryan, all’opposto, può vantare solide radici nello stato e una storia familiare da bravo ragazzo cattolico che ha sempre fatto volontariato. Nonostante il fatto che in realtà il candidato democratico da anni sia un deputato che passa gran parte del tempo a Washington, è apparso convincente quando ha accusato Vance di aver tradito l’Ohio per “passare il tempo a bere vino e mangiare formaggio a San Francisco”: un affondo in stile molto trumpiano, utilizzato per denigrare un candidato di Trump. Resta da vedere, l’8 novembre, se Ryan si rivelerà un nuovo tipo di democratico che sa parlare anche ai populisti, o se decollerà la carriera politica di Vance, ora appoggiato non più dai media progressisti, bensì dal potente conduttore televisivo Tucker Carlson di FoxNews e dai soldi di Peter Thiel, il finanziere della Silicon Valley che alimenta le campagne di Trump. In entrambi i casi, l’Ohio potrebbe riacquistare un po’ della perduta rilevanza nelle campagne elettorali, in vista della corsa alla Casa Bianca dei prossimi anni. Non sarà più il barometro dell’America, ma resta uno stato che vale la pena tenere sempre d’occhio.
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