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Chi dopo Liz Truss?

Gregorio Sorgi

A Londra si chiacchiera di una sfida tra Rishi Sunak e Boris Johnson. Gli orfani di BoJo sono tanti, ma il suo ritorno è un azzardo. Ciò che è certo è che chiunque sarà il nuovo leader dei conservatori si ritroverà un partito diviso

Londra. La gara per la successione di Liz Truss, la premier britannica che si è dimessa ieri dopo solo sei settimane di governo, potrebbe essere un derby tra due ex amici diventati acerrimi rivali: Boris Johnson contro Rishi Sunak. L’ex premier – trascinato fuori da Downing Street dai suoi stessi ministri lo scorso luglio, e che al momento si trova in vacanza ai Caraibi – sta pensando di ricandidarsi alla guida dei conservatori, secondo quanto riportano Times e Telegraph.

 

In molti hanno auspicato una “incoronazione” al vertice dei Tory per mettere alle spalle mesi di faide e lotte intestine. Ma è difficile che questo avvenga; chiunque sarà il nuovo leader si ritroverà un partito diviso. Oltre a Johnson, l’altro candidato di punta dovrebbe essere proprio Sunak, il grande sconfitto delle primarie di quest’estate, che è rimasto rigorosamente in silenzio dal giorno in cui Liz Truss ha vinto. Il fallimento del progetto ideologico della premier ha confermato tutto ciò che Sunak aveva predetto: che la Gran Bretagna non poteva permettersi un grande taglio delle tasse con l’inflazione a livelli record, e che la Trussonomics non avrebbe fatto altro che aumentare i tassi d’interesse e spaventare i mercati. Il tempo ha dato ragione a Sunak tanto che, per placare la tempesta finanziaria, Truss ha riesumato alcune sue proposte precedentemente bocciate, come l’aumento della Corporation tax – la tassa sui profitti delle grandi aziende – dal 19 al 25 per cento, e l’accantonamento del taglio dell’aliquota dal 20 al 19 per cento. Pur avendo formato un governo di fedelissimi, dopo poche settimane l’ex premier è stata costretta a sostituire l’ex cancelliere radicale Kwasi Kwarteng con Jeremy Hunt, un conservatore moderato che aveva sostenuto la candidatura del rivale, e la ministra dell’Interno Suella Braverman con Grant Shapps, un colonnello di Sunak.

 

Il grande problema dell’ex cancelliere è quello di essere odiato dall’ala johnsoniana del partito, che lo considera un traditore e farà di tutto per sbarrargli la strada per Downing Street. Per accelerare la selezione del nuovo leader, sarà necessario ottenere il sostegno di 100 deputati entro lunedì; i due più votati andranno al ballottaggio con gli iscritti al Partito conservatore, e il nuovo premier si conoscerà entro il 28 ottobre. Una volta rimasti solo due nomi, ci sarà un “voto indicativo” tra i parlamentari, quindi gli iscritti sapranno chi è il candidato con il maggior seguito ai Comuni. Nelle ultime primarie, la corte di Boris puntò su Liz Truss e anche stavolta scommetterà sul rivale di Sunak, chiunque esso sarà. Gli orfani di Johnson non dimenticano che Sunak fu tra i primi membri del governo a sfiduciarlo il 5 luglio – l’annuncio arrivò appena nove minuti dopo quello del suo collega Sajid Javid – innescando la catena di dimissioni che, nel giro di trentasei ore, portò alla caduta dell’ex premier.

  

Nel Partito conservatore ci sono ancora tanti orfani di Boris Johnson, prima fra tutti l’ex ministra della Cultura Nadine Dorries, che qualche ora prima delle dimissioni di Liz Truss aveva invocato il ritorno dell’ex premier. Vari parlamentari la pensano allo stesso modo: sostengono che Johnson è l’unico ad avere un mandato popolare e che qualunque alternativa sarebbe anti democratica. Qualora Boris Johnson arrivasse allo scrutinio finale, sarebbe il grande favorito per la vittoria. Un sondaggio di YouGov di alcuni giorni fa rivela che l’ex sindaco di Londra è il primo nell’indice di gradimento dei militanti (32 per cento), con un notevole distacco da Sunak (23 per cento). Ma il fatto che Boris continui a essere la star dei fedeli conservatori non cancella i problemi pratici di un suo ritorno. Innanzitutto, c’è l’indagine di una commissione dei Comuni che lo accusa di avere mentito in Parlamento in merito allo scandalo del partygate. Qualora Johnson venisse dichiarato colpevole, sarebbe costretto a dimettersi, facendo sprofondare il paese in un’altra fase surreale di instabilità politica. Inoltre, non si sa da chi verrebbe composto un futuro governo Johnson dato che 57 ministri e sottosegretari – in pratica quasi tutti i Tory con un minimo di esperienza – si sono dimessi a luglio e difficilmente torneranno a servire il premier contro cui si sono ribellati. Il sondaggista James Johnson fa notare che negli ultimi mesi al governo Boris aveva perso il sostegno dell’opinione pubblica – soltanto Liz Truss è riuscita a fare peggio di lui in appena sei settimane. Quello fu il motivo per cui i Tory lo costrinsero alle dimissioni, e la situazione non è cambiata granché in questi mesi. Il ritorno di BoJo sarebbe un grande romanzo, che però rischia di far tornare i conservatori al punto di partenza.