la crisi energetica
I problemi delle (in)decisioni del Consiglio europeo sul gas
La buona notizia è che il prezzo sul Ttf scende, la cattiva è che le decisioni dell’Ue non hanno avuto un ruolo
Il Consiglio europeo di giovedì si è concluso con una buona notizia e una cattiva notizia. La buona notizia è che, alla fine di una giornata convulsa, il Ttf ha perso il 9 per cento. La cattiva notizia è che le decisioni assunte a Bruxelles non hanno verosimilmente avuto alcun ruolo. Anche perché, di decisioni concrete, ce ne sono state poche. I rappresentanti degli stati membri hanno semplicemente chiesto alla Commissione europea di avanzare nuove proposte.
In particolare, la Commissione dovrà lavorare con urgenza su questi temi: acquisti comuni di gas facoltativi, fatta eccezione per il 15 per cento dei volumi necessari a riempire gli stoccaggi; un “corridoio dinamico” sui prezzi del gas; accelerazione delle autorizzazioni per gli impianti rinnovabili; tetto al prezzo del gas impiegato per la generazione elettrica (il cosiddetto “tope al gas” adottato nella penisola iberica); indice di prezzo per il gas alternativo al Ttf; supporto alla liquidità degli operatori e trasparenza dei mercati; solidarietà tra stati; risparmio energetico; strumenti nazionali a supporto di famiglie e imprese.
Le perplessità circa la possibile efficacia di queste iniziative sono tanto maggiori quanto maggiori sono state le aspettative create dai reiterati annunci di Bruxelles. Degli acquisti congiunti di gas solo una piccola parte è soggetta ad aggregazione obbligatoria. E, stando alla proposta di Regolamento della Commissione del 18 ottobre, gli stati membri potranno coordinare le proprie politiche di prezzo solo in via volontaria. Un aspetto, quest’ultimo, che non può fare sorgere dubbi circa l’abilità del meccanismo nel rafforzare il potere negoziale dell’Europa e ridurre la concorrenza reciproca per gli approvvigionamenti.
Sulla misura più attesa, il tetto al prezzo del gas, i punti oscuri sono talmente tanti che la sua effettiva attuazione sembra assai lontana. Non solo è ancora da capire come sarà congegnato il tetto e quale sarà la sua efficacia nel caso in cui i prezzi del Gnl fossero superiori. Ma, soprattutto, non è chiaro come questo tetto possa essere incorporato nelle condizioni di acquisto dei contratti di lungo termine esistenti. Inoltre, la stessa proposta della Commissione prevede il price cap, ma lo subordina a condizioni talmente stringenti – per esempio che non determini un aumento della domanda – da essere, all’atto pratico, poco più di una vuota grida. Sono forse questi dubbi ad avere indotto il Consiglio a considerare anche l’adozione di un limite al prezzo del gas impiegato nella generazione elettrica: una sorta di “cugino povero” (ma anche meno pericoloso) del price cap sul gas.
Tuttavia, se dal punto di vista politico la mancanza di unità è il dato più significativo, dal punto di vista del merito il mancato accordo sul tetto al prezzo del gas è tutt’altro che una cattiva notizia. Il problema dell’Europa, oggi e ancor più l’anno prossimo, sarà quello di trovare il gas necessario. Se vogliamo attirare il Gnl, e convincere i nostri fornitori tradizionali a investire in nuova capacità produttiva per sfruttare a pieno i tubi esistenti, non possiamo pretendere di “farci lo sconto” da soli. Anche perché, se la Cina tornasse a consumare gas ai livelli pre-Covid, la disponibilità di carichi di metano sarebbe ancora più esigua. Per giunta, è indispensabile evitare che un taglio amministrativo dei prezzi finisca per rilanciare i consumi proprio quando il risparmio dovrebbe essere il principale obiettivo.
Tutto ciò mette in discussione forse l’unico punto su il Consiglio dà prova di rimanere fedele alla funzione che dovrebbe perseguire l’Ue. Ossia garantire il funzionamento del mercato interno e la sicurezza delle forniture. Il rischio, allora, è non solo di ritrovarci con stati membri che continuano a perseguire politiche eterogenee che creano effetti asimmetrici sulla competitività. Soprattutto, ci ritroveremmo con mercati che mandano segnali contrastanti con gli obiettivi della transizione energetica, a cui pure la Commissione ha delegato la soluzione di lungo termine della crisi energetica (oltre che ovviamente a quella climatica). Un aspetto quest’ultimo su cui l’Ue si è sempre trovata unita, nonostante proprio l’aver ignorato il tema della sicurezza energetica sia una delle cause dell’attuale situazione. E’ facile trovarsi d’accordo su come vorremmo fosse il mondo nel 2050: più complesso mettersi d’accordo su cosa fare nei prossimi dodici mesi.
L'editoriale dell'elefantino