L'intervista
Noi russi non abbiamo protetto la democrazia. Intervista a Martynov
La speranza di una nuova Russia esiste ed è importante per tutta l’Europa. Parla il direttore della Novaya Gazeta Europe
Da quando Vladimir Putin ha invaso l’Ucraina, per una parte di Russia tutto si è trasformato. Per Kirill Martynov, direttore di Novaya Gazeta Europe, si è trasformato anche il suo lavoro. E’ andato via da Mosca e ha deciso che non si sarebbe più trattato di giornalismo, ma di una forma di impegno che aveva a che fare con il sostegno a Kyiv e con la missione di preservare una speranza: la Russia sarà una nazione nuova. Nel 2014, quando la Crimea venne annessa da Mosca, Martynov si definì filoucraino, un aggettivo che per il Cremlino equivale ormai a un crimine. “Fino a otto anni fa”, dice Martynov al Foglio, “era ancora possibile essere filorussi e filoucraini, senza contraddizioni. Ucraini e russi avevano le stesse speranze di vivere in pace e in sicurezza. Chi ha ordinato l’invasione non ha capito che ha distrutto il legame tra due popoli in cui gli scambi erano continui”. Martynov fa un esempio: “La piattaforma social più diffusa in Ucraina era VKontakte, e c’era un flusso costante di contenuti russi e ucraini. Lo scambio era anche commerciale”, tra le due nazioni esistevano uno spazio aperto e poroso, che la guerra ha chiuso.
“Nel 2014 l’Ucraina ci stava mostrando l’esistenza di un futuro migliore, in cui i cittadini erano in grado di chiedere e di ottenere dallo stato”. Martynov crede che la ragione principale della guerra sia da ricondurre alla volontà di Vladimir Putin di mantenere il potere, di rafforzarlo, ha sempre percepito l’Ucraina come un paese identico alla Russia, una propaggine, e a questa percezione errata si è aggiunta l’idea che Mosca non dovesse essere da meno di altre potenze, come Cina o Stati Uniti, e perdere zone di influenza. “Invece l’Ucraina è cambiata molto in questi anni e la propaganda russa non l’ha capito”. Kyiv evolveva, votava e sceglieva nuovi presidenti. Mosca si trovava costretta in una pericolosa involuzione, il controllo dello stato aumentava e l’obiettivo dei russi diventava, di giorno in giorno, salvaguardare la loro quotidianità e sicurezza. “Gli ucraini chiedono perché i russi non hanno mai cercato di fermare il governo oppressivo, perché non si ribellano. Vivere in una dittatura vuol dire che le persone iniziano a pensare soltanto alla sopravvivenza e soprattutto a tenere il governo lontano dalla propria vita”. Il desiderio di essere lasciati in pace ha portato i russi a disinteressarsi a tutto, anche a ciò che stava accadendo in Ucraina. Non vuol essere una giustificazione nei confronti del popolo russo, ma la fotografia di una nazione stravolta, in cui questa settimana è stata dichiarata la legge marziale nonostante fino a poco fa venisse ripetuto loro che la guerra non c’era, era soltanto un’operazione militare speciale. “Putin ha dichiarato la ‘legge marziale parziale’, come parziale era la mobilitazione. Si tratta di un escamotage per dare ai governatori il potere di decidere da soli quali misure applicare. In pratica, con questa legge, ha distrutto quel che rimaneva del sistema legale: a livello locale potranno decidere liberamente se rispettare o meno l’ordine costituzionale, già compromesso”. Si fa fatica a immaginare la fine del conflitto e l’inizio di un futuro diverso, l’idea giusta e comune è che bisognerà sostenere la rinascita e la ricostruzione dell’Ucraina e soltanto poi si penserà alla Russia. “In qualche modo noi russi abbiamo costruito un nuovo muro in Europa, ed è comprensibile che si pensi che dovremo cavarcela da soli. Il punto è che se ci sarà ancora Putin o qualcuno della sua cerchia, vivremo soltanto una pausa prima del ritorno della guerra. La Russia diventerà un territorio senza diritti umani, senza istituzioni libere, il livello di violenza si alzerà ancora di più come quello della corruzione. Le persone dovranno sopravvivere, adattarsi e l’Europa dovrà domandarsi come coesistere nello stesso continente con questa Russia”. La soluzione, per avere un futuro, è una: sradicare il putinismo. “Noi russi che crediamo nella democrazia abbiamo il dovere di costruire questo futuro, ci vorrà tempo, ma dobbiamo fare in modo che la società russa sappia cosa c’è fuori. Ci sono soltanto due istituzioni che sopravvivono in Russia, o meglio, che sono molto popolari tra i russi: il giornalismo indipendente che ormai si è trasferito all’estero, e le ong che sostengono i diritti umani”.
Queste istituzioni nel Ventesimo secolo non c’erano, non erano nemmeno immaginabili in Unione sovietica, per questo, dice Martynov, la speranza di un futuro migliore c’è davvero, è concreta. “Quando parlo con i ragazzi in giro per l’Europa – Martynov vive in Lettonia, dove si sono trasferiti molti giornalisti russi – non smetto mai di ripetere che la democrazia è importante e va protetta. Noi russi non l’abbiamo protetta, e questo è quello che è successo”.