Voci fuori da Teheran
La battaglia di Esmaeilion. Forse la protesta iraniana ha un leader
La manifestazione di sabato scorso a Berlino ha un nuovo volto contro il regime. Con un intervento in ingese e in persiano, lo scrittore e dentista ha declamato: "Lo sforzo di rovesciare la Repubblica islamica è sulle nostre spalle"
Sabato 22 ottobre a Berlino, centomila iraniani provenienti da tutta Europa, e in alcuni casi anche dal Canada e dagli Stati Uniti, hanno sfilato tra la Colonna della Vittoria e la Porta di Brandeburgo per testimoniare la loro opposizione alla Repubblica islamica e stringersi in un abbraccio virtuale ai manifestanti che da sei settimane sfidano a mani nude la repressione. Appelli, musica e testimonianze hanno scandito il pomeriggio berlinese, ma nessuno è riuscito ad articolare le speranze degli iraniani meglio di Hamed Esmaeilion. “Noi iraniani abbiamo un sogno”, ha spiegato nel suo intervento in inglese e in persiano, e mentre descriveva il nuovo Iran, senza processi sommari e poeti in catene, senza bambini ribelli spinti giù dai tetti, senza armi vendute a Vladimir Putin cosicché possa ammazzare gli ucraini, un colossale sospiro di sollievo univa gli iraniani per strada, a Berlino, e quelli incollati agli schermi di Bbc Persian e IranInternational dal resto del mondo. Il conforto, ascoltandolo, era tutto nel pensiero che non è vero che il nuovo Iran non può vincere perché è privo di leader.
Quarantacinque anni, scrittore e dentista, originario di Kermanshah, Esmaeilion è il portavoce dell’Associazione delle famiglie delle vittime del volo PS752, l’aereo dell’Ukrainian Airlines abbattuto l’8 gennaio del 2020 da un missile dei pasdaran. Su quell’aereo diretto a Kyiv, su cui viaggiavano 176 persone, c’erano anche anche la moglie e la figlia insieme alle quali si era ricostruito una vita in Canada. Quell’inverno, intorno a Natale, si erano recate in Iran per partecipare a un matrimonio, a cui lui era stato costretto a rinunciare dopo che il suo nome era finito in una delle innumerevoli liste nere del regime.
“Ho indossato scarpe di ferro. Ho affilato la mia penna (…). La mia rabbia mi accompagna”, ha scritto Esmaeilion mentre tornava a Teheran in cerca di risposte, pochi giorni dopo il disastro.
Ma il regime di risposte non ne ha mai fornite, gli ultimi due anni e mezzo sono costellati di bugie, intimidazioni e insabbiamenti e nel frattempo Esmaeilion ha trasformato la sua rabbia in determinazione. “Prima che accadesse (l’abbattimento del volo PS752, ndr) avevamo tutti le nostre vite”, ha raccontato la settimana scorsa in un’intervista a Iranwire, “ma da quando è avvenuto questo crimine non c’è stata altra scelta se non quella di agire”. In breve tempo l’associazione delle vittime del volo PS752 è diventata qualcosa di più grande, perché il regime non è in grado di onorare la verità e la giustizia e la memoria di chi è stato ucciso non può che essere legata all’Iran e al suo futuro.
Ed è così che Esmaeilion tiene vive le parole d’amore ed i progetti lasciati a metà – la casa vicino al lago che sua moglie Parisa sognava e che non hanno più comprato e il selfie che sua figlia Reera avrebbe voluto scattare davanti alla Statua della libertà – sale su un palco e trova le parole per disegnare i sogni degli iraniani. “Lo sforzo di rovesciare la Repubblica islamica è sulle nostre spalle”, dice auspicando che il regime crolli come il muro di Berlino e a chi gli domanda se aspiri a ricoprire un ruolo politico, risponde che il suo unico pensiero è ottenere giustizia e libertà per il suo popolo, che la sua esistenza è semplicemente incanalata dentro questo viaggio. “Nessuno sa cos’ha in serbo il futuro. (…) Un amico mi ha detto che tornare in Iran sarebbe sinonimo di arresto e di tortura. Ma per una persona che non ha nulla da perdere potrebbe essere fattibile. Ogni volta che ho creduto di non poter andare avanti ho contemplato l’idea di tornare in Iran e di sedermi davanti alla porta di quei criminali”.
L'editoriale dell'elefantino