il mondo dell'altro ieri
Al Forum di Valdai Putin promuove il suo asse alternativo
Il Cremlino cerca alleati e fa appello ai paesi africani, mentre paga un tributo a Cina e Iran. Il leader russo dice e si contraddice, sulla bomba e sui negoziati
Sul palco del Forum di Valdai, appuntamento importante per l’immagine che la Russia proietta all’estero, il capo del Cremlino, Vladimir Putin, ha detto che Mosca non userà armi nucleari in Ucraina, “non ha alcun senso militare o politico”, anzi: non l’ha mai volute usare e ritiene folli le affermazioni dell’ex premier britannica, Liz Truss, che tra le sue funzioni aveva elencato quella di poter far ricorso alle testate atomiche: ma si può parlare così?, ha domandato Putin, che poi, a distanza di poche frasi, si è contraddetto. Ha affermato che potrebbe farne uso per difendere l’integrità territoriale della Russia, ma da quando a fine settembre sono stati organizzati i referendum fasulli nelle quattro oblast dell’Ucraina occupate da Mosca, il territorio che il Cremlino ritiene suo presenta dei confini non chiari.
L’incontro che si tiene dal 2004 sul lago di Valdai è stato per anni il biglietto da visita putiniano per il mondo esterno, con cui dimostrare che si poteva discutere di politica estera e Difesa non soltanto a occidente, ma anche in Russia. Diciotto anni dopo la prima edizione, la platea del Forum di Valdai era scarna ma attenta, in attesa di quello che il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, aveva definito un discorso importante, che tutti avrebbero letto e riletto, dal titolo “Il mondo dopo l’egemonia: giustizia e sicurezza per tutti”. Il presidente ha ripetuto che Mosca ha subìto le provocazioni della Nato, alla quale aveva proposto di diventare amici, ma è stata rifiutata e la Russia aveva lo stesso continuato a tollerarne l’ampliamento.
La storia era già nota e spesso elencata tra le cause dell’attacco contro l’Ucraina. Da un palco che di solito si rivolge alle élite mondiali, Putin ha cercato nuovi alleati, ha detto che l’occidente collettivo alimenta guerre e insicurezza, destabilizza i mercati energetici e alimentari e organizza provocazioni a Taiwan. Menzionare l’isola che la Cina rivendica come proprio territorio era un tributo che il presidente sentiva di dover pagare a Pechino, alleato prezioso contro l’occidente, ma diffidente. Il secondo tributo l’ha pagato all’Iran, che sta aiutando Mosca nella guerra fornendo droni e missili: è il primo a farlo in modo diretto. Putin ha ricordato l’uccisione a Baghdad del generale iraniano Qassem Suleimani: “Si può pensare qualsiasi cosa di lui, ma è stato ucciso da un paese terzo”. Il capo del Cremlino ha detto che l’occidente “ricorre a sanzioni, rivoluzioni colorate, colpi di stato”, qualsiasi tipo di azione illegale per imporsi. Ha utilizzato il vecchio mantra della cancel culture per dire che i paesi che non stanno con lui, quelli che aiutano l’Ucraina, sono come i nazisti che bruciavano i libri: così a ovest si toglie la libertà di chi vuole esprimere pensieri tradizionali.
Putin ha preso molte delle sue malefatte e l’ha imputate all’occidente: è lui che bloccando i porti ucraini ha impedito la partenza di mercantili carichi di cereali, poi ha accettato di firmare un accordo che continua a minacciare; è lui che attaccando l’Ucraina ha aperto un periodo di insicurezza energetica; ed è lui che nel suo paese non ammette il dissenso. Putin ha preso la parola “democrazia” e l’ha fatta sua per ben due volte, stravolgendola. La prima quando ha detto che la “stragrande maggioranza dei paesi ora chiede democrazia negli affari internazionali e non accetta alcuna forma di imposizione autoritaria da parte di altri stati”, e poi quando ha predicato un nuovo modello finanziario fondato sulla democrazia e libero dal dollaro che ha definito “un’arma”.
Putin sta cercando di creare un sistema di alleanze alternativo, ma lo fa da un posizione di debolezza, dalla parte di chi necessità di nuovi legami, non di un partner appetibile. In varie occasioni ha citato i paesi africani, ha detto che sarà Mosca a pensare a loro, e non l’occidente rapace, diviso e in crisi. Il capo del Cremlino ha bisogno di dimostrarsi aperto al dialogo, per poter sempre dire che non è lui quello che chiude la porta ai negoziati con l’Ucraina – la cui sovranità, ha detto il capo del Cremlino, può essere garantita soltanto dalla Russia “che ha creato l’Ucraina di oggi” – ha sottolineato che non può trattare con “l’occidente aggressivo, cosmopolita, neocoloniale, che agisce come l’arma dell’élite neoliberista”, ma ha lasciato intendere che con un altro occidente sarebbe disposto a farlo: “I nuovi centri dell’ordine globale e l’occidente dovranno iniziare una conversazione sul futuro: prima è, meglio è”.
Putin sta cercando di creare un nuovo senso di identità russo – utilizzando Solgenitsin e Dostoevskij – ma l’orgoglio della nazione tradita dall’ovest è difficile da vendere a una popolazione che dopo la mobilitazione si sente tradita prima di tutto dal suo presidente. Con i suoi alleati ha cercato di creare una presunzione di forza, ma la risposta è stata timida. Ai suoi rivali ha mostrato i muscoli ma è parso confuso: dico e mi contraddico, sulla bomba, sui negoziati, sul futuro.
Alla fine del dibattito è intervenuto Alexander Prokhanov, scrittore di origine georgiana, di ultradestra e con vecchie frequentazioni con i servizi segreti sovietici. Ha preso la parola per dire che in Russia la religione della giustizia dovrebbe diventare ideologia di stato. Non era lì per caso.