Droni e petrolio
La prima guerra dove iraniani e sauditi stanno dalla stessa parte: con Putin
Lo status geopolitico dell'Arabia Saudita è cresciuto rapidamente per la crisi energetica. Biden non sa come riportare dalla propria parte l'odiassimo partner Mbs
I due rivali storici come Riad e Teheran sono un po' meno lontani del solito. Ma la parabola della posizione iraniana rispetto alla guerra in Ucraina va guardata con attenzione
Per la prima volta l’Iran prende parte nei fatti a un conflitto in Europa e il supporto militare che sta dando alla Russia ha già cambiato la guerra. I droni suicidi Shahed-136 permettono a Vladimir Putin di colpire in ogni punto dell’Ucraina spendendo molto meno di quello che costa a Kyiv difendersi da quei velivoli-bomba e, soprattutto, gli permettono di superare il problema esiziale dell’esaurimento dei propri missili, quelli del sistema Iskander – che si sparano da terra invece che dal mare o dagli aerei – sarebbero oggi circa un decimo di quelli che Mosca aveva a disposizione all’inizio dell’invasione.
L’Iran aiuta Mosca con le armi e oltre ai droni è in arrivo un pacchetto di missili balistici: non era affatto scontato un supporto simile, ma non si poteva escludere. Il problema è che anche l’Arabia Saudita, lo storico rivale di Teheran in medio oriente schierato dalla parte opposta della Repubblica islamica in ogni conflitto prima di questo, sta aiutando Putin. Gli analisti cominciano a chiedersi se il presidente Joe Biden abbia in mente una strategia per fermare il supporto congiunto di iraniani e sauditi a Mosca e riportare Riad dalla propria parte.
Alla fine di febbraio, quando la guerra è cominciata, ci sono state le manifestazioni spontanee di cittadini iraniani che protestavano sotto l’ambasciata russa a Teheran sventolando la bandiera gialla e azzurra ucraina, a differenza di quelle di oggi, erano manifestazioni autorizzate. Allora il governo della Repubblica islamica si professava “neutrale”.
La propaganda condannava le “provocazioni della Nato”, ma diceva anche che l’invasione non poteva comunque essere giustificata. In quella fase pezzi del sistema di potere di Teheran, non solo il partito riformista che conta assai poco, ma alcune fondazioni (che messe assieme formano il totale dell’economia iraniana), una parte del ministero degli Esteri e alcuni consiglieri storici della Guida suprema Ali Khamenei, immaginavano che la guerra potesse essere un’occasione per vedere alleggerite alcune delle sanzioni imposte dalla Casa Bianca e per tornare a vendere petrolio iraniano ai paesi europei. Sarebbe servito come compensazione rispetto al ricatto di Putin sul gas e al generale aumento del costo dell’energia ed è quello che è successo nel caso del Venezuela. Secondo diversi analisti quella finestra di opportunità si è richiusa nel momento in cui i pasdaran, a marzo, hanno bombardato una base militare americana e un consolato in costruzione in Iraq. Da quel momento gli eventi sono precipitati e la Repubblica islamica è diventata il più stretto alleato di Putin in questa guerra dopo la Bielorussia. Khamenei si è vantato dell’efficacia dei suoi droni e le forze armate, insieme ai paramilitari, hanno pensato che fosse un’occasione ghiotta per testare sul campo e poi potenziare le proprie armi. Venerdì un ufficiale ucraino ha detto all’agenzia israeliana Kan che non solo ci sono istruttori iraniani in Crimea (come aveva rivelato l’intelligence americana), ma sono anche nelle zone dove è in corso la controffensiva e dieci sono stati trovati morti di recente.
Quello che non ci si aspettava era che l’Arabia Saudita, a lungo partner degli Stati Uniti, fosse così insensibile alle richieste e ai consigli di Washington in una fase come questa. Mentre Teheran nicchiava sui negoziati per tornare a un accordo internazionale sul suo programma nucleare, tesseva relazioni più forti non solo con gli Emirati (un’operazione più semplice), ma anche con i sauditi. Biden fin dai primi giorni della sua presidenza non ha mai voluto mostrarsi morbido con il principe ereditario Mohammed bin Salmana e non lo ha fatto, ma non poteva prevedere che lo status geopolitico dell’Arabia Saudita sarebbe cresciuto tanto rapidamente come è accaduto negli ultimi mesi. Se Teheran aiuta Putin con le armi, Riad lo fa con il petrolio: la crisi energetica ha triplicato il potere di bin Salman e lui non lo ha usato per riallacciare con Biden, ma per fare il gioco di Mosca. A livello Opec, il consorzio dei paesi produttori, promuove riduzioni della produzione per fare aumentare ancora il prezzo, il contrario di ciò che gli ha chiesto la Casa Bianca per andare incontro alle preoccupazioni degli europei. Ora i diplomatici americani chiedono a Biden: come lo riportiamo dalla nostra parte?