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Il Labour inglese è tornato popolare. Così Starmer vuole riformare la sinistra

Cristina Marconi

Il leader laburista punta sulla svolta centrista e antiradicale, cercando i voti della middleclass. E mentre i sondaggi sorridono, i suoi ministri ombra si stanno confrontando con l’insegnamento di Tony Blair, David Blunkett e Peter Mandelson attraverso seminari e incontri e scuole di governo

Nella grande chiesa ecumenica di Keir Starmer si fa finta che ci sia spazio (quasi) per tutti, ma al momento di addestrare i possibili futuri ministri ci si rivolge senza indugi a chi la vittoria la conosce: la vecchia guardia blairiana. E così i ministri ombra, cresciuti alla luce pallida di un’opposizione segnata dall’inconcludenza degli anni di Jeremy Corbyn, si stanno confrontando con l’insegnamento dei “sensei” Tony Blair, David Blunkett e Peter Mandelson attraverso seminari e incontri, oltre a frequentare utilissime sessioni da 90 minuti con l’Institute for government su cosa succede quando sei ministro e quando sei sottosegretario, dalle banalità su come gestire le spese e la mail personali per evitare di finire come Suella Braverman, la ministra dell’Interno che mandava documenti riservati dalla sua posta privata, fino ai consigli più tecnici per non farsi trovare impreparati. 

Se i sondaggi sono euforizzanti, il terrore di Starmer è che ci scappi l’errore, che qualcosa vada a rovinare lo scenario roseo di un partito che ha un vantaggio di una trentina di punti su dei Tory ridotti a brandelli e un leader tornato a piacere anche nelle vecchie roccaforti laburiste sedotte dalla Brexit e da Boris Johnson. Solo che con una squadra giovane, le esperienze in campo sono poche: c’è Yvette Cooper, unica sopravvissuta della stagione del New Labour, e c’è Ed Miliband, molto impegnato sul fronte ecologico ma anche con un comprovato trascorso da pugnalatore di riformisti, e poi c’è Pat McFadden, segretario politico di Blair e ministro con Gordon Brown, un cinquantasettenne scozzese navigato e particolarmente attento alla fattibilità economica di ogni misura proposta. 

 

La stratega di Starmer è la sondaggista Deborah Mattinson, una che lavorava con Gordon Brown e che si è impegnata per ridefinire il concetto di working class, di nuovo proletariato a cui il partito deve guardare: non solo gli operai, bensì gente che lavora duro e che ha aspirazioni, ma che vive nel terrore di scivolare indietro travolta dall’inflazione e dall’aumento del costo della vita. Idraulici, estetiste, piccolissimi imprenditori di provincia che non vanno terrorizzati con questioni identitarie e patentini di liberalismo ma rassicurati del fatto che il Labour, e non i Tory sempre più elitisti, sono la loro casa politica naturale e non un vezzo da laureati dei sobborghi verdeggianti di Londra. Ora che a Downing Street c’è Rishi Sunak, un uomo più ricco del re la cui moglie si avvale di regimi fiscali agevolatissimi e che si vanta di aver portato fondi destinati alle zone urbane povere nelle zone dei suoi facoltosi elettori, non dovrebbe essere difficile convincere gli elettori middle class chi sia dalla loro parte. 

 

“Sta facendo quello che hanno fatto i partiti socialdemocratici scandinavi nel Dopoguerra, togliendo di mezzo l’ala radicale e puntando sull’idea di un’economia di mercato che funziona e da cui si traggono entrate fiscali sufficienti per finanziare buon servizi”, spiega Denis MacShane, ex ministro con Blair, che ricorda come il partito laburista abbia sempre voluto tenere tutte le sue vecchie tradizioni, finendone spesso soffocato. I corbyniani, epurati anche per via dell’inaccettabile tolleranza verso l’antisemitismo nel partito, al momento tacciono, anche perché con la fiammata dei prezzi in corso nel paese e le difficoltà enormi che la gente sta vivendo sarebbe ozioso, e irresponsabile, non sperare nella vittoria di qualcuno che non siano gli spericolati Tory. Gli ultras corbyniani di Momentum sembrano placati, mentre la spina nel fianco per Starmer è la sua vice Angela Raynor, quella popolare, scalmanata, sveglia, con cui si fanno dispetti e che non conviene avere come nemica, mentre la più vicina e fidata è Rachel Reeves, cancelliera in pectore, campionessa di scacchi da bambina, ex economista alla Banca d’Inghilterra, attenta alla spesa, rigorista. E un asset è anche David Lammy, cinquantenne deputato nero, bravo a comunicare, amico di Barack Obama e una solida rete di relazioni internazionali. 

 

La svolta centrista o antiradicale di Starmer, oltre che dall’evidenza dei sondaggi ha origine anche da un’altra considerazione: a meno di una resurrezione miracolosa in Scozia, il Labour non avrà i voti per governare da solo e potrebbe dover contare sui Libdem, visto che un’alleanza con gli indipendentisti dell’Snp sarebbe la pietra tombale su ogni credibilità presente e futura (soprattutto in un paese in preda a problemi di identità, fratture da affrontare, diciamolo, senza la presenza unificante di Elisabetta II). Starmer rifugge dalle fratture: sulla Brexit, per esempio, ha deciso di non dare battaglia e di mettersela alle spalle, di farla funzionare invece di riaprire una ferita che ha paralizzato il paese per sei anni, con conseguenze che Larry, il gatto di Downing Street, conosce ormai bene. Prima viene l’economia, dove il piano è quello di aumentare le entrate fiscali abolendo la regola dei non domiciliati che ha permesso alla signora Sunak di risparmiare milioni di sterline, di far pagare le tasse alle scuole private e di armonizzare il regime fiscale per tutte le categorie. E anche sulle tasse universitarie, portate a 10 mila euro all’anno dal governo di coalizione del 2010 e causa di una disaffezione finora irrecuperabile nei confronti dei Libdem, il Labour ha deciso di non fare marcia indietro: costa 10 miliardi di sterline, non si può fare. 

 

E soprattutto meglio stare lontani dalle wedge issues, dalle questioni controverse che spaccano la società e che avvelenano la politica, pratica molto amata da Boris Johnson. Keir Starmer tiene i piedi per terra, sceglie l’ambiguità costruttiva di chi può riservare sorprese ma preferisce al limite farsi sottovalutare. Ora si è preso una valigetta rossa come quella del primo ministro per gli affari correnti, incontra amministratori delegati e industriali, gente della City, li rassicura, fa sapere loro che il Labour è tornato, deciso, vigoroso, nuovo come venticinque anni fa. 

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