negli stati uniti
Chi sono i trumpiani della Generazione Z
Cambiano le generazioni, ma la polarizzazione è viva e determinante. La campagna della venticinquenne Karoline Leavitt in New Hampshire è figlia delle guerre culturali nei campus
Quando si vive dentro un ambiente estremo, è comprensibile che si sia portati a considerare come plausibile l’estremo opposto. Negli anni della wokeness – che molti sperano abbia raggiunto il suo limite – l’alternativa non è diventata la risolutiva lucidità razionale che avrebbe potuto avere un Christopher Hitchens, ma un conservatorismo rigido con tendenza cospirazionista, altrettanto distruttivo. La sfida, negli Stati Uniti, diventa moralismo di sinistra vs patriottismo di destra.
I campus universitari sono stati negli ultimi decenni gli allevamenti dei Social Justice Warriors, i combattenti per la giustizia sociale, il loro parco giochi prima di dover affrontare il mondo reale del lavoro. Qui, insieme alla mania di catturare i Pokémon con l’iPhone, è nata la lotta per la scelta dei pronomi, per l’autoidentificazione – mi identifico con un elicottero, dice un famoso meme – e contro la grassofobia, per una svolta intersezionale del femminismo. I campus, in cui un professore può essere fatto licenziare per un tweet o perché i suoi corsi sono troppo difficili – come è successo con Maitland Jones Jr che insegnava chimica alla New York University – sono il laboratorio dell’etica millennial, quello che Robert Hughes chiamava “un’infantilistica cultura del piagnisteo”, dove ci si offende perché un’idea non è più separabile dall’umore. Così, in risposta, nascono i conservatori Gen Z che vogliono distruggere tutto questo, stanchi di venir vessati per non esser sufficientemente vegani/ecologisti/queer.
Karoline Leavitt è una di queste, e potrebbe diventare a venticinque anni la donna più giovane mai eletta al Congresso, rappresentando uno dei due distretti del New Hampshire. Cattolica, bionda, occhi azzurri, è uscita dall’università da pochi anni e racconta spesso nelle interviste di come si considerasse un’outsider al college per le sue posizioni conservatrici, le sue critiche alle politiche di Barack Obama e la sua strenua difesa di quelle di Donald Trump. Leavitt, che fin da bambina aveva ambizioni giornalistiche, all’università ha dedicato molto tempo a cercare di convincere gli altri studenti che i “media liberal” stavano distorcendo la realtà, sottolineando quanto sia sempre stata coraggiosa, in classe, a dire quello che pensava sapendo che nessuno sarebbe stato d’accordo con lei, compresi i professori. L’ambiente universitario avverso l’ha convinta ancora di più delle proprie idee. Al primo anno, ha partecipato a un evento elettorale di Trump, nella cittadina di Plaistow, dove è cresciuta. Da lì in poi non ha mai smesso di essere dalla sua parte finendo, dopo il diploma e la sconfitta di Hillary, a lavorare come assistente ufficio stampa di una portavoce della Casa Bianca, Kayleigh McEnany, e poi per la giovane deputata Elise Stefanik, ex moderata del Partito repubblicano diventata una cospirazionista trumpiana di ferro.
Leavitt ha vinto lo scorso settembre le primarie del Partito repubblicano, battendo un altro candidato trumpiano, il trentatreenne Matt Mowers, giocando la partita su chi dei due fosse più fedele all’ex presidente. Avendo entrambi lavorato per lui – Mowers è stato al dipartimento di stato – Trump, non ha potuto subito scegliere su chi puntare e ha dato il suo appoggio a Karoline Leavitt solamente dopo la vittoria, congratulandosi con lei sui pochi social che gli sono rimasti. Il New York Times l’ha definita una “ultra-Maga”, il movimento “Make America Great Again”, avendo più volte difeso le illazioni di Trump sul fatto che le elezioni del 2020 fossero state manipolate dai democratici. Due giorni dopo la vittoria alle primarie, Leavitt è stata ospite di “War Room”, il podcast di Steve Bannon, l’ex capo stratega alt-right che ha aiutato a portare Trump a Washington. Un chiaro posizionamento lontano dal centro. In un video postato su Facebook a febbraio, Leavitt ha attaccato Joe Biden, chiamandolo “creepy Joe”, mostrando spezzoni in cui il presidente tocca, in modo considerato un po’ viscido, ragazze e bambine in quella sua mossa distintiva – le mani sulle spalle, il bacio sul collo e sui capelli – che ha portato alcune donne ad accusarlo di comportamenti inappropriati. “Pensereste che Biden sia contento di trovarsi una ragazza così giovane al Congresso”, dice Leavitt nel video, “e invece io rivelerò le sue stronzate e la corruzione del dottor Fauci”.
Ma la campagna di Leavitt è concentrata sull’economia, tema che, nonostante tutti i conflitti woke e antiabortisti, resta al centro del dibattito, con l’inflazione e l’aumento del prezzo della benzina che non stanno aiutando per niente Biden e i candidati democratici. Il suo slogan è “Prima l’America, la libertà e il New Hampshire”, molto populista, ma nei discorsi parla di taglio delle tasse per tutti e passa il tempo a fare campagna visitando piccoli imprenditori e commercianti del suo distretto – storicamente di sinistra – lamentandosi di come i democratici non abbiano saputo controllare l’aumento dei prezzi del gas e delle materie prime. E’ su questo che si giocheranno le elezioni di metà mandato.
L’8 novembre Leavitt sfiderà il candidato democratico Chris Pappas, che lei dipinge come uno dell’establishment, ma che è al suo secondo mandato alla Camera, eletto nel 2018. Il quarantaduenne, origini greche, studi ad Harvard e gay dichiarato, proviene da una famiglia di ristoratori di Manchester, una delle città più grandi nel nord del New England. Il ristorante aperto dai nonni, il Puritan Backroom, dove dicono siano stati inventati i bastoncini di pollo, è da decenni una delle tappe obbligatorie dei candidati che girano per la costa est. Alle pareti ci sono foto di George H.W. Bush e di Bill Clinton. Pappas gioca la sua campagna spostandosi verso il centro, abbassando i costi delle medicine, citando i fondi che arriveranno con il piano per le infrastrutture firmato quest’estate e citando Biden il meno possibile, una palese strizzata d’occhio a quei conservatori moderati neverTrump che hanno paura dei populismi. “Il New Hampshire ha bisogno al Congresso di una persona bipartisan che risolve i problemi, non di qualcuno che incendia gli animi”, ha detto. Attacca spesso Leavitt per la sua fedeltà a Trump – cosa di cui lei non fa certo mistero – sottolineando i pericoli per la democrazia e l’attacco al Campidoglio del 6 gennaio. I sondaggi per ora danno Pappas in leggero vantaggio, ma questo è uno dei distretti che potrebbe far perdere la maggioranza democratica alla Camera, creando un blocco per l’agenda dell’Amministrazione.
Diversi analisti fanno notare che con l’elettorato che si apre alla Generazione Z – i nati tra la fine degli anni Novanta e il 2010 – piano piano il Partito repubblicano dovrà inglobare alcuni temi woke, come ambientalismo e maggiore apertura sui diritti civili. Gli elettori zoomer sono ancora pochi e la loro influenza, forse, si vedrà solo tra qualche anno, e non avrà quindi grandi effetti sulle elezioni di midterm. Nel frattempo la campagna agguerrita di Leavitt fa capire che alcuni zoomer possono essere più trumpiani del re. Anche se Trump non dovesse più ricoprire cariche pubbliche, i suoi seguaci sono più vivi che mai e molti di loro ce li ritroveremo a Washington o nei Parlamenti statali tra non molto. Non è un caso che quella che al momento è la donna più giovane al Congresso, l’ipersocial Alexandria Ocasio-Cortez, figlia politica di Bernie Sanders, sia all’opposto dello spettro politico di Leavitt. Cambiano le generazioni, ma la polarizzazione che si registra ormai da qualche anno, complice il sentimento antiobamiano e la radicalizzazione partita col Tea Party da un lato e con Occupy Wall Street dall’altro, è viva e determinante.
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