Foto di Patrick Pleul, via LaPresse 

Cinguettii sulla libertà

Musk e quel confine complicato tra libertà di espressione e irresponsabilità

Giuseppe De Filippi

Tutti i rischi di un editore che vuole imporre idee editoriali senza assumersene la responsabilità. Gli ex capi di Twitter si sono dovuti confrontare con il limite tra il libero pensiero e i contenuti che veicolano odio. Come si comporterà il nuovo ceo?

Twitter è un successo straordinario ma non rende. Non cambia strategia, se non per sfumature, ma ha cambiato molti capi, il più recente è di ieri, capo e padrone, l’autonominatosi ceo Elon Musk. Ciascuno a modo suo sono stati tutti carismatici e ovviamente all’altezza della competizione digitale e capaci, pure quando avevano torto, di tenere a bada l’idra social. Twitter è nato dal rifiuto delle pasquinate di Facebook, destinata, la piattaforma zuckerberghiana, come poi è successo, a sradicarsi dalla realtà corrente, quella in cui contano le opinioni e le idee, ma c’è poco tempo per esprimerle, e a finire nella realtà inesistente, quella parallela e noiosissima del metaverso. 

 

Twitter è alimentato non dal dibattito, di cui, come è noto, non importa niente a nessuno, né dall’accademico e utopistico confronto delle idee, ma dalla libertà di essere apodittici, di esprimere giudizi (cosa, normalmente, interdetta dalla discussione pubblica), di esporre idee e poi lasciarle lì senza offesa per nessuno, di dare notizie, di svelare ipocrisie, di essere perfino poetici. È come se una specie di caporedattore di vecchia scuola sia lì a controllare che i twittatori aderiscano alle buone regole del giornalismo o della polemica pubblica. Tutti, o quasi, sono stati sottoposti a questa cura trasformativa, a questa catechizzazione collettiva alla sapida brevità, nel tentativo di farne fulminanti Emile Zola o brillanti aforisti.

 

Elon Musk si è impadronito di tutto ciò e sembra, nello stesso tempo, la persona più adatta e quella meno adatta per il compito di valorizzarlo e di ben gestirlo. Se vuole renderlo economicamente redditizio, cosa comprensibile dopo averci immobilizzato 44 miliardi, deve, a parere di tutti gli analisti, aumentare le entrate non legate direttamente alla pubblicità. Intanto ridurrà i costi, con un taglio al personale. Ma, ritenendo ragionevolmente che non fosse un carrozzone, ci si chiede se le competenze interne da avviare alla porta siano così inutili per sviluppare il nuovo progetto. Non ci sono avvisaglie reali, tranne qualche voce non confermata, della scelta, sempre molto pericolosa, di introdurre costi per l’accesso ad alcuni contenuti. Mentre quello che si sa è che Musk vorrebbe rafforzare le parti relative a settori che conosce molto bene, quello della messaggistica e soprattutto quello dei sistemi di pagamento.

 

Twitter, che non è sognante come il metaverso, è una discreta approssimazione della realtà e della vita sociale e al suo interno contiene già mille possibili sviluppi di funzionalità (potenzialmente redditizie) che potrebbero far leva sulla piattaforma già esistente. Musk, mentre fa affari, conduce anche una specie di battaglia personale, ma non ben dichiarata e con forti margini di ambiguità, contro la correttezza politica e contro le limitazioni all’espressione del pensiero. Non è del tutto convincente come super libertario, ma ugualmente fa preoccupare la sua intenzione di buttare via il bambino della società politica liberale e democratica con l’acqua sporca della polizia del pensiero e della censura correttissima.

 

L’unica ipocrisia contro la quale non si scaglia è quella che riguarda proprio le grandi piattaforme social, perché non ne ammette il ruolo di grandi editori, con tutto ciò che ne consegue, ma continua a far finta che si tratti solo di luoghi messi a disposizione di tutti, con la casa che si limita a dare le carte o a far girare la roulette e incassare la sua percentuale. Non ammette di essere diventato un editore, e di averne quindi tutte le responsabilità, ma vuole imporre idee editoriali. La sua briglia sciolta alle opinioni prima tenute a bada è politica editoriale, anche se non lo dice. I capi di Twitter finora hanno faticato, sbagliato, ma si sono dovuti confrontare con la montagna delle opinioni mondiali e la violenza delle peggiori idee in circolazione.

 

Come notava il Foglio hanno bloccato Donald Trump (giusto, perché incitava al sovvertimento della democrazia americana) e lasciano twittare i capi del regime iraniano, per dirne una. Musk proverà a dare più libertà, ma rischia di rompere tutto il gioco. L’uccellino ora è libero, ha scritto, e ha ottenuto una risposta europea, meravigliosamente regolatoria, in cui il commissario europeo Thierry Breton gli ha detto che qui, nel nostro continente, gli uccellini volano secondo le nostre regole. I due si conoscono e si sono già confrontati, la lite è tutta twittata, e questo dice molto. Il Washington Post segnala il potere di controllo sulle vite, sulla privacy, sulla libertà, di un social come Twitter, ora che è nelle mani di un imprenditore privo di remore. Meglio stare alla larga da quella piattaforma, meglio non twittare e così non lavorare gratis per Musk, dice, più o meno, il grande giornale americano. Un po’ ha ragione, ma come farglielo sapere se non usando Twitter?

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