il debutto a bruxelles
Al suo esordio in Europa, Meloni incassa un richiamo sui migranti: "Salvare vite in mare è un dovere"
Il governo italiano non può lasciare al largo migliaia di migranti come avviene in queste ore con tre navi umanitarie, in attesa che gli altri stati si offrano per ospitarli, è il messaggio della Commissione. Prima si scende a terra e che poi si tratta per la spartizione, dice la legge
Giorgia Meloni non ha fatto in tempo ad arrivare a Bruxelles, che già ha dovuto difendersi da un richiamo ufficiale dell'Unione europea sulle modalità di gestione dei migranti. Nel giorno del suo debutto europeo, la portavoce della Commissione Ue, Anitta Hipper, ha ricordato che “salvare vite in mare è un dovere morale tanto quanto l'obbligo per gli stati membri di rispettare il diritto internazionale, indipendentemente dalle circostanze che hanno portato le persone in difficoltà in mare”. Ieri poi è stato il governo tedesco a rispondere per iscritto a Roma, ricordando che lo stato di bandiera non c'entra nulla con i salvataggi dei migranti, che invece spettano all'Italia in quanto porto sicuro più vicino. E' la prima bacchettata che Bruxelles e Berlino danno a Meloni. La direttiva Piantedosi, nel sottinteso lasciato dalle parole della portavoce, non può lasciare al largo migliaia di migranti come avviene in queste ore con tre navi umanitarie, in attesa che gli altri stati si offrano per ospitarli. La legge dice che prima si scende a terra e che poi si tratta per la spartizione. Ed è la stessa legge sovvertita arbitrariamente da Matteo Salvini, da Luciana Lamorgese e, oggi, da Matteo Piantendosi.
Nel segno della continuità rispetto ai governi precedenti, anche stavolta l'Italia rischia di essere la voce che grida nel deserto in tema di equa ripartizione dei richiedenti asilo. Quando davvero c'era la possibilità di riformare Dublino – l'unica misura che disinnescherebbe il sistema che lascia al solo paese di primo approdo l'onere della gestione dei migranti – furono gli stessi alleati dell'attuale governo (la Lega) a opporsi. Oggi che le priorità sono altre, fra guerra, crisi energetica e inflazione, nessuno a Bruxelles intende neanche sentirne parlare. Anche quando la premier ipotizza una riattivazione della missione Sophia, come ha fatto in Parlamento e poi nel nuovo libro di Bruno Vespa, sembra dimenticare che fu proprio lei, accodandosi all'allora ministro dell'Interno Salvini, a demolire la legittimità della missione navale. La famosa “terza fase” di Sophia, quella che prevedeva lo smantellamento delle reti dei trafficanti, non ha mai visto la luce anche perché il governo italiano decise di tirarsi indietro. Oggi, i tempi sembrano essere ancora meno maturi di ieri. C'è solo una cosa che oggi nessuno vuol sentire nominare a Bruxelles (oltre alla riforma di Dublino, va da sé) ed è l'idea di rimettere in piedi una nuova missione Sophia. Per altro, considerando che esiste già una missione navale attiva nel Mediterraneo e che – nominalmente – avrebbe fra i suoi compiti anche quello della lotta al traffico degli esseri umani. Si tratta di Irini, che però ha poche navi, pochi mezzi aerei, nessuno strumento di soccorso a bordo delle sue unità adatto a renderle operative per compiere azioni di salvataggio su larga scala. Basterebbe potenziarla, dotandola degli strumenti adatti e delle regole necessarie a compiere salvataggi.
D'altra parte, l'agenzia Frontex, che pure dispone di uomini e mezzi per il pattugliamento del Mediterraneo, agisce come un cane sciolto. L'ex direttore Fabrice Leggeri fu costretto alle dimissioni la scorsa estate anche perché si rifiutò di assumere funzionari che monitorassero sul rispetto dei diritti umani nelle attività connesse a quelle dell'agenzia. Oggi questi funzionari sono stati finalmente assunti e hanno fatto notare in un report confidenziale diffuso da Frag Den Staat, un portale tedesco che si occupa di public disclosure, che la Guardia costiera libica finanziata dall'Europa è solita sparare e usare la forza contro i migranti. Ciononostante, Frontex continua a cooperare con i libici, segnalando loro i barconi affinché siano intercettati e riportati indietro, sulle coste del paese nordafricano e che l'Onu definisce non sicure.