(foto EPA)

una specie di rasputin

Chi è David Sacks, che vuole fare di Musk l'idolo dei repubblicani

Pietro Minto

L'imprenditore cinquantenne è una delle persone più ascoltate dal capo di Twitter: noto per le posizioni libertarie, è forse l'elemento più attivo di un movimento culturale e politico nato dalle ceneri del trumpismo

A una settimana dall’insediamento di Elon Musk a capo di Twitter, potrebbe essere lecito domandarsi chi glielo abbia fatto fare. 44 miliardi di dollari per un social network in crisi, che dovrà pagare annualmente un miliardo di dollari di interessi, a fronte di un flusso di cassa da 630 milioni di dollari nel 2021. Nei giorni scorsi, il capo di Tesla ha litigato con tutti, proposto un abbonamento da 20 dollari (poi scesi a otto dollari) per avere la spunta blu di verifica e fatto arrabbiare anche un pezzo di quella destra che tanto aveva sognato la sua conquista dell’app. Nilay Patel, direttore di The Verge, sottolineando le molte criticità della gestione di una realtà come Twitter, ha riassunto così: “Benvenuto all’inferno, Elon”. Ma chi gliel’ha fatto fare, quindi?

La risposta pare essere semplice: è stato David Sacks, imprenditore cinquantenne, già membro della cosiddetta “Mafia di PayPal”, l’elitario gruppo di programmatori e manager che ha cominciato a lavorare a PayPal per poi fondare altri servizi di successo. In questa mafia, ovviamente, c’è lo stesso Musk, che proprio grazie a PayPal ha conosciuto Peter Thiel, oggi diventato il Voldemort della destra americana. Sacks non è ancora un nome così noto ma, come ha recentemente scritto il New Republic, è forse l’elemento più attivo di un movimento culturale e politico nato dalle ceneri del trumpismo. Ed è anche stato consigliere di Musk nell’operazione Twitter, di cui pare essere stato grande sponsor, entrando a far parte del cerchio magico che oggi controlla il social network. 

 

Sacks si è fatto notare negli ultimi mesi per una serie di interventi che vanno dalla moderazione dei contenuti alla guerra in Ucraina, passando per le critiche al Big Tech. Talking point che – coincidenza o meno – sembrano trovare eco nell’account Twitter di Musk, che prima ha presentato l’acquisto di Twitter come necessario per “salvare la libertà d’espressione” e poi ha proposto accordi di pace Kyiv-Mosca, citando quasi alla lettera un articolo di Sacks sull’argomento pubblicato una settimana prima dalla rivista The American Conservative. Il rispetto reciproco tra i due non è né un mistero né uno scandalo, ovviamente, ma vale la pena approfondire le posizioni politiche dell’imprenditore, vista l’influenza che ha su Musk.

L’ultima creazione di Sacks si chiama Callin, un servizio lanciato nel 2021 che ricorda da vicino Clubhouse, l’app di successo durante la pandemia che permetteva la creazione di “stanze” in cui utenti e ospiti potevano discutere. Lo chiamano “social audio”, e Callin sembra aver imparato alcune delle lezioni impartite dal declino di Clubhouse, puntando anche sulle polemiche politiche e le discussioni tra intellettuali e giornalisti. Sacks non pesca solo a destra, ma anzi attira nomi come Jesse Singal, Glenn Greenwald, Benjamin Norton, Michael Tracey e Matt Taibbi. Non solo troll e trumpisti scatenati ma anche pezzi del giornalismo di sinistra che – è il caso di Taibbi e Greenwald – si sono allontanati politicamente dalle frange del Partito democratico che considerano ormai estremiste. 

 

Sacks si presenta quindi come il volto più umano della nuova destra, in grado di attaccare il politicamente corretto ma anche di sottolineare le storture delle politiche democratiche in California, soprattutto sulla gestione dei senzatetto e dell’emergenza casa. Secondo il New Republic, la sua ideologia è “un misto di isolazionismo, nazionalismo alla Trump, sospetto nei confronti del deep state”, mentre in politica interna è più confuso, tra il pugno di ferro e la polemica pretestuosa tipica proprio di Twitter. La sua crescente influenza aiuta anche a comprendere il distanziamento avvenuto negli ultimi anni tra Musk e quel pezzo di Partito democratico a cui, da produttore ambientalista di auto elettriche, sembrava rivolgersi. Di certo le recenti stoccate di un pezzo di sinistra contro i “billionaires” non hanno aiutato, ma Musk deve aver imparato anche dall’amico Sacks, secondo cui il partito di Biden sarebbe “l’utile idiota del Partito comunista cinese”. 

 

La storia del consigliere di Musk è da sempre controversa: nel 1995 pubblicò The Diversity Myth, un saggio omofobico e dai toni da troll sul “mito della diversità nei campus universitari” che in qualche modo ha preannunciato certe posizioni anti-woke in uso oggi, e che all’epoca fu sponsorizzato da un noto think tank libertario e da una frangia del Partito repubblicano. E ora si prepara a lanciare il suo “pac” elettorale, con cui donare e investire su candidati repubblicani, aumentando ulteriormente la propria influenza. Il tutto, dalla cabina di pilotaggio di Twitter.

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