negli stati uniti
In Arizona i trumpiani sdoganano l'idea che si perde perché gli altri imbrogliano
Un test sulla tenuta americana per le elezioni di metà mandato. La notte elettorale in cui si consumò una piccola tragedia dentro al mondo conservatore e il così unAmerican che ritorna
Il Partito repubblicano dell’Arizona è quanto di più trumpiano ci sia nell’America che va a votare per le elezioni di metà mandato la settimana prossima. Tutti i candidati che l’ex presidente Donald Trump ha sostenuto alle primarie hanno vinto: Blake Masters potrebbe diventare senatore, Kari Lake governatrice, Mark Finchem segretario di stato e Abe Hamadeh procuratore generale.
Tutti e quattro hanno detto pubblicamente che nel 2020 il vincitore era Trump ma che i democratici gli hanno scippato la vittoria nominando Joe Biden, un impostore. Qui, in questo stato del sud di rocce e Grand Canyon che condivide più di 600 chilometri di confine con il Messico, nella notte elettorale del 2020 si consumò una piccola tragedia dentro al mondo conservatore, perché Fox News, l’emittente trumpiana, assegnò lo stato a Biden prima di tutte le altre televisioni e poi passò settimane a scusarsi e ritrattare, mentre Trump chiedeva riconteggi e lanciava la teoria cospiratoria delle elezioni rubate che avrebbe portato all’assalto del Campidoglio del 6 gennaio (i riconteggi ci furono, confermarono la vittoria di Biden, il secondo presidente democratico della storia ad affermarsi qui dopo Harry Truman). Trump è andato spesso in Arizona a tenere comizi, Kari Lake è soprannominata “la Trump coi tacchi”, il Wall Street Journal, che critica l’ex presidente perché parla solo di sé e non aiuta i repubblicani, dice che l’Arizona vive nell’ombra di Trump e questo potrebbe essere un guaio. Barack Obama mercoledì a Phoenix ha detto: in questo stato al voto di metà mandato ci giochiamo la tenuta della democrazia americana. L’ex presidente è appena entrato nella campagna elettorale a sostegno dei democratici e tutti sperano che il suo “tocco magico” possa raddrizzare una corsa che è stata altalenante, con dei picchi a favore del partito al governo anche corposi ma che ora che il voto è prossimo sta pendendo verso i repubblicani. Le recriminazioni sono già cominciate, Biden è accusato di aver insistito su temi come l’aborto quando è solo l’economia che conta, ma c’è stato un momento quest’estate in cui tutti i consiglieri democratici erano convinti che la mobilitazione liberal ci sarebbe stata proprio a sostegno dei diritti, e quel momento ha coinciso anche con un lieve assestamento economico – insomma, la strategia pareva giusta soltanto poco tempo fa. I conti in ogni caso si faranno dopo, e potrebbero essere dolorosi, ma Biden ha utilizzato il suo discorso di mercoledì sera per insistere non tanto sui temi ma su quello che c’è in gioco: la tenuta democratica del sistema americano.
E’ cosi unAmerican, ha detto il presidente, non accettare l’esito elettorale, pensare che non si può perdere ma possono solo rubare gli altri. Anche Obama in Arizona ha detto la stessa cosa e a un contestatore che fischiava ogni volta che veniva citato un candidato democratico l’ex presidente ha detto: “Questa abitudine di demonizzare gli avversari, di urlare e di pensare non ‘non sono d’accordo con qualcuno’, ma che quel qualcuno è malvagio o sbagliato, crea un clima pericoloso. Perché se i tuoi avversari sono demoniaci, allora non ci sono limiti a ciò che ti senti legittimato di poter fare loro”. Una martellata sulla testa di un ottantenne sposato con la speaker democratica del Congresso americano, per esempio. Ma non solo. C’è una pubblicità in Arizona prodotta e finanziata da Stephen Miller, ex consigliere di Trump, che dice: “Questa gigantesca ondata di immigrazione clandestina sta prosciugando i vostri stipendi, distruggendo le vostre scuole, rovinando i vostri ospedali, minacciando le vostre famiglie. Nella massa si mescolano spacciatori, trafficanti di sesso e predatori”. Poi c’è la bugia sul furto delle elezioni del 2020: molti gruppi conservatori si sono organizzati per lavorare ai seggi nelle elezioni di metà mandato, contestando le schede elettorali e inviando osservatori alla ricerca di brogli. La scorsa settimana un giudice federale non ha voluto vietare ai membri di un gruppo di attivisti di riunirsi vicino ai seggi nella contea di Maricopa: questi attivisti stazionano vicino alle urne, hanno vestiti militari, fotografano le persone che entrano, potranno restare anche l’8 novembre. E intanto circola sui canali trumpiani la prossima ambizione: vincere il Congresso e poi portare Biden all’impeachment, che è la conseguenza naturale della teoria della “big lie” sulle elezioni rubate nel 2020: Biden è un impostore, è un traditore, i trumpiani lo cacceranno.