DAL WASHINGTON POST
Le crepe nella repressione in Iran
La rivolta iraniana, giunta alla settima settimana, ha uno slogan semplice: “Donne, vita, libertà”. I manifestanti vogliono un paese normale. È arrivato il loro momento
La rivolta iraniana, giunta alla settima settimana, ha uno slogan semplice: “Donne, vita, libertà”. David Ignatius, in un editoriale sul Washington Post, scrive che la richiesta fondamentale di questa rivolta, che le donne non siano più costrette a indossare il velo, “sfida la supremazia dei vecchi uomini che gestiscono la teocrazia iraniana”. Mentre le manifestanti si tolgono il velo, il tessuto della repressione iraniana ha iniziato a disfarsi, e nell’ultima settimana abbiamo visto quanto sarà difficile fermare questo movimento, dice Ignatius.
Dopo che lunedì scorso il regime ha annunciato che avrebbe perseguito circa mille dei manifestanti che si erano mobilitati dopo la morte della 22enne Mahsa Amini, i manifestanti hanno risposto invitando a scioperare. Martedì gli attivisti hanno pubblicato video di scioperi nelle università di Teheran e in almeno altre tre città.
In un’intervista rilasciata questa settimana al Cipher Brief, Norman T. Roule, un veterano della Cia con un’esperienza di 34 anni e che ha gestito le attività della comunità di intelligence in Iran dal 2008 al 2017, ha detto: “Sembra inevitabile che sia necessario un cambiamento nel sistema se si vuole che il regime sopravviva”. “Non sembra che sia in corso una rivoluzione, ma è chiaro che ci sono stati enormi cambiamenti sociopolitici: le donne ora camminano tranquillamente in pubblico senza velo. E’ probabile che la polizia morale sia stata spodestata, almeno temporaneamente, e forse se ne è andata per sempre”, ha twittato lunedì Hayder al Khoei, membro di una delle famiglie clericali sciite più importanti dell’Iraq.
Secondo l’editorialista del Washington Post per un regime teocratico che rivendica l’autorità divina come quello dell’Iran, la riforma sulla questione del velo non sarà un’opzione facile. L’ayatollah Ali Khamenei, la guida suprema del paese, che ha 83 anni, ritiene che una volta che inizierà a fare concessioni – anche su qualcosa di apparentemente piccolo come le donne che si coprono i capelli – l’autorità più ampia del regime inizierà a erodersi. In passato, l’ayatollah si è schierato contro il compromesso citando la fine politica del comunismo sotto l’ultimo leader sovietico, Michail Gorbaciov, che immaginava di poter riformare il suo sistema preservandone l’autorità. L’occidente sta tramando per sovvertire l’Iran attraverso “un’imitazione del piano che ha portato al crollo dell’Unione sovietica”, ha detto Khamenei in un discorso del 2000.
Sarà difficile reprimere questo movimento, in parte perché le proteste sono guidate da donne e ragazze, dice Ignatius. Le forze di sicurezza iraniane comprendono molti soldati di leva che hanno madri, sorelle e figlie. E’ per questo motivo che secondo Roule “Poche forze di sicurezza ordinarie si sentiranno a proprio agio nell’attaccare le donne”. Il regime deve “trattenere i manifestanti abbastanza a lungo da incutere paura, ma non così a lungo da portare i loro genitori in strada”, ha detto al Cipher Brief. I video di questa settimana dall’Iran mostrano le forze di sicurezza che sparano gas lacrimogeni e altri proiettili sulla folla, eppure finora tutto questo non ha fermato i disordini. Le autorità non sono state in grado di identificare e reprimere gli organizzatori di un movimento che è in gran parte senza leader. David Ignatius descrive così i manifestanti che stanno partecipando oggi alle proteste iraniane: “Lottano con un movimento che ora ha radici profonde, non solo nella cosmopolita Teheran, ma anche nelle regioni curde del nord-ovest e nelle aree baluchi del sud-est. Il dilemma per il regime è che una repressione violenta, simile all’assalto di piazza Tiananmen in Cina nel 1989, potrebbe solo aggravare le proteste”.
Per avere un’idea di ciò che sta accadendo nelle città iraniane, si può dare un’occhiata a un account Instagram chiamato “1.500 tasvir”, che ha raccolto i video della rivolta con i cellulari, dice Ignatius. “I filmati di lunedì includono immagini di schizzi rosso sangue su un murale a Qom raffigurante Khamenei e l’Ayatollah Ruhollah Khomeini, che guidò la rivoluzione del 1979, e scene di manifestazioni lunedì nelle università di 11 città in tutto l’Iran”. “Non chiamatela protesta. E’ una rivoluzione”, si legge in un commento su TikTok ripostato da “1.500 tasvir”.
Quindi, cosa può fare l’Amministrazione Biden per sostenere questo coraggioso movimento?, si chiede l’opinionista del Washington Post. “Certamente un hardware per scaricare i segnali internet di Starlink sarebbe utile per continuare a far circolare i video. E gli Stati Uniti non dovrebbero offrire a questo terribile regime una frettolosa àncora di salvezza diplomatica, riaprendo i colloqui sul nucleare mentre nelle strade scorre il sangue”. Questo movimento, nelle parole del suo inno, la canzone Baraye, cerca “un cambiamento nelle menti dei fanatici”. Questa è la causa dell’America, e anche del mondo. I manifestanti vogliono un paese normale. Forse, forse, scrive Ignatius, è arrivato il loro momento.