Il voto di metà mandato
I democratici danno risposte poco convincenti sull'inflazione. Un errore e un rimedio
Al comizio di Bernie Sanders sul palco di Pittsburgh ci si parla addosso e si scelgono i temi meno rilevanti. La retorica è: noi guardiamo al futuro, i repubblicani vogliono riportarci al passato
Pittsburgh. Prima che Bernie Sanders, il senatore del Vermont e padre della nuova sinistra radicale americana, salisse sul palco di Pittsburgh, è stato preceduto da attivisti climatici, infermiere sindacaliste, militanti con storie di immigrazione e cantautori che suonavano canzoni di un secolo fa denunciando le condizioni di vita e lavoro nelle fabbriche. Molti i messaggi di amore, di apertura, di unità, di senso di comunità, di politica rappresentativa. Tutti molto belli e coinvolgenti, ma nessuno che spiegasse come fare a rendere concreti questi desideri, nella pratica, davanti alla folla di gen Z adorante. E nessuno sembrava interessato a trovare il modo di convincere gli altri, i non presenti.
Nessuno voleva parlare all’altra America, quella repubblicana, ma soltanto ribadire quello in cui già crede – preaching to the choir, predicare a chi è già d’accordo con te. “Dobbiamo far capire agli estremisti che noi siamo tanti”, ha detto Sanders il radicale, e non: dobbiamo mostrare ai moderati che certe nostre politiche potrebbero essere utili anche a loro né dobbiamo far vedere al proletariato trumpiano che a loro converrebbe la socialdemocrazia. Oltre al solito attacco ai miliardari, il senatore ha snocciolato la lista di priorità: aumentare la previdenza sociale, alzare il salario minimo, fare in modo che sia più semplice entrare in un sindacato, garantire a tutti le cure sanitarie, fare pressione sull’industria farmaceutica perché abbassi il prezzo delle medicine, investire nell’istruzione e rendere gratuite le università pubbliche, oltre alla libertà di scelta sull’aborto. “Tutte cose che in Scandinavia o in Germania sono normali”, ha aggiunto Sanders. Il giorno prima, nello stesso luogo, la sua pupilla Summer Lee, deputata millennial in corsa oggi per la riconferma, ha detto cose molto simili, attaccando il Partito repubblicano come “Partito dell’insurrezione”, ma senza soluzioni su come fare per batterlo.
In generale i democratici, in Pennsylvania e in tutto il paese, hanno le idee molto chiare su quello che andrebbe fatto, quello che sarebbe necessario ottenere. I temi sono: controllo delle armi, scuola pubblica, diritti della donna, aumento dei salari e aborto. Gran parte dell’energia di questa campagna, però, viene utilizzata per spaventare i cittadini sulla deriva antidemocratica dei trumpiani e sulla cancellazione dei diritti civili se prendessero il potere. Da quando c’è stato l’attacco al Congresso del 6 gennaio e da quando la Corte suprema ha ribaltato Roe vs Wade, eliminando il diritto all’aborto, i messaggi elettorali dei democratici sono stati incentrati sul far vedere che senza di loro si torna indietro, in un’epoca buia in cui non tutti sono uguali, e che il paese potrebbe prendere la strada dell’autoritarismo. Nei comizi di questi giorni la retorica è: noi guardiamo al futuro, i repubblicani vogliono riportarci al passato. L’onda del ribaltamento della sentenza sull’aborto però, dopo un forte entusiasmo estivo che ha portato i democratici in alto nei sondaggi, ora è scesa, cancellata da quella che rimane la prima grande preoccupazione dell’elettorato volatile: l’economia.
Soprattutto fuori dalle grandi città, dalla ztl liberal, ci si lamenta con furore del prezzo del gas. Donald Trump è riuscito subito ad appiccicare la colpa dell’inflazione ai democratici. Al suo comizio, nell’aeroporto di Latrobe, sui megaschermi appariva la scritta: Joe Biden deve alla Pennsylvania i soldi per la benzina. Il presidente è percepito da molti come responsabile dell’aumento del prezzo del carburante che in due anni è passato da 2 a quasi 5 dollari al gallone. In una nazione auto-centrica abituata a prezzi convenienti, dove il trasporto su ruota è essenziale, questo aumento sembra peggio della pandemia. John Fetterman, candidato democratico per uno dei seggi senatoriali che possono far cambiare di segno il Congresso, intervistato a un comizio fuori Philadelphia alla domanda sull’inflazione ha detto: certo è pesante per i lavoratori, “però credo che sia ancora più decisivo opporsi all’avidità delle corporation”. Può davvero essere che i democratici siano impreparati sul tema cruciale del voto di oggi di metà mandato? Una delle altre risposte classiche che vengono date per giustificare l’aumento dei prezzi: l’inflazione è un fenomeno globale. Queste risposte non cambiano però il risultato: secondo alcuni sondaggi di fine ottobre l’economia è diventata il tema più importante per l’elettorato.
Queste elezioni si giocano sull’inflazione, almeno per i cittadini indecisi. Aborto, controllo delle armi e paura di un nuovo tentativo di insurrezione – le grandi battaglie democratiche – sono passati in secondo piano. Non si capisce come abbiano fatto i democratici a dimenticarsi la lezione di James Carville, spin doctor che portò Bill Clinton alla Casa Bianca, interrompendo dodici anni di controllo repubblicano del paese: It’s the economy, stupid. Certo, sia i vari candidati sia i pesi massimi tirati dentro all’ultimo momento – Barack Obama, i Clinton – parlano di migliori condizioni di lavoro e di aumento dei salari, ma il loro discorso economico è spesso solo di reazione: i repubblicani vogliono tagliare le tasse ai ricchi, vogliono aiutare i miliardari, vogliono togliere fondi a scuola pubblica, sanità e welfare. Noi invece no. Nessuno che provi a spiegare: non è colpa di Biden se la benzina costa tanto.
La sensazione per una parte della popolazione è che con Trump si stesse meglio, che l’economia andasse meglio, e questo non è entrato nelle orecchie degli strateghi dem. O comunque è successo troppo tardi, quando si pensava che bastasse il terrore della fine dei diritti civili per vincere. Non che i repubblicani abbiano un piano per l’economia, se non tagliare la spesa pubblica e diminuire le tasse delle grosse aziende, ma essendo all’opposizione possono non prendersi la responsabilità degli aumenti di questi mesi, e incolpare Biden. E’ già accaduto a diversi presidenti democratici di perdere il controllo del Congresso per via dell’inflazione – Woodrow Wilson, Franklin Delano Roosevelt, Jimmy Carter – ma il problema sembra essere stato ignorato troppo a lungo. Quando l’inflazione iniziò a salire nel maggio del 2021, Biden disse che si trattava di una fase transitoria, dopo un’economia sballata dal Covid e rattoppata poi con un mega stimolo di 1,9 trilioni di dollari, l’American rescue plan. Ma nelle ultime settimane i prezzi si sono alzati più di quanto non ci si aspettasse, e oggi, un carrello troppo caro sembra far dimenticare che dall’altra parte ci sono cospirazionisti e insurrezionisti pronti ad assaltare il Congresso.
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